il Potere - anno I - n. 1 - luglio 1970

pag. 6 MOVIMENTO STUDENTESCO Dissenso I senza • strategia POTREBBE apparire che una rifles- sione oggi su alcune fasi del mo– vimento degli studenti si configuri co– me un' alienazione ideologica per lo studente politicamente attivo: di fron– te alle esigenze dell'azione, il ritornare su avvenimenti e problemi definitiva– mente superati nel corso della prassi e quindi implicitamente il rimettere in discussione dati ormai acquisiti po– trebbe aprire la strada ad una nuova ideologia conservatrice. D'altro canto non si può negare il pericolo di un pragmatismo che, rifiu. tando ogni forma di riflessione sulle implicanze ideali dell'azione, e limitan– dosi ai problemi di immediata con– cretezza rischia di non saper più si– tuarsi in rapporto ad un progetto glo– bale di società nuova. E' anche per questo che non ci sem– bra inutile ripensare i fatti alla luce degli avvenimenti successivi, allo sco– po di coglierne l'attualità e i limiti che ne hanno ostacolato lo sviluppo, per non dover concludere con Gram– sci che « la storia è maestra senza di– scepoli». L SORGERE DEL MOVIMENTO: LA CRISI DELLE DUE IPOTESI RI– FORMISTE. Fino all'autunno del '67 si possono distinguere nel mondo politico univer– sitario due ipotesi riformiste. La pri– ma era quella del riformismo spiccio– lo, della riforma sostanzialmente tec– nica nell'interno della logica di immu– tati equilibri di potere, finalizzata ad un miglior coordinamento della pre– parazione universitaria con le esigen– ze della produzione capitalista. Era la posizione che tendeva a risolvere il problema del passaggio da una uni– versità di élite ad una scuola di mas– sa con proposte di tipo efficientistico: più aule, più laboratori, più docenti, ignorando completamente, o meglio ri– solvendo a suo modo, il problema del rapporto università - società e quindi del contenuto e finalità della didat– tica. quanto richiede una distinzione (non una separazione) ed una divisione dei compiti tra le varie forze sociali in lotta, stabilendo un collegamento per esercitare una pressione unitaria sui detentori del potere. Per gli studenti ciò ha significato in pratica l'assem– blea permanente, che si costituisce in contro-potere, e che sfociò nell'elabo– razione delle varie « carte rivendicati– ve)>, cui corrispose un atteggiamento di reazione e di repressione da parte del governo e di impreparazione e diffidenza nelle forze della sinistra partitica. ASPETTI DELLA SITUAZIONE GE– NOVESE. A Genova, nella fase di maggior par– tecipazione e di lancio del movimento nell'occupazione interfacoltà del feb– braio-marzo 1968, questa ipotesi non fu semplicemente battuta come negli altri atenei italiani, ma quasi non si configurò. Ci furono, è vero, accenni alla creazione di « nn'università criti– ca» soprattutto nella commissione sul• la didattica, che aveva lo scopo di esa– minare il problema della manipolazio– ne ideologica della scienza e dei con– tenuti e dei metodi della didattica; ma la crisi del dibattito assembleare con la tendenza all'affermarsi di capi carismatici polarizzò l'attenzione sul rapporto rivoluzione-riforme, estremiz– zandone l'alternativa e cadendo soven– te in una sorta di manicheismo del tutto male oggi e del tutto bene do– mani. Si sosteneva infatti, dietro l'in– fluenza del pensiero marcusiano, la positività della negazione e del dissen– so di per sé. Era manifesta la tendenza degli stu• denti a costituirsi come detonatore della rivoluzione e a rivendicarne di fatto la leadership: significativi in que– sto senso sono i rapporti tutt'altro che facili col mondo sindacale e ope– raio in questa fase. Ciò che non con– sentì tra l'altro di utilizzare piena– mente quel potenziale di mobilitazio- il POTERE ne culturale e di tensione ideale, che il movimento aveva determinato. La fortuna incontrata dalle teorie marcusiane sulla concentrazione del potere nei suoi livelli, che configura l'organizzazione sociale come « siste– ma», per definizione capace di auto– conservarsi e non riformabile, come pure i