il Potere - anno I - n. 4 - ottobre 1970

pag. 6 LA ripresa autunnale è stata forte- mente caratterizzata dal pacchetto di provvedimenti fiscali decisi dal gover– no. A tali decisioni le organizzazioni sin– dacali, in particolare quelle dei metalmec– canici, hanno mosso dure critiche. Il provvedimento è posto in discussio– ne non solo perché colpisce direttamen– te la capacità d'acquisto dei salari operai, ma perché discutibile è la validità stessa di un simile strumento per il rilancio del– l'economia. A questo prowedimento, peraltro, è se– guita l'intesa fra i sindacati e il governo sulle riforme edìlizia e sanitaria. Su questa intesa è forse prematuro un giudizio circostanziato, perché ad elemen– ti decisamente positivi si contrappongono molti motivi di incertezza e di dubbio. A quest'azione del governo, tesa ad ot– tenere il consenso dei sindacati e, quin– di, un periodo di pace sociale, è corri– sposta un'azione repressiva da parte del padronato. Già nei mesi estivi non erano manca– ti sintomi di inasprimento delle posizioni padronali, ma si può affermare che alla fine delle ferie i lavoratori sono stati ac– colti da un imprenditore che, ai vari livel– li, sta cercando di riconquistare poteri perduti in due anni di dure lotte, e sta adoperandosi perché la democrazia torni ad essere estranea alla fabbrica. Tuttavia,· i comportamenti delle direzio– ni aziendali non sono uniformi. Si va dal– la resistenza alle richieste dei lavoratori ai licenziamenti, alle sospensioni intimida– torie, al ricorso ai • sindacati gialli • o in mancanza di questi alla Cisnal. Quest'azione ha riconfermato anche al– leanze efficacemente sperimentate, nella fase repressiva dell'autunno, fra padroni e pubblici poteri; infatti oltre alle denun– ce oggi piovono mandati di cattura. Non è quindi possibile sottovalutare il pericolo insito nelle manovre padronali, specie quando queste ottengono il risul– tato di dividere i lavoratori. La reazione padronale costituisce, dun– que, l'altra faccia del decrotone governa– tivo; infatti, ambedue le azioni tendono a garantire la • pace sociale • con mezzi repressivi, perché anche l'allarmismo eco– nomico è intimidazione. Per questo la risposta dei lavoratori non può essere cauta né limitarsi ad un'azio– ne difensiva delle conquiste d'autunno, ma deve esprimersi con un rilancio del– l'iniziativa di fabbrica che tenda a portare maggior potere ai lavoratori. Da considerazioni di questo tipo na– scono le numerose lotte aziendali attual– mente in corso. La reazione degli imprenditori si fa, a questo punto, più dura perché attraverso queste lotte essi vedono accelerarsi il processo di contestazione all'attuale or– ganizzazione del lavoro. L'obiettivo di fon– do dei lavoratori è ormai individuabile pur nel diverso articolarsi di ogni piatta– forma rivendicativa. L'aumento della produttività Lotta all'organizzazione del lavoro signi– fica per il lavoratore porre in discussione l'attuale modo di lavorare e l'ambiente in cui si svolge il lavoro stesso. Ciò signi– fica ottenere. con la lotta al ciclo pro– duttivo, ritmi diversi da quelli imposti dal padrone e contestare le forme di re– tribuzione legate alla quantità di lavoro prestato. Quindi lotta contro Il cottimo. La situazione di bassi salari porta il lavoratore all'esasperazione dei ritmi. Cot– timo non significa solo autosfruttamento, ma anche insicurezza del salario, perché questo dipende in larga misura dalla va– lutazione della quantità di lavoro presta– to, piuttosto che dalla normale attività la– vorativa. Strettamente collegato alla quantità del– la prestazione, è anche il problema della qualità del lavoro. VI è una tendenza all'interno delle fab– briche a dividere il lavoro in mansioni via via più semplici e ripetitive per au– mentare la produttività, e per ottenere un concreto risparmio sul monte salari, perché è possibile adibire a questi_ lav~– ri persone