il Potere - anno I - n. 2 - agosto 1970

pag. 4 il POTERE IEJ IL SINDACATO OGGI IN ITALIA Nuovi obiettivi, nuove forme di lotta COMITATI DI BASE E GRUPPUSCOLI DI FABBRICA I METALMECCANICI ALL'AVANGUARDIA MATURITA' OPERAIA . PREMESSE ORGANIZZATIVE . L'AUTOGESTIONE COME FINE ULTIMO IL tema del rapporto tra organizza- zioni sindacali dei lavoratori ed i lavoratori è andato maturando ed evi– denziandosi in Italia a partire dalla fine del 1968, allorché, nel conflitto esploso alla Pirelli a Milano, i « comi– tati di base » apparvero per la prima volta con forza sul piano della lotta sindacale ed entrarono nella storia del movimento sindacale italiano. Poco più tardi, nel primo semestre 1969, i comitati di base fecero le loro prove alla Fiat. Ma la loro organica utiliz. zazione e, in definitiva, un loro rico– noscimento de facto, si ebbe allorché alla metà del 1969, le tre organizza– zioni sindacali dei metalmeccanici uti– lizzarono l'esperienza e la forza pro– pulsiva di questi organismi per la pre– parazione del programma rivendicati– vo che doveva costituire la base per la trattativa dei contratti nazionali. In quel momento, ed in questa fun– zione, gli organismi spontanei azien– dali e le organizzazioni sindacali tra– dizionali si diedero empiricamente re– ciproci limiti e funzioni differenziate. In realtà, riesce difficile indagare fino a qual punto il problema della demo– cratizzazione del sindacato sia stato posto ed abbia ricevuto una soluzione, di cui la stipulazione dei contratti na– zionali del metalmeccanici dovevano costituire il test più valido, e fino a qual punto, invece, abbia giocato un riuscito tentativo di adattamento alle circostanze da parte degli apparati di– rigenti del sindacati. Pericolose concorrenze Non è improbabile che la nuova linea interna assunta dalle organizza– zioni sindacai! sia stata frutto all'ini– zio di una operazione di adattamento, imposta dalle circostanze e dettata dal pericolo che lo spontaneismo sin– dacale, frutto evidente di una matura– zione operaia, di cui i sindacati non avevano probabilmente il merito, creas– se una massiccia linea eversiva, capa– ce di promuovere pericolose o, addi– rittura, decisive concorrenze. D'altra parte, la nuova politica in– terna di compartecipazione decisiona– le degli organismi spontanei di base, imbrigliando i movimenti aziendali ed i vari gruppuscoli di fabbrica e la– sciando all'opposizione frange di mi– nima consistenza, metteva le organiz. zazioni sindacali al riparo dalla as– sunzione di gravi responsabilità, che la nuova realtà industriale, nell'impat– to con la svolta contrattuale, andava loro ponendo dinnanzi. Del resto, ta– luni atteggiamenti dei sindacati, par– ticolarmente dei metalmeccanici, ave– vano, già prima dell'inizio della batta– glia per i rinnovi contrattuali dell'au– tunno, dimostrato che una certa evo– luzione nel senso di una più ampia democrazia interna s'era andata svi– luppando: la prassi, ad esempio, di non firmare gli accordi aziendali, via via che essi s'andavano concludendo, al momento della chiusura delle trat– tative, ma in tempo successivo, dopo che gli accordi stessi erano stati espo– sti, discussi e approvati dall'assemblea dei lavoratori, si era andata largamen– te diffondendo già nel primo semestre 1969, forse più sul riflesso della neces– sità di un colloquio con i non iscritti al sindacato, e quindi sulla linea di una propaganda sindacale, che non per un afflato di democrazia interna che avesse pervaso il sindacato: certo è che le organizzazioni sindacali tra– dizionali non furono colte imprepara– te dallo spontaneismo di fabbrica e trovarono rapidamente, anche se tra contrasti e con differenziazioni fra i vari ambienti di lavoro, la strada del– la democratizzazione interna, per lo meno nel momento rivendicativo. Diversa fenomenologia D'altra parte, una analisi recente– mente compiuta ha mostrato che gli organismi interni sindacali, che tenta– rono di cogliere, interpretare e farsi portatori delle tendenze di base, non erano composti di sprovveduti e di sindacalisti improvvisati, ma si tratta– va, nella maggioranza dei casi, di la– voratori che avevano precedenti espe– rienze politiche o sindacai!. Da questo accettato