suggestivi slogan che dagli scon– tri con il corpo docente e la polizia si rifacevano allo schema precostitui– to «autoritarismo-capitalismo-imperiali– smo » indirizzano gli studenti politiciz. zati ad una ricerca per lo più tattica, che non si tradusse in una strategia politica organica. Anche a Ci<moval'ipotesi di una ri– voluzione che escludesse la strategia delle riforme come mezzo a fine di un radicale cambiamento sociale, pro– vocò di fatto una frattura tra la ba– se studentesca ed i quadri, i quali ormai si dedicarono in modo presso– ché esclusivo ad una presenza nel mon– do operaio, impegnandosi nel lavoro di quartiere e nelle agitazioni di fab– brica. Ciò consenti a gruppi di destra di organizzarsi, incentrando il discorso su aspetti giuridico-formali, come alla provocazione dei gruppi neofascisti di aumentare lo stato di tensione. Una soluzione particolare e per cer– ti aspetti nuova si creò ad ingegneria; essa si espresse in una mozione ap– provata in un'assemblea interfacoltà nel novembre 1968, nella quale si ten– tò di teorizzare il ruolo di « un'univer– sità critica» che non si ponga in ter– mini efficientisti nei confronti delle varie ipotesi sociali, recuperando così l'autentica dimensione politica che l'università ha. Elaborato quindi il ruolo dell'uni– versità critica, posta in evidenza la necessità di una strategia di contem– poranea riforma dell'università e di azione nella società, secondo la quale l'università si costituisca come strut– tura critica di per sé, e nello stesso tempo orienti i contenuti culturali al– le esigenze della trasformazione socia– le, venne a mancare la traduzione in termini di azione politica su questa linea. Forse anche l'assenza di questo sof– focò progressivamente il movimento, che perse man mano la sua caratteri– stica di realtà macroscopica e la ca– pacità di elaborare un discorso auto– nomo fino a diventare, tranne vistose eccezioni, nella fase attuale momento interlocutorio alle proposte ministe– riali di liberalizzazione degli accessi e dei piani di studio. Ritorna così su posizioni rivendicativo-sindacalisti– che, in rapporto alle quali solo una minoranza ideologizzata conduce una opposizione a carattere politico, rifiu– tando le leggi governative in quanto tentativo da parte di chi gestisce il potere di recuperare l'università alle esigenze del «capitale» e di renderla funzionale al sistema. Rosa Elisa Giangoia Carlo Biancheri Luglio 1970 LE ACLI Chiesa I I o milizia? Apriamo con questo intervento, non redazionale e rispecchiante il solo pen– siero dell'autore, un dibattito sulle Acli. li discorso non può essere impostato semplicemente rispetto alla questione dei rapporti fra Acli e Dc, ma rispetto al contributo che l'impegno del movi– mento aclista dà aJlo sviluppo storico della presenza cristiana nel mondo. Pubblicheremo, sempre con questa pro– spettiva, nel prossimo numero un arti– colo di Enrico Della Valle, presidente provinciale delle Acli genovesi. LE critiche ecclesiastiche alle Acli possono essere intese in due sensi: come censura dottrina– le o come avvertimento di carat– tere pratico. L'elemento di censu– ra dottrina/le è stato, questa vol– ta, innegabile, ma non prevalente. In primo piano sono, invece, due questioni pratiche: si chiede– va infatti alle Acli se intendono essere un movimento di predica– zione cristiana e se esse non gio– vino, di fatto, con la loro azione, al Pci. Alla prima questione le Acli possono rispondere, come hanno fatto, sostenendo il primato della pratica sulla teoria; alla seconda possono rispondere di non aver per nulla intenzione di sostituire il coHateralismo alla Dc con il collateralismo al Pci. I problemi che la Cei ha solle– vato sono indubbiamente reali, ma suscitano perplessità per i tempi e per i modi con cui sono stati posti. Infatti le Acli cammi– nano ormai da parecchi anni sulla via raggiunta dal loro ultimo con– gresso di Torino: se i princìpi che hanno condotto le Acli alle loro scelte erano giusti, le con– seguenze che ne derivano sono irrefutabili. Ma la risposta delle Acli