il Potere - anno I - n. 2 - agosto 1970

Agosto 1970 il POTERE CONTRO IL GERGO DEL POTERE La democrazia del linguaggio NELLE varie epoche è sempre esi- stita una duplicità di linguaggio: da una parte una lingua letteraria e ricercata, dall'altra una parlata popola– re. Così si è avuto il senno urbanus ed il senno rusticus nell'età di Roma e la lunga predominanza del latino sul– la lingua nazionale nei secoli seguenti. Questo ha generato spesso autentiche impossibilità di comprensione e l'uso dì un linguaggio a fini di predominio: ti– pica è la funzione e l'impiego del lati– no nella società neofeudale del '600 descrittaci dal Manzoni. Oggi in clima di democrazia, uffi– cialmente si parla tutti lo stesso lin– guaggio. La possibilità di comprensione e di dialogo dovrebbe quindi esistere per tutti, come aspetto fondamentale del rapporto tra pari su cui appunto la democrazia si fonda. Ma è evidente che, oggi, in Italia non esiste questa possibilità generale di dialogare, su base di parità, su argo– menti che riguardano aspetti determi– nanti per la vita di ciascuno, com~ quelli politici, amministrativi, sindacali ed anche religiosi. I mezzi infatti che dovrebbero per· mettere ai sinooli una presa di coscien– za della prop11n vita di uomini inseriti in una conrnnità ed un facile orienta- mento di fronte ai nuovi problemi e dare la possibilità di affrontarli non adempiono la loro funzione, nella mag– gior parte dei casi, per una diversità di linguaggio tra chi parla o scrive e chi ascolta o legge, che genera una impossibilia1 di comprensione. Bastano spesso solo alcuni vocaboli, per far sì che il periodo sfumi in una nuvola di incomprensione e, di periodo in periodo, tutto il discorso non venga compreso. molto importanti in una visione globa– le: i cittadini medi si allontnnano pro– gressivamente da letture su argomenti di carattere politico e sociale e quindi di conseguenza da problemi di questo tipo, rifugiandosi nella facile lettura di evasione che a poco a poco narcotizza la loro coscienza e svia l'attenzione ver– so miraggi che sembrano facilmente rag– giungibili e verso alienazioni piene di illusioni. D'altra parte nasce un linguaggio nuo– vo di facile comprensione e di grande presa, quello degli slogan, che viene recepito acriticamente, con somma fa– cilità. e che tende a diventare il modo di espressione ufficiale della società dei consumi, specchio fedele di un mondo ingannevole. Il problema ciel linguaggio, in con– clusione, non è una semplice questione letteraria, ma assume una angolatura chiaramente politica, poiché si inqua– dra nel problema della realizzazione di una democrazia autentica. Jl superamento di questo ostacolo, uno fra i tanti, ma non certo trascu– rabile, è affidato alla sensibilità ed alla buona volontà di quanti vogliono esse• re veramente democratici, cancellando quella posizione intellettuale, che non sa fare della cultura una ricchezza da usarsi in atteggiamento di povertà co– me strumento di massima apertura e comunicazione. Rosa Elisa Giangoia Soprattutto vi è una progressiva cri– stallizzazione di un certo numero di parole per esprimere determinati - con– cetti, che tende a sublimarsi sempre più, fjno a diventare quasi un cifrario: questo non per argomenti tecnici e scien– tifici, che hanno naturalmente termini specifici, ma spesso proprio per quei temi che più dovrebbero tendere a pe– netrare nella coscienza di ciascuno. LIBRI L'ITALIA laica è sul punto cli celebrare come si con– viene il centenario cli Roma ca– pitale. Progressisti e conservato– ri, destre e sinistre si prepara– no ad un enfatico quanto prov– visorio abbraccio sull'Altare della patria. Il « Corriere della Sera» e « l'Unità » si ricono– sceranno confratelli, e sull'on– cia delle rievocazioni e dei