e istituzionaliz. zato, almeno in via provvisoria, ap– porto della base, è sorta una carta rivendicativa. In essa le richieste dei sindacati per i contratti, a parte la loro unitarietà, manifestavano una no– tevole rigidità sul piano della tratta– tiva: la carta rivendicativa infatti era, a sua volta, già essa il frutto di una trattativa interna fra i lavoratori, su cui il mandatario a trattare con la controparte (cioè le organizzazioni sindacali a livello nazionale) aveva ormai scarse possibilità di movimento. Una simile posizione contrattuale spiega la condotta della battaglia sin– dacale, quanto mai aspra e caratte– rizzante, conseguenza proprio di una rigidità di posizioni, su cui anche la opera del ministro del lavoro ebbe poco margine di manovra. Ciò spiega anche la fenomenologia dell'azione o– peraia, la quale, più che svilupparsi, come era avvenuto in precedenti occa– sioni, specie di rinnovi contrattuali, sulla piazza, all'esterno dei luoghi di lavoro, ha avuto il suo epicentro al– l'interno di essi. Qui ha assunto una varietà di atteggiamenti e di tecniche, che, al di là della discussa legalità, mostravano la loro origine endogena, adattata di volta in volta alle situa– zioni particolari, e misurata sul me– tro di una eversione, i cui contenuti erano peculiari di una determinata azienda ed erano difficilmente traspor– tabili in altre. E' certo che, una volta superata la fase contrattuale, in cui il « sistema » ha indubbiamente funzionato, sia pu– re con la spinta determinante di una mediazione ministeriale orientata in una direzione molto precisa, esso ha avuto bisogno di una verifica e di una strutturazione organizzativa sta– bile. Già nella fase contrattuale, e poi nella definitiva stesura, soprattutto dei contratti dei metalmeccanici, è avve– nuto il riconoscimento ufficiale, da ambo le parti, dei rappresentanti sin– dacali aziendali. Quello ufficiale dei sindacati dei lavo– ratori non era forse meno importante, per gli estranei alla vicenda sindacale e per gli stessi lavoratori di base, di quello delle organizzazioni imprendito– riali. Tali riconoscimenti hanno avuto il pregio, in quel momento (eravamo nelle ultime settimane del 1969), di non pregiudicare, con un formalismo, allo– ra prematuro per organismi ancora malcerti nella loro origine, nella loro struttura e nella loro collocazione ge– rarchica, la struttura e il campo di azione di tali rappresentanze. Si potrebbe osservare che la nuova gerarchia sindacale interna aziendale ha avuto il suo riconoscimento più co– me gruppo di uomini, e quasi uti sin– guli, che non come rappresentanza or– ganizzata: infatti, il riconoscimento più significativo è stato quello di un cer– to numero di ore che, annualmente, ciascuno dei rappresentanti sindacali può godere di esenzione dal lavoro, ri– compensate, per dedicarsi ai doveri derivatigli dalla sua funzione. Qui si è posto il problema organiz. b1 10ecag1nob1anco zativo, che, a questo punto, ha dovuto tener conto non solo della qualità de– gli uomini, ma delle loro connessioni con l'organizzazione aziendale, della loro collocazione professionale, del ti– po di struttura aziendale. Si voleva dare ai nuovi organismi una facies, che, pur offrendo una rappresentanza diretta, e il più possib!Je immediata a ogni singolo lavoratore, avesse una flessibilità e un adattamento alle situa– zioni e alla dinamica aziendale, senza ricorrere a un superato gerarchismo. Le commissioni interne Il problema organizzativo ha dovu– to prendere atto di un doppio ordine di esigenze. Vi era il desiderio di una rappresentanza vasta e piena, pur in relazione con le limitazoni che la let– tera del contratto aveva posto. Vi era il problema della sopravvivenza della commissione interna la quale ha avu– to, in passato, le sue indubbie beneme– renze, ma che ha in seguito dimostra– to una certa tendenza all'immobilismo organizzativo e alla cristallizzazione intorno a determinate figure, per molti versi benemerite della vita aziendale, ma, alla fine, colpevoli, agli occhi dei lavoratori, di una certa staticità di ver– tice e di qualche tendenza compromis– soria con le direzioni aziendali. Quando. si scriverà la storia delle commissioni interne in Italia