alla Cei dimostra quanto discutibili fossero i princìpi da esse enun– ciati, già dai lontani anni '50, con il « Libro del militante aclista ». Le AcJi hanno sin d'aHora accet– tato, con Labor, la visione classi– sta della società ed hanno assun– to il classismo come ideologia. Per le Acli, da tempo, predica– zione, testimonianza, apostolato, sono parole storicamente astrat– te, perché, secondo esse, l'unico mezzo per cambiare la società consiste nella lotta. E non sono certo soltanto •le Acli a sostenere questi princìpi: esse ne enuncia– no semplicemente la versione mo– derata. Perciò dire che le Acli debba– no predicare il Vangelo suona og– gi ai militanti formati da Labor come mera mistificazione ideolo– gica e come puro tentativo rea– zionario di disperdere l'azione di classe: la predicazione cristiana, in una visione classista, diviene oggettivamente la quinta colonna del nemico. Questo ci pare il pro– blema. Si muovevano in quest'arco le asso– ciazioni di politica universitaria di proiezione partitica della destra libe– rale e la quasi totalità dei docenti, preoccupati da un lato, nel caso dei titolari di cattedra, di mantenere intat– te le loro prerogative e dall'altro, per gli incaricati e gli assistenti, di riven– dicazioni settoriali e corporative. LA "PERLA,, DEL TIGULLIO Ma dubitiamo che la Cei o le Acli vogliano elevare la foro po– lemica a questioni di principio. Da molti anni, purtroppo, si è rinunciato a chiedere al cristiano la coerenza sul terreno civile. A suo tempo sono stati accettati i clerico-fascisti e poi i clerico-libe– rali; perché non accettare, dopo i clerico-socialisti, i clerico-comuni– sti? Non è questo un'ottima po– litica di braccio secolare? Le Acli d'altro Uato trovano confortevole essere rivoluzionarie nel calduc– cio ecclesiastico: ciò fa, tra l'al– tro, dei loro dirigenti, i capi di una organizzazione rispettata e potente. _____ _.....TLCTlT __ ,_orno_., ~-C-o-m-,.-ta-to-d-," -D-1"f_e_s_a_C-,-.v-,.-c-a---, Suquesto punto programmatico pr mario è auspicabile lacon– ferma più larga dell''unità dell'eleltorato democristiano ciltadino La seconda ipotesi, teorizzata dai gruppi di politica universitaria della sinistra si configurava come W1a for– ma di sindacalismo, la cui strategia consisteva nel far compiere le riforme alla classe politica, mediante una pres– sione discontinua dall'esterno. Una va– riante di questa formula perdurò an– che nel movimento per qualche tem– po mediante la così detta strategia « degli obiettivi intermedi,,, il potere dietro la pressione degli studenti com– pie le sue riforme di struttura in mo– do sempre inadeguato, ma anche più avanzato. Un'attenta analisi dell'atteggiamento del governo prima e dopo l'esplodere delle agitazioni in università dimostra in quanto poco conto questa proposta tenesse la capacità delle classi diri– genti di mistificare le «concessioni», le quali si presentano non già come progressive, ma finalizzate, nella so– stanza, a mantenere gli equilibri di potere esistenti. Un discorso a parte va fatto per la Intesa, che fino ad allora aveva assor– bito dagli ambienti cattolici l'ipotesi « del professionista intellettuale», cioè la capacità dell'individuo di valutare la destinazione della sua opera e di far passare all'interno della prestazio– ne tecnica il proprio patrimonio di ideali, dando ad essa un carattere di contributo civile. Una posizione indi– vidualista e astratta che si traduceva a livello di azione politica in un at– teggiamento oscillante tra l'ipotesi ra– zionalizzatrice e quella sindacalista. La prima occupazione di palazzo Campana, a Torino, segnò un salto di qualità: il dissenso nuovo si carat– terizza con una presa di coscienza a livello di massa delle disfunzioni e delle contraddizioni dell'università, ca– talizzando in breve tempo le attenzio– ni di sempre più larghi strati di stu• denti sull'interdipendenza tra universi· tà e società e quindi del rapporto tra i corpi docenti e i detentori del pote– re economico e politico. E in questa fase, importantissima a livello