inquadrate nelle categorie p1u basse e quindi meno retribuite. Il sindacato si propone, invece, oltre all'eliminazione delle mansioni non pro– fessionali con un'allargamento dei com– piti richiesti al lavoratore che ne riduca la parcellizzazione, anche il mutamento dell'attuale divisione in categorie, fonda– ta sulla divisione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, con un unico inqua– dramento operai-impiegati. Tutto ciò significa che il lavoratore non deve essere retribuito per ciò che gli viene richiesto di fare, ma per ciò che è capace a fare, per le capacità che pone a disposizione dell'azienda. L'assegnazione a questa o quell'altra categoria deve dipendere dal suo livello di conoscenza e dalle sue esperienze di lavoro. La carriera non sarà più un fatto ge– rarchico, ma consisterà nell'esperire un lavoro via via più confacente all'esperien– za ed alla capacità acquisita. A questi due punti concreti d'attacco all'attuale organizzazione del lavoro se ne unisce un terzo, altrettanto importante, costituito dalla critica all'ambiente di la– voro. L'Italia ha infatti il triste primato degli incidenti sul lavoro. Questi non possono più essere Imputati alla negligenza nella applicazione delle norme di prevenzione, ma hanno una origine, ben più profonda, nell'organizzazione del lavoro. Il « rifiuto » del lavoro ingiusto La progettazione, la costruzione e l'uso di una macchina non sono mal primaria– mente subordinati alle garanzie di sicu– rezza ma alle esigenze della produzione. La manipolazione di sostanze nocive non è legata principalmente alla loro soppor– tabilità da parte del lavoratore, ma al ri– sultato tecnico e produttivo che permet– te di raggiungere. I lavoratori, se vogliono proteggersi da questi rischi, devono elaborare non solo efficaci mezzi di controllo, ma giungere, in molti casi, al • rifiuto • del lavoro in– yiusto per porre il problema di una di– versa tecnologia non nociva. Il perno su cui ruotano questi proble– mi, relativi alla condizione operaia, è la durata del lavoro e, di conseguenza, lo straordinario. il POTERE padroni mettono in discussione gior– no per giorno, con i loro attacchi, gli ac– cordi In materia d'orario. La battaglia per l'orario è la premessa per tutte le altre azioni all'interno della fabbrica. In sintesi, i lavoratori si battono per cambiare la fabbrica, per renderla più umana, per conquistare un potere reale. I padroni non sono disposti ad accettare la lotta alla produttività indiscriminata, all'organizzazione del lavoro, alla gerar– chia aziendale, all'autoritarismo in fab– brica. Di qui l'asprezza ed il perdurare dei conflitti nelle fabbriche. I lavoratori combattono anche un'altra battaglia: quella per l'unità sindacale. Ma, I padroni (e, in molti casi, anche i parti– ti) non la vogliono e lottano per Impe– dirla. In alcune categoria il processo di uni– tà è molto avanzato e ciò crea preoccu– pazioni ai vertici confederali, perché il processo di creazione del sindacato nuo– vo rischia l'emarginazione di tali vertici. I consigli generali unitari, che si sono tenuti a Firenze, costituiscono l'ultimo tentativo dei vertici confederali per giun– gere ad un'unità di tipo burocratico che sia la sommatoria delle tre centrali esi– stenti. Ma, questa tendenza è battuta, nei fatti, dalle esperienze di democrazia operaia vissute negli ultimi due anni. Anche questo è un patrimonio che i la– voratori devono difendere perché l'unità rappresenti la risposta politica più avan– zata da parte della classe operaia al pa– dronato e non una sommatoria di strut– ture superate. Domenico Paparella E' UN FOGLIODI ANALISIE DI DI– BATTITO POLITICO;NON E' ,L'ORGA– NO, NE' LO STRUMENTODI ALCUN PARTITO POLITICO O 01 ALCUN GRUPPO ORGANIZZATOALL'INTER– NO ,Di ESSI. SI QUALIFICAPER LE TESI CHE SOSTIENE6D E' DIRETTO A QUANTIABBIANOINTERESSEAl PROBLEMICHE DIBATTE. E' IN VEN– DITA NELLEEDICOLEDEL CENTRO. A