ricor– di dimenticheranno altri moti– vi di dissidio, come avviene a coloro che dopo una lunga lon– tananza si ritrovano per una festa di famiglia. Quella visione acritica del Risorgimento come rinascita dell'Italia, come nuova matrice che rendeva il Paese libero e! innocente dai vizi del passato, presiederà probabilmente alle celebrazioni ciel '70 ancor più • che a quelle del '61. E' singolare che proprio mentre si dice di voler costrui– re una nuova situazione, si cer– chi con tanto impegno la con– tinuità con il passato: perché voler stabilire in modo così uf– ficiale l'unità tra I'I tali a di Sel– la e quela di Colombo? l'Ita– lia dei prefetti e quella delle regioni? Perché fare ancora del set– tembre '70 il momento della identificazione nazionale, al punto che i cattolici ufficiali, con singolare disinvoltura, cer– cano di ritrovarsi anch'essi nel– la grande festa burocratica? Speriamo che i comunisti non dimentichino i giudizi gramsciani sul Risorgimento: e non dimostrino, così, che la loro candidatura al potere av– viene, come quella dei fascisti, all'insegna della continuità del– lo Stato. Così spesso quando si vuol rendere responsabile l'ignaro cittadino della pro– pria posizione nella società. si inizia con l'accusarlo di «qualunquismo», si mette in luce la conseguenza di questo suo atteggiamento nel « contesto socia– le», gli si presenta una critica dei « centri decisionali ». che agiscono sulle « strutture e sulle infrastrutture», e così via, cercando di convogliare la sua men– te verso conclusioni varie secondo la tendenza del giornale. Le idee che si cercano di dimostrare possono essere diverse, ma il punto in comune è lo stile del linguaggio, che non contribui– sce per nulla all'efficacia e all'incidenza del discorso: da questo difetto sono rese vane anche molte pubblicazioni marxiste, che pure si rivolgono per pre– supposto al proletariato. In questi casi d'altra pane non può neppure essere di valido aiuto il dizio– nario, anche se moderno cd aggiornato, poiché queste varole dalla breve vita, sovente non sono registrate, o anche se lo sono, spesso le definizioni non illu– minano a sufficienza, poiché i vocaboli hanno un significato convenzionale na– lO da poco, o si coloriscono del loro autentico valore solo nell'ambito stesso della frase: il circolo quindi è inesora– bilmente chiuso per chi non è « ini– ziato». Questo linguaggio. che possiamo de– finire fatto di formule rituali, purtrop– po sta diffondendosi ed infiltrandosi sempre più nelle pubblicazioni di vasta diffusione e nel linguaggio di quanti, uomini politici od altri, credono di ri– volgersi a tutto il popolo. Esso è certo piut10sto comodo per chi lo usa, perché non richiede sforzi di creatività e, soprattutto, spesso rie– sce a dare una patina di indetermina– tezza e cli sfuggevole inconsistenza ad un discorso. riuscendo in particolare a far evitare di chiarire fino in fondo in forma inequivocabile il proprio pensiero. Forse per questo sta sempre piè1 di– ventando il linguaggio della politica do– ve sovente attraverso sfumature e sot– tintesi si crea un discorso non del tutto chiaro per chi ascolta, pur supponendo che sia di estrema chiarezza e del tut– to c.onvincente per chi ne è autore. La parola quindi tende sempre più ad acquistare autonomia ed indipenden– za. perdendo l'aggancio diretto ed uni– voco con la realtà concreta. In questo gioco la parola diventa una ricchezza per chi la conosce e la sa usare. Per questo oggi la povertà non si misura solo più col metro dei beni materiali, ma anche in base alla parola, con tutta la sua possibilità di comprensione e di dialogo. Le conseguenze di questi fatti sono bib 1otecaginob1anco AL DI LA' DELL'AZIENDA S ALVATORE BRUNO ha pubblicato, sempre con l'editore Angeli, il suo