il Potere - anno I - n. 1 - luglio 1970

pag. 2 IL MOVIMENTO OPERAIO CON LO STATUTO VEDE CONSOLIDATE LOTTE QUASI SECOLARI E CON– FERMATE ASPIRAZIONI COLTIVATE DA DECENNI IL problema della tutela dei diritti del lavoratore all'interno della fabbrica si pose in tempi ormai lontani: nella seconda metà del 1952. Esso probabil– mente ebbe origine in una ricerca con– dotta dagli aclisti di Milano relativa a « numerosi atti ostili compiuti dai da– tori di lavoro per ostacolare il libero sviluppo dei movimenti sociali e sinda, cali » nei posti di lavoro e nella suc– cessiva approvazione di un progetto da parte del terzo congresso della Cgil che si intitolava « Statuto dei diritti dei la– voratori nelle aziende ». Si ebbe, quindi, un primo intervento politico con la costituzione di una com– missione parlamentare d'inchiesta (che nel volgere di un quadriennio conclu– deva i lavori confermando pienamente la situazione originariamente denuncia– ta); ma si dovrà attendere il 1970 per vedere approvata una legge dal titolo significativo « Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindaca– le nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento ». Le ragioni di un ritardo cosi pesante si ritrovano nei silenzi, nelle resistenze e forse nelle incapacità di tante forze sociali e politiche: che il mondo im– prenditoriale fosse contrario è facile spiegarlo; per le ragioni opposte la Cgil, più direttamente colpita dalle pratiche illiberali, portò avanti il problema fin dall'inizio, ma restano ancora da spie– gare le ragioni per cui essa abbia a lungo accettato ipoteche così pesanti per la sua organizzazione e per le sue poli– tiche. Sarebbero forse istruttive specifi– che ricerche sulla quantità e qualità del– le agitazioni sindacali che la Cgil riuscì a scatenare su questo problema, di cer– to buone occasioni per una favorevole soluzione non dovettero mancare. DIREZIONEPOLITICA: BRUNO ORSINI FILIPPO PESCHIERA Direttore responsabile: Alberto Gagliardi UFFICI: via De Amicis 2 (V piano) 16121 Genova Aut. del Trib. di Genova n. 14/70 del 4/4/1970 Una copia lire 100 Abbonamento annuo lire 1000 Il versamento può essere effettuato tramite assegno o vaglia postale in– testato a • Il potere •, via De Ami– cis 2 - Genova, oppure usufruendo del c/c postale n. 4/6580 intestato a • Il potere• Distributore: Tardito, via S Stefano 32 Genova Tipografia: Grafica BI-ESSE- Genova Telefono 58.18.60 il POTERE Le speranze dei lavoratori Giudizi pm severi si possono adde– bitare alla passata politica della Cisl, che se inizialmente fu beneficiata dalla politica discriminatoria condotta in non pochi posti di lavoro, con la pratica dei cosiddetti premi di collaborazione e degli accordi separati, ad esempio, do– vette toccare con mano nel volgere di tempi non lunghi la verità abbastanza ovvia che la battaglia per una maggio re libertà anche nella fabbrica non è divisibile e che pertanto le pratiche illi– berali finiscono per ritorcersi anche con– tro coloro che inizialmente ne sembra– no avvantaggiati. Analoghe riserve si potrebbero muo– vere all'atteggiamento in buona parte disimpegnato di cui dette prova al ri– guardo il movimento dei cattolici italia– ni operante sia al livello sociale, sia a quello più direttamente politico. Non risulta che in quegli anni le sini– stre democristiane abbiano assunto spe– cifiche e forti posizioni per la tutela dei diritti dell'individuo e del sindacato nella fabbrica; non a caso anche le rivi– ste più prestigiose che si pubblicarono nel dopoguerra (si pensi a Cronache sociali) rivelavano sconsolanti silenzi. Né risulta che le stesse organizza– zioni cattoliche, per alcune delle quali la tutela della personalità umana costi– tuisce oggetto di persistenti riferimenti (istruttivi, ad esempio, gli atti della Ucid), abbiano mai mosso specifiche denuncie; invero non erano mancate voci autorevoli, se pure isolate, come quella dei gesuiti del San Fedele di Milano che nei primi mesi del 1960 ave– vano denunciato, a chiare lettere, la politica apertamente discriminatoria di grossi complessi industriali, specie di quelli situati lungo l'asse Torino, Mila– no, Bologna. Bisogna