GENOVA ehi osserva da un punto di vista metodologico i modi e le forme della lotta politica degli ultimi dieci anni, sia e livello mondiale che euro– peo, può constatare come sia stato gradatamente superato il concetto dei blocchi contrapposti e sia esplosa una crisi sempre più grave, giunta talora sino alla rottura, degli opposti fronti ideologici. L'ideologia marxista e l'ideologia li– berista, che sino ad ieri offrivano sal– de piattaforme a popoli diversamente tesi al conseguimento dei propri idea– li e del proprio benessere, nell'affer– mazione della propria volontà di po– tenza, oggi non costituiscono più quel– l'appoggio rigoroso e sicuro che ga– rantiva l'unità e la compattezza alle forze contrapposte. L'ortodossia stalinista offriva, negli anni della guerra fredda, motivi ideo– logici da trasmettere in w1 linguaggio omogeneo il cui significato inequivo, cabile era costituito dall'accettazione integrale di una organizzazione poli– tica e sociale rigida e unitaria, mo– dello indiscutibile, ai fedeli, per Ia realizzazione degli ideali di giustizi!\ e di uguaglianza. Una linea politica indiscussa, almeno nei suoi presuppo– sti ideologici, da cui conseguivano u– guali procedimenti ed effetti, univ& saldamente i vari movimenti marxisti nei paesi occidentali. Allora i rari dissenzienti (Tito) ve– nivano condannati come traditori del– la purezza del verbo marxista e re– spinti in un limbo che anche la diffi– denza occidentale rispettava. CRISI DELL'EGEMONIA SOVIETICA L'egemonia sovietica si è apertamen– te ed irreversibilmente frantumata col) la crisi cinese. La politica di potenza dell'Urss ripete, per l'intervento arma– to in Cecoslovacchia, gli schemi giu– stificativi usati per la rivolta di Ber– lino del '53 e per la rivolta ungherese del '56 ma è per tutti evidente eh~ tali formule costituiscono soltanto un pretesto verbale e una strumentazione dell'ideologia a fini di potere; tanto è vero che gli stessi concetti marxisti– leninisti permettono allo schieramen– to cinese la condanna, appunto, di quell'intervento. Il problema delle ttrezzature coll ttive Gli studi preliminari per la revisio– ne del piano regolatore della città di Genova hanno posto in evidenza una impressionante carenza di aree desti– nate ai servizi collettivi. Confrontando la dotazione di spazi destinati nella nostra città alle scuole, al gioco dei bambini, ai servizi culturali, agli im– pianti sportivi, ai parchi e così via, con quelli prescritti dagli standard ur– banistici vigenti, la gravità della situa– zione appare in tutta la sua dramma– ticità, specie per le zone maggiormen– te interessate negli ultimi anni allo sviluppo di insediamenti residenziali popolari. Poche cifre consentono di fornire un quadro della situazione con riferi– mento ad alcune zone della città. In val Polcevera risulta insoddisfatto il 5g% del fabbisogno di aree per i ser– vizi di quartiere (istruzione obbligato– ria, spazi attrezzati per il gioco e Io sport, altri servizi di quartiere), in val Bisagno il 52%, nella zona compresa tra Sampierdarena e Sestri il 70%, nei quartieri di Marassi, Quezzi e Staglie– no il 68%. La situazione è ancor più preoccu– pante per i servizi territoriali ed in particolare per l'istruzione superiore; nel ponente risulta infatti insoddisfat– to 1'87% del fabbisogno di aree da de– stinare a tali servizi, nella zona com– presa tra Sampierdarena e Sestri il 70%, in val Bisagno il 54%. Complessivamente a Genova i ser– vizi di quartiere occupano 252 ettari contro i 653 ettari prescritti dagli stan– dard urbanistici; le aree destinate al• l'istruzione superiore, alle attrezzatu– re sanitarie ed a quelle assistenziali occupano 132 ettari contro i 220 ettari prescritti. Manca inoltre il go% delle aree prescritte per parchi territoriali. E' pur vero che anche le altre gran- di città italiane ed in particolare quel– le dell'Italia settentrionale presentano