il Potere - anno I - n. 2 - agosto 1970

pag. 6 GRUPPI SPONTANEI Utopia a Rivarolo N EL momento In cui ci si pone di fronte alle nascenti e ancora in– certe realtà del decentramento urbano, è opportuno richiamarsi ad alcuni principi generali che Ardigò sot– tolineava, or non è molto, nel primo convegno nazionale sul decentramento democratico dei comuni. La prima di queste osservazioni ri– guarda il quartiere come momento del– le partecipazioni alle grandi scelte tec– nostrutturali: grande viabilità, Insedia– menti industriali, centri direzionali, eccetera. La partecipazione, cioè, del quartiere a tutta intera la vita della comunità. Un secondo momento è quello del– la autodeterminazione delle sottoco– munità a livello di quartiere: è un momento che si articola con il decen– tramento di taluni servizi e con il controllo su tutta una serie di struttu– re zonali: scuole, asili nido, viabilità minore, assistenza sanitaria. C'è infine il momento che dà vita ad una realtà comunitaria: il quartie– re diventa un centro di manifestazio– ni sociali, ricreative, culturali, un cen– tro cioè di polarizzazione popolare: non si tratta certamente di una im– maginaria e impossibile autosufficien– za, ma di una esperienza di vita co– munitaria pluriarticolata. Un modo nuovo per far politica; una risposta polemica alle sclerosi dei par– titi e delle rappresentanze politiche tradizionali. Il campo scelto dal gruppo era co– stituito da un'area, non delimitabile con precisione, compresa nella zona di Certosa, con una popolazione di poche migliaia di abitanti composta in mas– sima parte di operai. Gli obiettivi da perseguire furono In– dividuati a mezzo di un questionario che aveva reso percepibili problemi, soggettivamente sentiti, della popola– zione: asilo nido, doposcuola, verde attrezzato, spazio per i bambini, fo– gnature, inquinamento atinosferico in– dotto da una fabbrica del luogo, ria– pertura di una strada rimasta per lun– go tempo bloccata a causa di una frana con grave disagio di una parte della popolazione. Intorno a questi problemi di ordine locale il gruppo ha mobilitato, soven– te con successo, la comunità con una gamma ricca ed efficace di strumen– ti che andavano dalla promozione di assemblee di quartiere alla pubblica– zione di un periodico ciclostilato (il « controgiornale »), all'organizzazione di pubbliche manifestazioni di prote– sta, a,ll'affissione di fogli murali nei quali lo spazio bianco era riservato al– le annotazioni e alle richieste dei pas– santi. Vanno altresì ricordati i contri– buti alle attività di doposcuola (la (< controscuola »), la ricerca di un assi– duo contatto con operai e sindacati e, in genere, con le diverse forze sociali della zona. Si è trattato, Insomma, di un'espe– rienza a suo modo generosa e che ave• va In sé delle effettive possibilità di sviluppo. Eppure essa si può ormai considerare finita. Finita per una de– liberata scelta del gruppo stes~o. che ad un certo punto ha dato un giudi– zio negativo sul proprio lavoro e, più in generale, sul lavoro di quartiere. Che cosa ha suggerito al gruppo questo sconsolante giudizio? La sterilità degli sforzi, la resisten– za della pubblica amministrazione a recepire le istanze di cui il gruppo era portatore, una certa riluttanza della popolazione, o degli stessi ope– rai, a farsi coinvolgere in un solidale movimento di partecipazione? Oppu– re la convinzione, già latente e matu- il POTERE rata nel clima delle grandi agitazioni sindacali, che gli obiettivi prioritari so– no ancora da individuare non tanto a livello di sottocomunità e sovrastrut– turale, ma a livello dell'organizzazione produttiva? Non c'è dubbio che il gruppo ha ceduto al fascino delle ipotesi balzate fuori dai fatti occorsi nel luglio scor– so alla Fiat: la possibilità di costituir– si, insieme agli altri gruppi spontanei, come vere propaggini del movimento operaio e come suoi strumenti di arti– colazione a livello sociale, ha proba– bilmente «rimpicciolito» gli obiettivi di quartiere: le operazioni di decentra– mento democratico, in questa ottica di strategia operaia a livello struttura– le, appaiono insignificanti o, addirittu– ra, mistificatori. Questa conclusione lascia qualche rimpianto nei componenti del gruppo? Non certo fra coloro che proveniva– no dai partiti di estrema con delle componenti ideologiche che, anche nel– le attività di quartiere, li « obbligava– no >> a quella visione totalizzante di cui si è parlato. Il rimpianto, semmai, è sentito da coloro che, come noi, non sono dispo– sti a recitare il « de profundis>>, come fa per esempio sui « Quaderni di Azio– ne Sociale)) Giorgio Ferraresi, sul lavo– ro di decentramento comunale. Esso, se non è rivolto a