secondo libro sull'impresa. A dif– ferenza del primo, questo ci sembra più svelto, più « smagato >l: sono i ri– sultati di un rodaggio di stile che ha il suo peso e che servono a confer– mare (o a smentire) certe doti che vengono a galla attraverso la penna. Bruno ci sembra voglia ribadire due temi che a nostro avviso restano un po' il suo originale « punto di forza)): il « no» alla cultura autoritaria che ancora oggi impera nell'azienda; il « sì » al disgelo inteso ad inglobare nell'area di potere dei « direttori » anche quelli che direttori non sono. C'è un preciso richiamo nelle pagine di Bruno a Fe• !ice Balbo e c'è uno slogan che a que– st'ultimo ci riconduce, questo: dob– biamo sostituire all'unità di comando l'unità di indirizzo. In tema di autoritarismo Bruno af– ferma: .t< ...se in una data società non cambiano i valori culturali dominan– ti, non ci si può certo aspettare che nasca in essa una cultura organizzati– va fondata su nuovi valori ». Capovolgere questa nostra cultura autoritaria non vuol dire semplicisti– camente operare per una cultura « non– autoritaria >> ma dare un senso alla «liberazione» che non sia soltanto istituzionale (sia pure a qualsivoglia livello) ma che radicalizzi appunto il discorso in termini originalmente cul– turali. A questa stregua la collaborazione, la stessa dilatazione del potere, la so– stituzione dell'unità di comando alla unità di direzione, finiscono per esse– re soltanto giochi di parole se noi non poniamo in discussione gli obiet– tivi terminali del nostro processo sto– rico. Che il potere non sia più monopolio di una élite ma sia viceversa esercita– to da tutti i membri di una stessa (< società», non infirma le 1notivazio– ni finali in ordine all'esercizio di que– sto potere. E' qui che noi registriamo la lacuna maggiore del libro di Bru– no ed ovvia1nente non solo di Bruno ma di quanti si sentono più o meno coinvolti in questo discorso. Il fatto è che l'azienda è decisamen– te troppo piccola per contenere que– sto nuovo genere di discorso, il fatto è che l'azienda è decisamente un mon– do atipico, cioè una «misura» che non può essere richiamata se non per denunciare la degenerazione ormai pa– tologica di quel più grande discorso e di quel più vasto tema che è e rima– ne la « società industriale », cioè la so– cietà moderna. A questo punto il di– lemma è chiaro: o rompiamo questo limite, oppure tenteremo di varare una corazzata in un catino d'acqua. Felice Balbo, al quale Bruno si ri– chiama con affettuosa devozione, si è fermato forzatamente a metà strada del suo cammino: egli è morto troppo presto ed il filo del suo discorso si è così spezzato proprio laddove promet– teva d'essere più a fondo portato avan– ti. Ricalcare gli scritti di Balbo può rappresentare in questo senso un gros– so limite che ritroviamo nelle pagine di Bruno anche se innegabilmente non possiamo non avvertire in esse il bi– sogno di un superamento. Partecipazione nell'azienda: Bruno giustamente fa giustizia dei << tipi)) di partecipazione più o meno alla moda: il potere, in questi casi, resta ben sal– damente nelle mani della conosciuta élite manageriale. Ma nessun discorso di Bruno sembra sostanzialmente sfio– rare i fini di questo potere. Parlare di sviluppo umano nell'impresa è, a nostro parere, peggiorare le cose. Que– sto sviluppo infatti, circoscritto all'in– terno dell'impresa, finisce fatalmente per essere uno sviluppo deformato e perciò deformante. Il lavoro respon– sabilizzato che Bruno reclama nella azienda è sì parte dello sviluppo del– l'uomo ma diventa veramente tale (ed in questo senso ha diritto ad essere definito «sviluppo») soltanto se va al di là dell'azienda, cioè se supera i confini dell'azienda stessa, se cioè, in definitiva, rinuncia al «mito)> del