riconoscere che se le Acli non avessero suscitato il pro– blema nel lontano 1952 e non lo aves– sero succesivamente mantenuto ben fer• mo con reiterati richiami, oggi si po• trebbe imputare all'intero mondo catto– lico silenzi, e forse complicità, su fatti che hanno pregiudicato così a lungo i diritti essenziali della persona umana. Furono le prime agitazioni unitarie del 1959 a riportare all'attenzione del potere politico la gravità delle questio– ni del lavoro a livello della fabbrica e a porre in crisi le tendenze verticistiche e burocratiche comuni a cospicui setto• ri sindacali, proponendo l'urgenza di condizioni generali di libertà sul posto di lavoro. In una situazione siffatta era logico che il potere politico riprendesse in prima persona l'impegno di un diret· to intervento; e questa è la storia non breve degli anni che vanno dal primo impegno quadripartito del centro - sini– stra fino all'approvazione dello statuto da parte della camera dei deputati a metà maggio. Ciò premesso possono essere utili al– cune osservazioni sul merito dello sta• tuto. IL MOVIMENTO OPERAIO AL LIVELLODELL'IMPRESA ENTRA ORMAI NELLA FASE DELLA SUA MATURITA' Intanto sarà conveniente ribadire la assoluta necessità dell'intervento legisla– tivo. Le risultanze pubblicate dalla com– missione parlamentare d'inchiesta con– tenute in decine di volumi provano in maniera inequivoca, ad esempio, l'ur• genza di specifiche disposizioni volte ad impedire che le guardie giurate, che secondo la stessa legge di pubblica si– curezza fascista dovrebbero vigilare e• sclusivamente sul patrimonio aziendale, vengano utilizzate per il controllo del– l'attività lavorativa (art. 2): come non ricordare i servizi di vigilanza predi– sposti dalla Fiat mediante guardie giu– rate travestite da operai per il controllo dell'attività sindacale dei suoi dipen– denti? Come non giustificare una revisione totale dei princìpi correnti in tema di esercizio del potere disciplinare e la conseguente necessità della contestazio– ne dell'addebito e della relativa assi– stenza del sindacato? (art. 7). Possono obiettivamente respingersi le disposizioni, di cui agli articoli 14 e seguenti, volte a ridefinire il concetto di libertà sindacale al livello della fab– brica, escludendo, ad esempio, la pra– tica dei premi di collaborazione ero– gati, come si è visto, dalle più grosse aziende italiane per premiare lo zelo dei crumiri? Come non approvare il principio del– la reintegrazione del posto di lavoro (art. 18) diretto ad escludere la pos– sibilità che l'imprenditore mantenga fermo il licenziamento risultato non giu– stificato, dietro la semplice erogazione di alcune mensilità; possibilità questa che in altri paesi, non socialisti si badi, è già stata esclusa da vari decenni, co– me risulta, ad esempio, dall'ordinamen– to del lavoro della Germania di Bonn? In definitiva l'intervento del potere politico dovrebbe apparire necessario a chiunque creda seriamente nei valori di una sostanziale libertà; anche in questa circostanza appare incontrovertibile la facile osservazione per cui se non si voleva l'intervento statuale in questa materia era necessario che l'autonomia degli interessati trovasse in sé la forza per eliminare alla radice quelle situa– zioni di prepotere che consolidandosi hanno reso alla fine inevitabile l'inter– vento dello Stato. E con ciò si risponde alle principali riserve che finora si sono appuntate sullo statuto sia da parte im– prenditoriale sia dalla Cisl; ai primi, in altre parole, si può eccepire che se non si voleva lo statuto era necessario un maggior autocontrollo nell'esercizio del– la pratica illiberale sul posto di lavoro, e alla Cisl che vede nello statuto un attacco alla « privacy » sindacale, si può chiedere ragione del persistente silenzio che per oltre un decennio ha riservato alle denuncie che la Cgil andava accu– mulando sulle violazioni dei più ele– mentari diritti del lavoratore. Così spiegata la portata della prima parte dello statuto relativa ai rapporti del lavoratore con l'imprenditore, resta da accertare il significato della parte seconda che si occupa essenzialmente dei diritti del sindacato