il Potere - anno I - n. 4 - ottobre 1970

Sped. abb. post. gr·. III (70%) - Anno I - N. 4 - Ottobre 1970 - L. 100 :···································· ♦ ♦ l Il superamento j ♦ ♦ ♦ ♦ l delcapitalismo ! ♦ ♦ ♦ ♦ ·-----------------------------------~ L'ONOREVOLE Amendola da tempo propone di superare la crisi politica italiana includen– do i comunisti nell'area del pote– re. Ciò ha fatto sì che molti si chiedessero, anche polemicamen– te, se un eventuale governo a par– tecipazione o ad appoggio comu– nista si proporrebbe il « supera– mento del capitai ismo » e, in caso affermativo, in qual modo. Per la verità il Pci ha da tempo risposto a tale domanda, teorizzan– do - in pieno accordo con il Pcus - la via parlamentare al sociali– smo. Già Togliatti, cercando di ana– lizzare le cause dell'imponente vo– to di sinistra presente in Italia e di rispondere alle esigenze di cui era espressione, identificava nella diffusione della piccola proprietà e dell'impresa pubblica una caratte– ristica di tipo socialista della real– tà italiana. Possiamo allora dire che un go– verno condizionato direttamente dai comunisti potrebbe proporsi di superare progressivamente il capitalismo estendendo il potere e l'entità della proprietà pubblica? Indubbiamente identificare I'espan– sione della mano pubblica col su– peramento del capitai ismo compor– terebbe una drastica riduzione della prospettiva marxiana e, in ge– nere, rivoluzionaria: i tecnici di sta– to sostituirebbero i proletari come classe portatrice di valori. Per questo, in teoria, l'identifica– zione tra socialismo ed estensione del la proprieteà pubblica viene re– spinta: tuttavia, in concreto, quan– do si tratta di determinare se una certa politica è o no di sinistra, il criterio dirimente è principalmen– te costituito dall'orientamento e– stensivo o ridimensionatore di ta– le politica nei confronti della pro– prietà pubblica. A livello programmatico e poli– tico ricompare quindi, puntualmen– te, quell'identificazione tra supera– mento del capitalismo ed impresa di Stato che viene respinta a livel– lo ideologico. Tutto ciò ha una ragione ogget– tiva: esistono infatti forze incoer– cibili che spingono lo Stato ad un intervento sempre più determinan– te nell'economia nazionale; esse non nascono da alcuna ideologia particolare, ma dal contesto glo– bale dello sviluppo politico e so– ciale del nostro tempo. TUTTO ciò comporta il rischio che l'affermazione della pro– prietà pubblica venga scambiata per una crescita rivoluzionaria, per una espansione risolutiva dell'au– togoverno e della libertà dell'uo– mo. Marx ha demitizzato « i valo– ri .. connessi alla proprietà priva– ta dei mezzi di produzione dando livello ideologico - e cioè signi– ficato universale - ai limiti ed a– gli errori del sistema capitalistico. Oggi, per la coscienza comune, la proprietà privata non è più un va– lore, ma un dato di fatto o, al mas– simo, una necessità. Ma tale demitizzazione va fatta anche per la proprietà e per l'im– presa pubblica, combinata o no con quella privata. Certo non manca un'abbondante letteratura al riguar- do: si pensi alle critiche sulla ge– stione burocratica in Urss od a quelle sulla simbiosi militare-indu– striale negli Usa. Ma tutto ciò non si è ancora coa– gulato in una critica d'insieme ai pericoli connessi allo strapotere della • mano pubblica ", alle sue capacità di manipolare le ideologie e di strumentalizare le forze poli– tiche e culturali dietro lo schermo di un apparente disinteresse e di un'asserita neutralità. Evidentemente, la critica alla proprietà pubblica pone il proble– ma dell'oggettività e dell'imparzia– lità dello Stato ed il rifiuto dell'i– dentificazione tra Stato, diritto e bene comune. Il marxismo ha definito lo Stato come una • sovrastruttura • del po– tere economico. Anche se il con– cetto marxiano di struttura e di so– vrastruttura non può essere ogget– to di arbitrarie semplificazioni, re– sta tuttavia certo che il sovrastrut– turale costituisce elemento deri– vato e, come tale, non può mai co– stituire il principio motore di una crescita storica. Lo Stato è, per Marx, un effetto