culturale, che si configura un'ipotesi politica di notevole interes– se: la tendenza cioè ad una strategia delle riforme mediante una loro ge– stione diretta o indiretta dal basso. Si tratta di una strategia settoriale in «Amisura dell'uomo» losviluppo diRapallo PubblicWaino due ...documenti •, due 1m. magioi parallele di una figura politica, il sindaco di Rapallo. Il primo è Il titolo del resoconto che il quotidiano genovese « Il cittadino», in data 5 giugno 1970, dà del comizio del grande ufficiale Rinaldo Turpini, che presenta la devastata imma– gine della perla del Tigullio come il suc– cesso cU una politica urbanistica a misu– ra umana. Il testo dell'articolo sottoli– nea l'impegno della Dc nella politica ra– pallese mediante la candidatura del pro– fessor Fausto Cuocolo, •...candidato parti– colarmente autorevole e prestigiosa scelta della Dc ... per contribuire al supera.men• to dei contrasti dando a tutti gli elettorl democristiani di Rapallo la possibilità di ritrovarsi uniti nella scelta del loro rap– presentante in consiglio provinciale». Il secondo documento indica il modo con cui gli amici di Turpini turlupinano gli impegni e mantengono fede alla loro natura di gruppo di potere « al cli sopra delle parti:.., Di questo non ci meravigliamo. Tutta– via definire Io sviluppo urbanistico di Ra– pallo « a misura dell'uomo» cl pare un po' forte anche per il grande ufficiale Turpinl. A quali misure allude qui il nostro be– nemerito della repubblica? Non pretendia– mo che egli abbia letto Ramuz, ma sol. tanto che mostri nelle espressioni lingui• stiche il medesimo occhiuto realismo che mostra nelle scelte economico-politiche. Se ama scegliersi dei ghost writer, chieda lo• ro una maggior sobrietà negli slogan: le vie del potere sono oggi più sicure quan– do si rinuncia modestamente alla propria razione cli gloria. Ci congratuliamo invece per questa abi– le campagna elettorale, che va al di là delle correnti e dei partiti. Rlcorcllamo semplicemente che il professor Cuocolo, diventato consigliere provinciale sul filo del rasoio, avrebbe avuto dirltto ad una maggior gratitudine e che ai candidati dc alle eleziool regionali coinvolti, verosimil– mente a loro insaputa, in tale propagan– da non è stato certo reso un buon servizio. b1010ecag1nob1anco Elettori! Nell'interesse dì Rapallo Votate cosf: Elezioni Regionali (Scheda verde) Elezioni Provinciali (Scheda gialla) Elezioni Comunali (Scheda grigia) (i) Boero Ghio Grandi Marco Turpini Canessa 7 16 30 7 ------ Linguadoro 17_ Roncagliolo 26 Così, alla fine, temiamo che tutta la questione si sia risolta semplicemente nel bloccare qual– che passo pratico che le Acli, ma– gari in unione all'Acpol, avessero potuto meditare in occasione del le recenti elezioni regiona•li. Se invece la discussione doves se raggiw1gere un livello dottri nale autentico, darebbe dignità storica e valore spirituale a tutt' coloro che fossero capaci di so stenerla. Per quanto ci concerne, non ne ghiamo la necessità di lotte giu ste: la storia della cristianità e purtroppo wrn continua storia di contrapposizioni anche violente Affermiamo la piena legittimi tà del sindacato ed anche, sul pia no che gli è proprio, quella de partito operaio. Ma neghiamo la legittimità della Chiesa operaia perché crediamo che, nella Chie sa, sia presente la realtà divino umana, la realtà escatologica e non semplicemente la realtà stari ca. Perciò le Acli, se debbono es ser Chiesa, non possono essere esercito: ne va, proprio, di quel– la distinzione tra Chiesa e poli– tica, che è un riflesso ed un ef– fetto deHa distinzione tra escato– logia e storia. Per quan'to possa sembrare stra– no, le idee di Labor non sono un progresso, ma un regresso: fanno delle Acli la versione aggiornata della cavalleria. La storia di oggi chiede, invece, qualcosa di più universale, di più autentico, di più ecclesiale. Que– sto è iii decisivo contributo cri– stiano al deperimento degli isti– tuti che esprimono il potere del- 1 'uomo sull'uomo. Gabriele Lori

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