la– voro, se parte come processo desacra– lizzante dell'azienda, se mette in gio– co il primato ontologico della pro– duzione. Nessuna filosofia « manageriale » - anche se nutrita di espressioni che possono suonare smentita alle nostre affennazioni - è in grado di salvarci dall'autoritarismo senza rinnegare se stessa. Decisamente il discorso si fa grosso e non ci è consentito procede– re per assiomi. Al consenso che le pagine cli Bruno possono strappare nei confronti di quanti ritengono che esse, comunque sia, rappresentino una sfida al grez.. zo potere dei (< direttori», noi voglia– mo aggiungere una denuncia critica intesa ad integrarne il significato. Ciò non per diminuirne il peso né per sot– tovalutarne la suggestività, quanto uni– camente perché siamo fermamente con .. vinti che soltanto radicalizzando un di– scorso come questo sia veramente pos– sibile andare oltre i confini dell'azien– da: questo « al di là» è, infatti, ri– chiesto non solo dalla nostra espe– rienza ma altresì dalla convinzione me– ditata che la liberazione dell'uomo (e perciò il suo autentico sviluppo) deve trovare un terreno più vasto il cui prezzo è infinitamente superiore al previsto. Ora questo prezzo va messo in <Ibudget » se non vogliamo alla fi– ne ritrovarci, magari senza filo spina– to, prigionieri di un universo che è soltanto «parte» e quindi dl un fal– so universo. Franco Morandi pag. 5 Pragae il Pci OGNI anno, orma.i, si com- memorano i fatti di Pra– ga; ed ogni anno i partiti di governo sottopongono il Pci al– l'esame di maturità. li Pci si lascia sottoporre. La commemorazione di Tor– torella su «Rinascita» non con– teneva alcunché di particolar– mente nuovo: il Pci non rom– pe con l'Unione Sovietica. L'esame di maturità periodi– ca ci accompagnerà negli anni a venire fino a che Dubce'k e Pala.eh saranno dimenticati co– me sono stati dimenticati Na– gy e Maleter. La Cecoslovacchia rimane pura occasione di esercitazione ideologica. Il Psi, a questo in– nocuo livello, attesta. un anti– comunismo cli bronzo: o con Dubcek o con Breznev. Ma via, forse che i nostri socialisti a– vrebbero mai dubbi tra il po– tere e l'opposizione? Il Pci sa benissimo che se l'Italia. fosse integrata nella cor– tina di ferro, il Pci sarebbe in– tegrato al cubo: e quasi tutta la classe dirigente di oggi, to– gliattiana. (salvo i comunisti della rivista « Centro - sud", i super-ortodossi di Pescara), sa– rebbe considerata non degna di fiducia. Il Pci vuole il potere, ma lo vuole al di qua e non al di là della cortina. Il filosovietismo del Pci è un filosovietismo ob– bligato: il Psi lo sa e per que– sto si diverte a tirare le noci sull'alleato in difficoltà. E' una buona regola di concorrenza. La Ma.Ifa fa la predica ai co– munisti perché diventino come il Psi : ma lui sta poi a metà, anzi meno che a metà, tra Psu e Psi. Il compitino di ferragosto ci ha così rivelato come siano striminzite le differenze ideo– logiche tra i nostri partiti. Il Pci sa, però, che il monoliti– smo è la sua carta forte: per questo si guarda bene dal con– cedere troppo a un gioco dot– trinale, che rischierebbe di di– venire pretesto per il sorgere di correnti. Il monolitismo del Pci è, alla fine, ben rassicuran– te per una classe politica che sente troppo i limiti della pro– pria legittimazione popolare per essere disposta a mettere concreta.mente alla prova una forza che, ideologicamente la più contraddittoria., è però, in ultima analisi, la più politica– mente stabile e sicura. Un volto popolare unitario, nel momento in cui le forze auive del Paese sono divise tra i sindaca.ti e ciò che rimane della contestazione (più la pro– testa del sud: Avola, Battipa– glia, Reggio Calabria), è pre– zioso per il potere.

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