della divisione del lavoro, privo di autonomia. Paradossalmente è stata proprio questa relativa • neutralità • dello Stato che ha consentito di conce– pirlo come il pratico risolutore dei problemi concreti che, alla fine, la ideologia lasciava irrisolti. Ma, oggi, l'estensione della pro– prietà pubblica pone esplicitamen– te a tutti - e, in primo luogo, ai comunisti - il problema dei rap– porti tra struttura (economica) e sovrastruttura (politica): costringe cioè tutti quanti ad affrontare uni– tariamente -il problema dell'orga– nizzazione del potere. RITORNA così, in condizioni ben diverse da quelle dell'ottocen– to, l'antico dibattito tra marxisti ed anarchici. La storia sembra aver valorizzato le verità di questi ulti– mi ponendo l'accento non sul rap– porto tra struttura e sovrastruttura, ma sul rapporto tra il popolo e la organizzazione del potere. Il supe– ramento del capitalismo trova qui il suo nodo decisivo. Oggi, infatti, la proprietà pubbli– ca è in grado di assorbire e di con– dizionare la proprietà privata, di inserirla nella sua gerarchia di po– tere, di includerla in un sistema omogeneo che conserva in se stes– so le ragioni del capitalismo anche se in un mutato contesto storico ed istituzionale. Ciò avviene addirittura a livello internazionale: l'Unione Sovietica cerca d'includere nel suo sistema le economie capitaliste dell'occi– dente a partire da quella tedesca. Su scala ridotta, qualcosa di si– mile avviene in Italia: nel nostro paese l'industria di Stato tende ad assumere la rappresentanza politi– co-sociale del sistema produttivo nel suo insieme ed a controllarlo in modo sempre più decisivo. li discorso sul superamento del capitai ismo, per essere autentico, deve quindi oggi, trascendendo i limiti dell'analisi marxiana, porsi come discorso sulla dualità tra po– polo e potere, come critica del po– tere dell'uomo sull'uomo. La ricerca del le forme di con– trollo, di partecipazione, di critica popolare al potere costituito rap– presenta un momento difficile, ma decisivo, per porre la coscienza sopra le ideologie, la persona so– pra lo Stato, la morale sopra la politica: per fare davvero dell'uo– mo il signore del • suo " mondo. * bibliotecaginobianco MENSli!JE - CAiSEL!JA POST,M.E ~665- 16100GBNOVA La jacquerie di Reggio LA rivolta di Reggio è un fatto so- ciale e politico di grande rilevanza. ll Mezzogiorno, che aveva già recente– mente espresso a Battipaglia la sua ten– sione politica, ha dimostrato a Reggio l'entità drammatica di tale tensione. 1 moti reggini hanno certo costituito per il Msi e per la mafia un'occasione politica: tuttavia liquidarli sbrigativa– mente attribuendone la responsabilità « alla destra neo.fascista ed agraria », significa mistificare la realtà. A Reggio il tumulto non è stato mo– mentaneo: dura da mesi. Non è sta– to di classe: coinvolge tutta la popo– lazione. Sulla rivolta interclassista è ri– fluita l'ala estrema della contestazione settentrionale. « Lolla continua » ha partecipato ai fatti reggini coprendo a sinistra un mo– vimento che, con evldente manovra, tut- ti i giornali governativi hanno etichet– tato a destra. Ora i fatti di Reggio sembrano con– clusi, ma è facile prevedere che ci sa– ranno altre crisi, in Calabria e altrove: gli antichi confini del regno delle due Sicilie non sono stati cancellati e divi– dono ancora, simbolicamente, l'Italia. La storiografia ufficiale ha mini– mizzato i rapporti tra il cosiddetto bri– gantaggio meridionale del tardo otto– cento e l'anarchia. Eppure esiste, nella tradizione politica del Sud, una sete di giustizia, antica e violenta, disgiunta dalla tutela degli interessi economici, presente sia nel movimento dei brigan– ti che nell'anarchismo meridionale. Per questo l'Italia, diversamente da Francia e Germania, non può giocare con la contestazione. Lo Stato italiano può ridere della contestazione «borghe- UNA CLASSE POLITICA ALLA PROVA DOPOL'ALLUVIONE e ONSIDERAZIONI sulle cause e sulle responsabilità connesse all'alluvione che ha cosl duramente colpito Genova vengono svolte in altra parte del giornale. Preme, però, cogliere l'occasione per