in que– sto quarto di secolo, sarà interessante seguire il filone della loro capacità rappresentativa delle istanze della ba– se, nei vari momenti storici, e di fron– te al variare degli eventi sociali, di cui esse sono state, volta a volta, at– trici e testimoni, e sarà interessante ripercorrere la sequenza dei loro rap– porti con i sindacati, fino alle vicende presenti. Siamo forse all'epilogo della loro vita. Il problema è oggi quello del rapporto tra commissioni interne ed espressioni sindacali all'interno del– la fabbrica. Problemi da risolvere La organizzazione del sindacato al– l'interno dell'azienda, la sua colloca– zione nei confronti della pluralità dei lavoratori, il singolo delegato nei rap– porti con gli altri, i rapporti con i sindacati provinciali, e i rapporti con il datore di lavoro, tutto ciò ha costi– tuito materia di una vasta problema– tica, ampiamente dibattuta, soprattut– to dai sindacati dei metalmeccanici, dalla Fim e dalla Fiom in particolare, in assemblee e congressi. Si è, peral– tro, sùbito delineata la tendenza ad una organizzazione flessibile, di tipo aziendale, e per ciò stesso aderente alla necessità di una piena rappresen– tatività, si direbbe più tecnica che politica, ad una organizzazione, che, prescindendo dal numero del rappre– sentanti contrattualmente tutelati, ri– conoscesse parità di funzioni ed effet• tivo potere contrattuale a tutti quanti venissero eletti dall'assemblea del la– varatori. Si è anche delineata la ten– denza ad una azione rivendicativa dei sindacati dei lavoratori nei confronti delle organizzazioni imprenditoriali, per tentare di estendere la tutela al di là dei limiti numerici contrattualmente previsti. Tutto ciò è visto, particolarmente dalla Fim, in un'ottica di unitarietà sindacale (non vorremmo ancora dire di « unità »), che è la premessa per raggiungere l'unità giuridica dei sin– dacati. Ed è visto in una linea demo– cratica, in cui affiorano i principi del• la autoderminazione e della autoge– stione. Si pongono cioè da un lato le pre– messe organizzative: dalla assemblea di fabbrica, al consiglio di fabbrica, composto di tutti i delegati eletti dal gruppi omogenei (squadra, reparto, uf– ficio, eccetera), all'esecutivo, che dal consiglio di fabbrica dovrà promana– re, a cui dovrebbero essere affidati non compiti decisionali, ma stretta. mente esecutivi e funzionali. La esi– stenza dell'esecutivo è per altro con– trastata dall'altra, più tecnicistica, ten– denza affiorata nella Fim, che vede la funzione esecutiva affidata più pro– priamente a gruppi di lavoro, creati di volta in volta, in relazione a inca• richl e compiti specifici. Il tema dei rapporti con la commis– sione interna, e della sua stessa so– pravvivenza, è posto in genere in ma– niera drastica, particolarmente dalla Fim, che ne vedrebbe la fine al mo– mento stesso, in cui sorgono via via in azienda i nuovi organi di rappre. sentanza sindacale: ciò anche in rela– zione alla funzione unitaria di rappre– sentanza che questi avrebbero, cosi come istituzionalmente li ha la com– missione interna. Non sono mancati, in questi ultimi tempi, sul piano dei fatti, casi di dimissioni concordate di tutti i membri di commissione inter– na, che hanno segnato la pratica abo– lizione di essa in quelle aziende, ove ciò è avvenuto, ed il trapasso de facto dei poteri sin qui da esse esercitati al– la rappresentanza sindacale aziendale. Ma è questo probabilmente li tema destinato a rimanere ultimo da risol– vere nella complessa problematica del- la rappresentanza operaia aziendale, per la diversità delle situazioni locali che vedono annidate entro le commis'. sioni interne talune residue resistenze alla integrale sindacalizzazione della rappresentanza dei lavoratori. Il pro– blema è anche complicato dalla esi– stenza del!' accordo interconfederale, più volte rinnovato e attualmente in vigore nella stesura del 1966, che san– cisce le regole per l'elezione ed il fun– zionamento delle commissioni interne. Per altro, mentre la Fim sembra avere ormai decretato in pectore la fine delle commissioni interne, la Fiom pare vogha proporre per esse in al– ternativa, l'affidamento di nuo~i com– piti, non senza avvertire il pericolo, in