fatto puramente am– ministrativo, a fatto di razionalizza– zione burocratica, è una componente indispensabile del decentramento de– mocratico e della crescita civile. II quartiere resta per noi uno degli spazi sociali in cui possono essere « in– ventate» strutture e procedure di autogoverno capaci di rinnovare alla base alcune fondamentali istituzioni rappresentative e mutare, altrettanto radicalmente, gli attuali equilibri di potere in una società che proprio nel– le aree urbane trova le sue più deci– sive ragioni di conflittualità. Vittorio Traverso Agosto 1970 A CLI I ' I rapporti con l'episcopato Concludiamo co,1 questo intervento di Enrico Della Valle, presidente pro– vinciale delle Acli genovesi, il dibat– tito sulle Acli aperto nello scorso nu– mero da Gabriele Lori. LA lettera inviata dal presidente del- la Cei al presidente delle Acli e la memoria preparata dal comitato ese– cutivo nazionale quale risposta non pos– sono essere comprese se le si esamina con senso superficiale. II vero problema posto da tali documenti è quello del rap– porto tra Chiesa e mondo del lavoro ed in particolare l'impegno della comunità ecclesiale nei confronti dell'attuale real– tà sociale. Ogni tentativo di interpretazione che non tenga conto di questo motivo fon– damentale e preminente decade e si fran– tuma nel dettaglio o peggio nelle ipotesi il più delle volte lontane da ogni realtà. Gli interrogativi contenuti nella let– tera del cardinale Poma sollevano infatti questioni alle quali non è possibile ri– spondere soltanto con dichiarazioni di buona volontà o di adesione. Questi in– terrogativi riguardano il modo di essere del movimento, la quotidiana risposta da darsi alle sollecitazioni che gli pro– vengono dalle profonde trasformazioni in atto nel Paese, l'interpretazione da se– guire ed il metodo da applicare all'in– segnamento sociale della Chiesa in rap– porto alla realtà sociale del Paese. Indubbiamente questi problemi, che riguardano la presenza della Chiesa nel mondo, sono tra i più difficili a defi– nirsi. Le esperienze storiche insegnano che in pratica le problematiche soprain– dicate si sono tradotte in attuazioni in– tegriste in quanto esaltavano il mandato rappresentativo ufficiale ed esclusivo del– la gerarchia o ponevano un'autonomia assoluta del cristiano nel mondo. Le Acli, nel riconfermare in modo esplicito la loro volontà di continuare ad essere cristiane e di contribuire così ad aprire il mondo del lavoro a nuove speranze, non hanno inteso imboccare dette tradizionali strade. Esse concepi– scono la loro azione sociale come una testimonianza dichiarata di cristiani da attuarsi in concordia con tutta la co– munità ecclesiale. In questo senso le Acli si sono sem– pre più inserite nel vivo del movimento operaio italiano sì da diventarne parte riconosciuta. Ù.uesta loro presenza è for– temente orientata a dare una valutazione cristiana dei fermenti, delle proposte, e delle varie iniziative del movimento ope– raio italiano. Esse si esprimono nelle va– rie forme di contestazione all'autorita– rismo nelle fabbriche, nella spinta verso nuovi rapporti economici per il rinno– vamento del!' intero sistema, nella ri– chiesta di partecipazione democratica e di base alla vita sindacale, sociale e politica. Le Acli di fronte a tali problemi ri– cercano scelte e risposte per testimo– niare il loro cristianesimo a tutti i lavo– ratori anche a co]oro che militano in organizzazioni di altro orientamento. E' evidente che una proposta cristia– na al mondo del lavoro non può essere disincarnata dalle situazioni con– crete esistenti nelle fabbriche e nella società. Questa è la scelta di campo delle Acli e non assume il significato di un irrigi– dimento classista o di una convergenza su posizioni socio-politiche di altri. Que– sta scelta assume il significato di com– pleta accettazione dell'impegno per tutti i lavoratori cristiani di instaurare l'or– dine temporale attraverso le energie del movimento operaio che è una compo– nente non trascurabile del progresso umano. Il movimento operaio ha sem– pre avuto una sua consistenza autonoma sia culturale che pragmatica: rispettando e accogliendo questa autonomia ed ope– rando in essa si arricchisce il dialogo tra Chiesa e mondo del lavoro; non rispet– tandola si sottrae qualche cosa al piano della storia umana entro il quale si in– treccia il piano di salvezza divina. Se questa è la prospettiva, si ha al– lora ragione di dire che la contrappo– sizione tra linea funzionalistica e linea contestativa è del tutto astratta, come è astratta la contrapposizione tra de– centramento burocratico e decentra– mento democratico, tra conflitto e In– tegrazione. Ma se questa contrapposi– zione