guardare ad alcuni aspetti che si rifanno al ruolo ed alla funzione della classe politica espressa da una comunità. Non lntendiamo sottovalutare le cause naturali del disastro: i 55 cm di piog– gia riversatisi in 18 ore sulla città costituiscono forse un tragico primato che ha superato quello di Firenze. Ciò che resta inspiegabile è la rapidità con cui si è voluto coprire tutto col silenzio, con la collocazione nelle pagine interne dei gior– nali, nelle notizie di cronaca spicciola televisiva, insomma nell'ordinaria ammini– strazione. Le ferite, virilmente affrontate dai genovesi, sono diventate, in fondo, un fatto privato. C'è stata una rapida ripulsa dei danneggiati nel loro individuale mondo privato, dovuta ancora una volta ad una classe politica dimostratasi incapace di essere interprete autentica ed autorevole, incisivamente presente, in unità di intenti con la comunità che pretende di rappresentare. Non si è andati molto oltre la fugace presenza formalistica sul luogo del disastro di alcuni rappresentanti della maggioranza e qualche tentativo di speculazione della minoranza. Ma il senso di comunità e di collegamento autentico fra rappresentanti e rappresentati, fatto non di consenso ideologico ma di vicinanza umana e di doveroso e disinteressato appog– gio, è certo mancato. Il dramma di decine di migliaia di operai temporaneamente senza lavoro, di migliaia di artigiani, di commercianti, di famiglie, e quello di interi paesi è diven– tato oltre tutto un grosso fastidio per il mondo politico. E quando si sono tirati i conti economici della sciagura, quando con dignità si è chiesto non un sussidio ma !"intervento necessario per ricostituire un equilibrio economico interrotto né più né meno di come la solidarietà nazionale aveva con– sentito in altre occasioni, la volontà del potere centrale, impegnato in una linea economica di austerity, ha prevalso e deciso nel modo che ha voluto con il corre– sponsabile silenzio della rappresentanza ligure al governo. Questo è il punto che più ha colpito per il suo preciso significato. L'azione dei rappresentanti locali, moderatamente rivolta a correggere le deci– sioni centrali, non ha modificato il significato di un fatto, di una acquiescenza, di ·un distacco dalle esigenze primarie della propria comunità, evidenti non certo per mentalità campanilistica ma per coscienza e conoscenza di fatti obiettivi e reali. E', in fondo, la sorte di una città e di una regione che - anche quando avevano la più nutrita rappresentanza ministeriale d'Italia - non hanno mal saputo essere inter– pretate in modo adeguato nelle sedi di governo, mentre la loro classe dirigente non ha saputo assicurare quelle idonee decisioni politiche su cui la comunità potesse validamente impostare la propria autonoma iniziativa di sviluppo. Una misura di questo distacco in termini politici può darcela un recente episodio. Pochi giorni dopo l'emanazione del decreto concernente i provvedimenti per Genova, il comitato regionale della Dc, riunitosi per l'esame della situazione poli– tica, proponeva le dimissioni della giunta regionale nel caso non si fossero omoge– neizzate la giunta provinciale di Savona e quella comunale di ta Spezia con la formula adottata per la regione. Non siamo certo ammiratori delle faide politiche siciliane, ma non possiamo non provare un senso di imbarazzo per questi fatti proprio raffrontandoli a quelli della giunta siciliana dimissionaria per aver visto disattese le promesse avute in ordine agli investimenti pubblici nell'isola. E neppure vorremmo apparire sostenitori moralistici di facili atteggiamenti dimis– sionari di fronte alle difficoltà, alle asprezze ed alle incomprensioni della realtà che si appalesa nella gestione del pubblico potere. Crediamo però che anche in questo vi siano dei limiti. L'alluvione si è abbat– tuta su una comunità frustrata da una realtà economica determinata in larga misura da anni di inadeguatezza politica nell'operare ad ogni livello, centrale soprattutto ma anche periferico. In questa situazione, i rappresentanti politici di maggioranza (ma il discorso andrebbe fatto anche alla minoranza