sul posto del lavoro. Con l'articolo 19 viene riconosciuto al lavoratore il diritto di costituire una rappresentanza sindacale aziendale nel– l'ambito delle confederazioni maggior– mente rappresentative o comunque di quelle associazioni pur non affiliate al– le predette confederazioni che risultino firmatarie di contratti che si applicano nell'unità produttiva. E' facile comprendere la rilevanza storica di questa regolamentazione: il movimento operaio al livello dell'impre– sa entra ormai nella fase della sua ma– turità. Con la costituzione delle com– missioni interne esso ebbe inizio al prin• cipio del secolo; fu un inizio tormen– tato (per le riserve burocraticistiche del sindacato e per l'opposizione spesso se– vera degli imprenditori) che si conclu– se dopo il messaggio dell'Ordine Nuo– vo e l'occupazione delle fabbriche, con l'avvento del regime fascista. In termi– ni pressoché identici, sottoposta alle stesse riserve ed opposizioni cli prima, la presenza sindacale nell'impresa si ri– propone con il secondo dopoguerra fin- ché, dopo il 1950, la Cisl richiese radi– cali mutamenti. Con il 1953 infatti la Cisl pose il problema di una diretta presenza del sindacato sul piano della fabbrica se– condo il modello di sezioni sindacali a– ziendali, presupposto necessario per un analogo rovesciamento di obiettivi sul piano della contrattazione collettiva: dal contratto nazionale al contratto di set• tare ed aziendale. Si tratta di ribaltare un modo di soluzione delle controversie economiche quasi secolare e di creare nel contempo almeno una battuta d'ar– resto alle tendenze verticistiche della organizzazione sindacale. Sfortunatamen– te, almeno all'inizio, l'occasione andò perduta; infatti mentre la Cgil non mo– strava di comprendere l'effettiva porta– ta di siffatti mutamenti, la stessa Cisl, almeno inizialmente, non intese sfrutta– re a fondo questo nuovo congegno di presenza sindacale: non a caso le Sas, dove si costituirono, restarono per anni semplici strumenti di proselitismo sin– dacale. E così si chiuse oltre un decen– nio di speranze frustrate. MOTIVI DI COMPIACI– MENTO PER I SINDACATI Con il 1968 si apre nella storia del movimento operaio al livello della fab– brica una terza epoca che ancora dura; sotto la spinta di un movimento ope– raio ampiamente deluso, sorgono nel volgere di brevissimi tempi organismi unitari, specie nelle grosse e medie im– prese, che in gran parte sono i protago– nisti degli ultimi rinnovi contrattuali e delle varie stagioni calde. In questa fa– se si inserisce con forza il problema del• lo statuto dei diritti. Sarebbe profondamente errato misco– noscere la portata innovativa di questa seconda parte dello statuto che offre al movimento sindacale una buona le• gislazione di sostegno; il movimento o– peraio con lo statuto vede consolidate lotte quasi secolari e confermale speran– ze da decenni coltivate. L'impresa liberale, modellata dai codi– ci del secolo scorso e per tanti aspetti confermata dalla codificazione corpora– tiva e non certo convincentemente con· traddetta dalla costituzione repubblica– na, subisce mutamenti che avvicinano ancora iJ tema della sua riforma: l'om– bra proprietaristica tende a ridursi dal– le persone alle cose e lo stesso contratto di lavoro riscopre ulteriori motivi per una sua revisione. Sotto questo profilo i sindacati maggioritari Cgil, Cisl e Uil trovano motivo di compiacimento: quel– le stesse politiche da essi a suo tempo separatamente combattute in definitiva risultano essenziali all'intero discorso dello statuto. CERTEZZE E INTERROGA– TIVI DI FRONTE AL PAESE CHE CAMBIA Se la Cgil non avesse combattuto la lotta delle libertà nella fabbrica e la Cisl quella del sindacato nell'impresa, oggi lo statuto dei diritti non sarebbe a portata di mano dei lavoratori. Tutta– via non possiamo esimerci da talune riserve. Se è vero - come non pare potersi dubitare - che senza una costante pres– sione della base operaia forse oggi il sin– dacato sarebbe ancora fuori della fabbri– ca, non si può non chiedere ai sindacati maggioritari quale uso intendano fare di una siffatta legislazione di sostegno e più in particolare