macroscopiche carenze di attrezzatu– re collettive. Tuttavia la situazione di Genova risulta ancor più drammatica di quella che si riscontra a Milano, città che ha dovuto fronteggiare negli ultimi anni un aumento impressionan– te di popolazione, mentre nella nostra città, come è noto, la popolazione re– sidenziale è rimasta pressoché inva– riata. Un altro aspetto che caratterizza ne– gativamente la situazione di Genova rispetto a quella delle altre grandi cit– tà dell'Italia settentrionale è rappre– sentato dalla assoluta carenza di aree di riserva, a motivo della peculiare conformazione fisica del territorio e dell'intenso sfruttamento di quasi tut– te le aree suscettibili di urbanizzazione. Il problema delle attrezzature collet– tive a Genova non può quindi essere considerato separatamente da quello, più generale, dello sviluppo urbano, che, all'interno del territorio comuna– le, ha ormai raggiunto insormontabili livelli di saturazione. L'ipotesi guida contenuta negli stu– di per la revisione del piano regolatore della città, che prevede - come è no– to - una serie di interventi destinati a promuovere il decollo di un'area metropolitana assai più vasta dell'at– tuale ed in particolare l'integrazione del basso alessandrino al capoluogo li– gure lungo le sue direttrici del Tur– chino e dei Giovi, rappresenta anche il presupposto per avviare un'organi– ca politica delle attrezzature colletti– ve all'interno del capoluogo. In un'ipotesi di decentramento por– tuale-industriale e di sviluppo residen– ziale oltre-Appennino è indispensabile prevedere la destinazione ad attrezza– ture collettive delle esigue aree libere esistenti all'interno del capoluogo e, specialmente, di una parte delle aree industriali inattive, che assumono un ruolo strategico ai fini della ristruttu– razione urbana. Va infatti sottolineato che il decol– lo dell'area metropolitana tratteggiata negli studi per la revisione del piano regolatore, non può prescindere, co– me dimostra l'esperienza in atto nei• paesi più avanzati, dalla presenza di un tessuto di servizi collettivi adegua– to alle esigenze di sviluppo di un si– stema produttivo evolutivo. La dispo– nibilità ed il livello dei servizi collet– tivi si configurano direttamente o in– direttamente come economie esterne indispensabili per lo sviluppo di qual– siasi sistema produttivo evoluto; diret– tamente nel caso di attività di servi– zio immediatamente partecipi del pro– cesso produttivo (ad esempio; servizi d.! ricerca scientifica, di marketing, di pubblicità); indirettamente nel caso di attività di servizio che consentano alle masse lavoratrici di evitare che i loro salari reali abbiano ad assottigliarsi. E' evidente, ad esempio che, laddove non esiste un'adeguata rete di asili– nido e di scuole preparatorie, le don– ne che lavorano sono costrette a sop– portare costi e sacrifici troppo eleva– ti; che dove non esiste una adeguata dotazione di istituti professionali le imprese non possono disporre di ma– nodopera qualificata, e così via. In questo senso la carenza di aree destinate ad attrezzature collettive che si rileva a Genova rappresenta non solo una prova palese dell'immo– bilismo politico che ha caratterizzato la nostra città, ma anche della man– cata formazione di una coscienza im– prenditoriale evoluta, in grado di pro– muovere lo sviluppo economico del– l'area genovese. Gianni Cozzi bibliotecaginobianco Ottobre 1970 Nel cuore dei Balcani la Romania conduce, in nome dell'ideale comuni– sta, una difficile e pericolosa politica di sganciamento dal blocco sovietico per uscire dal ruolo di paese agricolo e per espandere, con l'aiuto dei tec– nici occidentali, l'industria nazionale. La stessa Unione Sovietica non esita, per proprio conto, a perseguire una politica di intensificazione dei rappor– ti economici e commerciali con l'occi~ dente, intesa, da una parte, a svilup– pare l'industria ed i consumi