che troppo spesso disattende l'esigenza di interpretare il suo giusto ruolo) hanno sempre parlato dell'importanza di essere presenti nelle sedi del potere per ottenere ciò che è realisticamente possibile. Ma vi •è un limite per continuare ad essere almeno in parte creduti. Da un lato le ambizioni dei politici, il loro potere, la loro carriera ma anche i legami con lo Stato centralistico e le sue leggi; dall'altro lato i legami con la co– munità che il ha espressi. Il decreto per Genova è una occasione che crediamo non ammetta equivoci ma scelte precise che la classe politica genovese, almeno nei suoi uomini più rappre– sentativi, deve affrontare in prima persona pena la propria credibilità. Se ciò non fosse, dovremmo concludere che l'alluvione, oltre a uomini e cose, ha travolto il genuino legame ideale e politico che dovrebbe unire i rappresentanti ai rappresentati. Ugo Signorini se» degli studenti: può riderne a Mi– lano. a Firenze. a Roma e persino a Napoli. Ma vi è anche il Sud: qui le parole d'ordine della contestazione si inseriscono in una ben diversa situa– zione storica. Nascono così i movimenti che non si muovono sul piano dell'interesse im– mediato, modernamente inteso, ma su quello dell'«onore» e cioè su un piano assoluto. Onore, dignità, giustizia sono parole che consentono il passaggio da un sen– timento soggettivo ad un ideale totale. E' proprio il carattere irriducibilmente non moderno e non borghese del Mez– zogiorno che rende possibili tensioni ri– voluzionarie ed insurrezioni di massa. Nel Mezzogiorno possono insorgere città. Di questo lo Stato liberale, di cui il presente Stato è il continuatore ag– giornato, non ha tenuto conto. Nel Mez– zogiorno si determina la crisi dell'assetto liberal-borghese d'Italia. Lo Stato sa reagire, a quanto pare, solo scomunicando le masse con i suoi anatemi: mafia e fascismo. Ma la con– testazione « borghese » di Milano aval– la Reggio e pone lo Stato in un vicolo senza uscite. Le regioni stesse divente– ranno nel Mezzogiorno il naturale polo politico istituzionale della protesta po– polare. E qui anche il Pci come garan– zia popolare dello Stato, il Pci quale ultima forza d'ordine, rischia di rive– larsi impotente. 1 comunisti reggini hanno già fatto l'autocritica. Ora cercano di correre ai ripari dietro questioni di forma. Ma il problema è forse insolubile nel presente tipo di Stato. A Reggio hanno dovuto mandare i militari, con il consenso po– litico del Pci: è un bagliore che, per qualcuno, potrebbe prefigurare una so– luzione. In un certo modo il Mezzogiorno ita- 1 iano assomiglia al mondo russo. In am– bedue i casi abbiamo una cristianità di tipo greco che non ha conosciuto il do– minio islamico; in ambedue i casi ab– biamo avuto un cristianesimo di tipo escatologico, generatore di gruppi spon– tanei. Negli anni '20, un paese pugliese, San Nicandro, litigò con il regime fascista: la reazione fu quasi incredibile. li pae– se adottò in blocco la religione giudaica ed emigrò in Israele, La Calabria è la patria di Gioachino da Fiore, cioè della figura chiave del– l'escatologismo in occidente. Qui il cri– stianesimo è visto non come una sem– plice dimensione interiore, ma come u– na dimensione totale. Anche il cristia– nesimo russo conosce l'escatologismo co– me sua classica tensione. Il Mezzogiorno d'Italia fu la terra d'elezione dei rivoluzionari russi cac– ciati dallo zar: vi passarono Bakunin e Lenin. Noi abbiamo ridotto una terra dalla personalità storica vivissima alla deno– minazione geografica di «Mezzogiorno» cd alla notazione sociologica di area depressa. li Mezzogiorno è una sintesi storica tanto complessa da essere ine– sprimibile con una sola parola: è la Grecia in Italia, ma una Grecia senza l'Islam e senza la dominazione turca; è il momento per cui l'Italia rimane ir– riducibile all'occidente e diviene una terra di mezzo. li Risorgimento non ha occidentalizzato del tutto l'Italia, per– ché in essa vi è il Mezzogiorno. E il problema politico che questa ter– ra oggi pone è formidabile ed impre– vedibile. Bruno Orsini

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