riesce astratta sul piano del do– ver essere, tale non è sul piano dei comportamenti effettivi, dove la linea funzionalistica e la linea contestativa, di fatto, si fronteggiano. LE CONTRADDIZIONI DELLA DEMOCRAZIA E' maturata in seno alle Acli la con– vinzione che per essere componente del movimento operaio non è necessario ver– gognarsi di esserlo con una propria te– stimonianza cristiana di gruppo. Rinun– ciare a questo significherebbe appiattire l'autenticità e la ricchezza del movimen– to operaio, significherebbe rinuncrnre a lottare insieme ad altri che onestamente vogliono la giustizia. Questa convinzio– ne non rispetta l'esigenza di far comun– que numero, ma l'urgente necessità di recare qualche cosa di nostro che si componga senza snaturarsi con l'umane– simo di altri. Nella realtà delle cose si assiste, da un lato, al tentativo di interJ)retare il decentramento urbano esclusivamente In termini di razionalizzazione buro– cratica, e di ricondurre la dialettica delle forze sociali operanti a livello di quartiere nel logoro quadro delle rappresentanze politiche tradizionali: avremo ancora occasione di riconside• rare analiticamente, su queste stesse colonne, il significato di tale tentativo che sembra sostanziare le esperienze di decentramento in tanti comuni ita– liani come Bologna e Genova, e che delude qualunque attesa di effettiva partecipazione popolare. La lezione della Val Belice D'altro canto, è non meno evidente la tentazione di fare del quartiere una platea esclusivamente politica, la «cas– sa di risonanza» delle lotte che il mo– vimento operaio sostiene nelle fabbri– che. Ed è questa una tentazione più che legittima nella misura In cui essa corrisponde alle necessità di articola– re la problematica del lavoro operaio a quella dei diritti civili, l'una e l'al– tra viste nella loro interdipendenza e nel loro immediato riferimento alla condizione operaia. Ma è anche una tentazione non priva di pericoli, che rischia di rendere impossibile una lot– ta efficace per il decentramento demo– cratico dei comuni se la visione poli– tica totalizzante, che pur dev'essere alla base di questa lotta, sopraffà le dimensioni e le procedure proprie della partecipazione popolare a livel– lo di quartiere. Da questo punto di vista appare esemplare il lavoro di un gruppo spontaneo di Iniziativa politica che ha operato per quasi due anni nella de– legazione di Genova-Rivarolo. Il gruppo si è mosso su una linea contestativa, della quale occorre rico– noscere la fortissima carica di gene– rosità, di fantasia, di ostinazione, di coraggio. Costituito Inizialmente da un esi– guo numero di giovani che avevano abbandonato le fila dei partiti di estre– ma sinistra, si è arricchito poi del contributo di studenti e di giovani operai, di diversa matrice ideologica, provenienti da tutte le zone cittadine e animati tutti dalla volontà di vivere profondamente una esperienza politi– ca agganciata ai problemi degli strati sotto privilegiati della comunità. G LI avvenimenti di questi ultimi due anni nella Val Belice devo– no costituire og~etto di attento esame e possono diventare punto di partenza per un discorso politico o– rientato a realizzare un'autentica de– mocrazia. Questa valle, già economicamente e socialmente depressa, fu sconvolta nel gennaio del 1968 dal terremoto, che distrusse 17 paesi su 25. Due mesi più ta,rdi il governo dispose, con leg– ge approvata dal parlamento, un com– plesso di provvedimenti destinati a favorire la rinascita economica e so– ciale delle zone colpite: la ricostru– zione doveva iniziare subito ed essere completata entro il 1971. Ma, nel giu– gno 1970, 80.000 persone vivono anco– ra in baracche in disumane condizioni ambientali, centinaia di giovani sono stati costretti ad emigrare ed il piano di sviluppo è praticamente tutto da fare. Di fronte a questa situazione, la popolazione prende coscienza delle gra– vi inadempienze dello Stato, che si è presentato unicamente attraverso au– torità di polizia, agenti per la riscos– sione delle tasse ed arruolatori mili– tari; ed ha dato la priorità ai « do– veri » dei cittadini, rispetto ai « dirit– ti». Di conseguenza reagisce con azio– ni di alta maturità politica e di lotta civile: si svolgono assemblee popolari, marce, veglie notturne ed altre inizia– tive, dirette a sollecitare gli organi di governo a mantenere gli impegni as– sunti. Concretamente si ottengono due concessioni: l'esonero dal pagamento delle tasse e, dopo altre manifestazio– ni, l'assicurazione del ministro della difesa Tanassi che verrà concessa la esenzione dal servizio militare al mag– gior numero possibile di giovani del– la Val Belice che ne facciano doman– da e che sarà presentata al