interni, dall'altra ad ampliare la propria ege– monia in Europa, non rifiutando i van– taggi offerti dallo sviluppo tecnico oc– cidentale. IL POTERE ECONOMICO IN OCCIDENTE L'Urss supera i limiti del marxismo ideologico con una prassi egemonica che usa in modo strumentale, non più etico, il linguaggio marxista, allo sco– po di raggiungere un livello tecnico efficiente e produttivistico. Resta al marxismo-leninismo una maggiore con– vinzione dottrinale capace di sostenere una carica rivoluzionaria fortemente eversiva nei confronti del mondo oc– cidentale, di cui si fanno interpreti, nei paesi occidentali, le frange extra– parlamentari. In Italia, come in Fran– cia, il Partito comunista le conside– ra con diffidenza e circospezione, mira a non esserne scavalcato e so– prattutto a non esserne sminuito ideo– logicamente per conservare la propria capacità di presa sulle masse, ma cer– ca anche di controllarne gli impulsi e le impennate che potrebbero mettere in crisi il sistema e con esso le con– quiste della classe operaia. La crisi ideologica investe, però, an– che lo schieramento dei paesi occiden– tali. Il concetto di «libertà", che sem– brava essere il massimo valore custo– dito dai regimi parlamentari, si trova disatteso dalle strutture monopolisti– che dei partiti, dai giuochi di potere, dagli accordi di sottogoverno, dalle de– cisioni politiche extraparlamentari, dai gruppi di pressione economica, dalle consorterie finanziarie. L' « apparato » sempre più sovrasta l'iniziativa della persona, che sente vanificarsi, nelle sue mani l'unica arma sino ad oggi valida, quella del voto. L'allargamento sempre più intenso dell'economia consumistica non signi– fica automaticamente progresso equi– librato della società, ma scatena spes– so forze impreviste in aperto e vio– lento contrasto. La storia più recente degli Usa, che hanno rappresentato, nel dopoguerra, il modello storicamente più valido di democrazia liberale, è caratterizzata dalle profonde crisi interne per gli in– soluti problemi di giustizia distributi– va e di uguaglianza politica, e dal sempre più aperto dissenso di vasti strati della popolazione nei confronti di una politica estera impegnata, con estrema disinvoltura, a sostenere ta– lora regimi dittatoriali e reazionari, da quello di Ngo Diem a quello da Cao Ky nel Vietnam, ai regimi militari della Bolivia e di altri paesi dell'Ame– rica Latina. Il senso pragmatico, così tipico della mentalità anglosassone, si è politicamente tradotto in una dife– sa del mito del benessere, tanto stret– tamente legato all'acquisizione dei nuo– vi mercati da far dimenticare ogni problema di distinzione politica con i paesi che costituiscono nuove aree di espansione o che garantiscono buo– ne forniture di 1naterie prime. La crisi ideologica si rivela, nelle diverse organizzazioni politiche, c01ne una sostanziale crisi di coerenza e di valori, produce linee politiche oppor– tunistiche, capaci di giostrare nel mo– do più vario pur di non mutare so– stanzialmente i rapporti di potere, la– scia irrisolti i problemi più gravi del– l'umana convivenza. In questo quadro tutte le ideologie mostrano il loro carattere strumenta– le e inappagante: l'apparente libertà del singolo come l'illusoria soluzione classista appaiono formule scadute, prive di tensione ideale e morale, en– trambe espressione di una sovrastante civiltà tecnologica che fagocita i valo– ri umani. . Forse la via del futuro, capace di ridare autentico significato umano al– le strategie politiche di nuove società, nascerà dalla rovina degli assolutismi ideologici e sarà ritrovata nella cre– scente esigenza di un dialogo e di una collaborazione tra i singoli ad ogni livello della società, nel senso vivo della comunità come organismo auto– n_omo autocosciente, che si fa trada, sia pur confusamente, nell' animo di tutti. Mila Garaventa

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