caso di coesistenza, di inevitabili situazioni concorrenziali. Obiettivo della nuova organizzazione sembra essere, finalisticamente, la « or– ganizzazione alternativa» dell'azienda e, in definitiva, l'autogestione. ' Mario Enrico Agosto 1970 Don Milani La vittoria sul potere Trascriviamo queste parole di don Milani, che ci sembrano ri– flessioni morali autenticamente universali. Se le confrontiamo con la prassi, sorgono inevita– bilmente molti problemi. Da un punto di vista meramente S4> clologico (nel senso corrente emphico e materiale della S4> ciologia), che cosa può oggi lo uomo? L'uomo conta solo se l( inserito »: e Il prezzo dell'inse– rimento è pagato proprio con la rinuncia a quel tipo dl respon– sabilità totale che don Lorenzo Milan! affenna. Se un edltore così « inserito » come Mondado– ri pubblica il libro di un'oppo– si.zfone cattolica cos} integrale come quella del priore di Bar– biana, è certamente perché don Mllanl è morto e i suoi fogli sparsi, non più suscettiblli dl assumere un senso attualmente critico, entrano a far parte cli quel breviario di pil pensieri che mantengono areato quel mo– desto orizzonte di Ubertà che è persino la condizione del pr4> duttore: visto che il produttore ha bisogno dl conservare la sua umanità, almeno nena sfera del– l'idea]e, per poter produrre. Co– sl don Milan! può passare per uno dei tanti preti progressisti, la cui ideologia non impaurisce il nostro establishment nemme• no quando sono vivi. Tanto egli tace. La radicalità dei pensieri e la convenzionalità della cate– gorJa del prete che protesta si elidono a vicenda grazie al sf. lcnzfo dell'autore. Anche il neo– capitalismo, come i farlsel, In– nalza al profeti monumenti fu– nebri. • ... A Norimberga e a Gerusalem– me son stati condannati uomini che avevano obbedito. L'umanità intera consente che essi non dovevano ob– bedi:e'. perché c'è una legge che gli uomm1 non hanno forse ancora ben scritta nei loro codici, ma che è scntta nel loro cuore. Una gran parte_ de\l'umanità la chiama legge d1 D10, 1altra parte la chiama legge della Coscienza. Quelli che non cre– dono né nell'una né nell'altra non sono che un'infima minoranza ma– lata. Sono i cultori dell'obbedienza cieca. Conda_nnare la nostra lettera equi– vale a dire a1 giovani soldati italiani che essi non devono avere una co– scienza, che devono obbedire come auton:1i, che i loro delitti li pagherà chi h avrà comandati ... ... Ho poi studiato a teologia mo– rale un vecchio principio di diritto romano che anche voi accettate. Il principio della responsabilità in so– lido. li popolo lo conosce sotto for– ma di proverbio: « Tant'è ladro chi ruba che chi para il sacco». Quando si tratta di due persone che com~iono un delitto insieme, per esemp10 11mandante e il sicario voi gli date un ergastolo per uno e 'tutti capiscono che la responsabilità non si divide per due. Un delitto come quello di Hiro– shima ha richiesto qualche migliaio d,_ corr~sponsabili diretti : politici, sc1enz1att,tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la pro– pria coscienza fingendo a se stesso che quella cifra andasse a denomi– natore. Un rimorso ridotto a mille– simi non toglie il sonno all'uomo di oggi. E così siamo giunti a quest'assur• do che l'uomo delle caverne se dava una randellata sapeva di far male e si pentiva. L'aviere dell'éra ato– mica .riempie il serbatoio dell'appa– recchio che poco dopo disintegrerà 200.000 giapponesi e non si pente. A dar retta ai teorici dell'obbe– dienza e a certi tribunali tedeschi dell'assassinio di sei milioni d'ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quei delitto non è mai avvenuto per– ché non ha autore. C'è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai gio– vani che essi sono tutti sovrani per cui l'obbedienza non è ormai' più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di po– tersene far scudo né davanti agli uo– mini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico re– sponsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e pro– porzionale al suo progresso tecnico •· ... (Dalle « Lettere di don Lo– re:1zo Milani priore di Barbiana, Milano, 1970,pp. 259-260).

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