consiglio dei ministri una proposta di legge per l'esonero generalizzato dei residenti nella zona delle ultime classi. Nono– stante questo, però, nei giorni succes– sivi i giovani di leva vengono prele- b1b10ecag1nob1anco vati a do1nicilio dai carabinieri ed av– viati al Car. Il governo, e attraverso di esso lo Stato, dà ancora una volta l'impres– sione di mentire: in un Paese in cui il ritardo e la lentezza sono la regola, si mobilitano con sollecitudine le for– ze dell'ordine per ricercare dei gio– vani richiamati, nonostante le assicu– razioni del ministro, che fanno si che essi, da un punto di vista sostanziale, non siano dei renitenti alla leva. La E' UN FOGLIODI ANALISIE DI DI– BATTITO POLITICO;NON E' L'ORGA– NO, NE' LO STRUMENTODI ALCUN PARTITO POLITICO O DI ALCUN GRUPPO ORGANIZZATOAuL'INTER– NO DI ESSI. SI QUALIFICAPER LE TESICHE SOSTIENE6D E' DIRETTO A QUANTIABBIANOINTERESSEAl PROBLEMICHE DIBATTE. E' IN VEN– DITA NELLEEDICOLEDEL CENTRO. legge che prevede la ricostruzione en– tro il 1971 è stata disattesa del tutto: per la leva dei giovani si rispettano invece strettamente i terminì. Questa serie di fatti costituisce in– dubbiamente uno degli esempi più macroscopici del modo di procedere del nostro ordinamento, delle contrad– dizioni esistenti e della priorità che viene spesso data alla forma rispetto alla sostanza: quest'ultimo fatto per lo più si traduce in un atteggiamento autoritario. Da queste vicende e da queste con– siderazioni possiamo cogliere un'im– portante le:oione: dobbiamo in primo luogo cercare di acquisire un atteggia– mente di particolare attenzione per i provvedimenti emanati e di costante verifica della loro realizzazione, non concedendo fiducia illimitata allo Stato. Oltre a questo si deve credere sempre più nella possibilità di inci– dere della popolazione, quando abbia preso coscienza di situazioni ingiuste, operando con metodi democratici, ma scelti secondo una strategia lungimi– rante, che non permetterà ai deten– tori del potere di ingabbiare la pro– testa con concessioni di importanza secondaria, che non tocchino i nodi determinanti nella struttura generale. Questo implica una chiarezza di di– scorso globale, con precisa determi– nazione dell'obiettivo finale da rag– giungere, ovvero del tipo di società da realizzare. Attraverso questo duplice procedi– mento di attenzione per le promesse non realizzate e la pronta presa di posizione della base, che proprio In questa azione gradualmente matura, si può spostare l'ago del potere in senso autenticamente democratico e condizionare l'autorità del governo con la volontà popolare, al fine di togliere sempre più .allo Stato la di– mensione di autorità e renderlo tale da attuare realmente e concretamente il bene comune. R. E. G. Evidentemente quest'azione delle Acli assume un valore che trascende il mo– mento puramente sociale: esso rientra nel disegno di allargare lo spazio, la vitalità ed il peso dei lavoratori come gntppo politico revocando ai partiti, in particolare a quello comunista, la delega che essi ritenevano di avere per tutto ciò che concerne la dimensione politica della classe lavoratrice. Di qui trae ori– gine la fine di ogni forma di collatera– lismo coi partiti, compresa la Dc. Si tratta di posizioni conseguenti alle critiche che le Acli da tempo fanno all'at– tuale assetto politico e sociale del Paese monopolizzato dalle strutture partitiche preoccupate solo di assorbire sempre più rilevanti quote di potere. Tutto ciò ha generato un regime di partitocrazia nel quale i partiti vogliono essere tutto e dare risposte a tutti i problemi della società in forma sempre più assoluta. Questo non significa negare ai partiti un loro ruolo fondamentale ed insosti– tuibile nella società democratica ma si ritiene inammissibile che ai propri in– teressi essi subordinino le esigenze delle comunità locali e dei vari gruppi so– ciali, che sono le espressioni più vere e più reali dei problemi e delle istanze di tutti i cittadini e dei lavoratori in particolare. Per questo anche su questo piano le Acli vogliono dare il loro contributo per facilitare il crescere della nuova doman– da politica che nasce dal basso al fine di far maturare le tendenze al cambia– mento così vive in larghi strati della popolazione. Per concludere, all'invito ed alle preoc– cupazioni della gerarchia le Acli rispon– dono assicurando piena fedeltà alle mo– tivazioni cristiane che dal profondo del loro essere sono animate, ma in aderen– za a questo fanno proprie le istanze ed i problemi della classe lavoratrice impe– gnando il proprio essere cristiano den– tro il mondo dove esso deve fermentare. Enrico Della Valle

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