al diritto di convo– cazione dell'assemblea, del diritto di ri– chiesta del referendum, dello stesso di– ritto alla tutela dai trasferimenti. Va da sé che da una risposta esaustiva non potrà domani sottrarsi il sindacato. Il rischio di più marcate fratture fra sindacato e movimento operaio risiede forse nelle risposte che si vorranno dare a questi interrogativi. Per ora il giudizio potrebbe essere ottimista: i sindacati italiani, a diver– sità dei partiti, rivelano una buona pron– tezza nel recepire i discorsi e le richie– ste del Paese che cambia. Effepi bibliotecaginobianco Luglio 1970 lA10NH!lNIA 01 ![NOVA I metalmeccanici marciano ~erso l'unità sindacale Il presente articolo è stato scritto all'indomani della confe– renza e non riveste più, quindi, oggi il carattere dell'attualità. Tuttavia riteniamo opportuno pubblicarlo perché i termini del problema sono tutt'ora immu– rati. LA conferenza dei tre sindacati metalmeccanici italiani, inizia– tasi in un clima psicologico piutto– sto freddo, si è via via riscaldata sotto la spinta unitaria dei delegati. Il timore dei massimi dirigenti fe. derali di eventuali intoppi che po– tessero compromettere la marcia di avvicinamento verso l'unità si era trasmessa visibilmente ai delegati i cui interventi iniziali ne risenti– vano notevolmente; troppi erano i gruppi politici ed anche sindacali interessati ad un clamoroso arre– sto della n1arcia di avvicinamento unitaria, ed anche se tali gruppi erano all'esterno delle tre federa– zioni, essi riuscivano a far sentire la loro influenza su alcuni gruppi di delegati. Ma il clima dei lavori migliorava nei giorni successivi ed i risultati non mancavano : la approvazione pressoché unanime (due voti con– trari e quattro astenuti nella terza commissione) dei tre documenti conclusivi della conferenza ed il discorso di chiusura del leader del– la Uilm, Giorgio Benvenuto, han– no confermato che quasi tutti gli ostacoli sono stati travolti dalla forte spinta unitaria dei metalmec– canici italiani. Sul piano dei risultati il più im– portante è l'avvio di una fase pre– unitaria di dibattito alla base che dovrà culminare in una prossima conferenza convocata nel mese di luglio che dovrà dire la « parola decisiva» sul sindacato unico dei metalmeccanici italiani. Ma non vanno trascurati il vi– gore e la tempestività della rispo– sta sindacale all'azione padronale e politica di rivincita rispetto alle conquiste economiche e di potere dell'autunno sindacale. Obiettivi centrali della lotta con– cernono l'elevamento della quota esente per le imposte dirette dei lavoratori dipendenti (da 20.000 a 110.000 lire) e la « definizione di una riforma fiscale che modifichi radicalmente la logica regressiva del sistema tributario italiano ». Sui problemi dello sviluppo del Mezzogiorno i metalmeccanici ita– liani - oltre a concorrervi attra– verso una applicazione rigida alle nuove norme contrattuali sull'ora– rio di lavoro e sullo straordinario - hanno indicato ai pubblici pote– ri l'esigenza di « usare l'Istituto dell'autorizzazione all'insediamento di imprese di rilevanti dimensioni (oltre 5 miliardi di investimento) come strumento selettivo atto ad impedire l'ulteriore congestione di molte aree del Mezzogiorno ». Un'indicazione del tutto origina– le e priva di spirito corporativo che indica anche il livello politico generale raggiunto dai quadri di queste associazioni. La conferenza ha deciso di adot– tare una serie di misure unitarie - giornali unificati a tutti i livelli, sedi di fabbrica uniche, formazio– ne unitaria, etc. - ed ha indicato nel « consiglio di fabbrica», com• posto dai delegati eletti da tutti i dipendenti, l'organismo di base che dovrà sostituire via via quelli esi– stenti (commissioni interne, sezio– ni aziendali, etc.) per costituire la matrice del sindacato unitario. Tre giorni di dibattito acceso e non privo di contrasti hanno detto che la parte più avanzata del sinda– calismo italiano è pronta a costituire un sindacato unico nuovo « auto– nomo e di classe » che certamente non sarà solo nella via dell'unità sindacale. Nicola Cacace

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