Nuova Repubblica - anno II - n. 17 - 10 settembre 1954

15 giorni nel fflondo L'ORA DELLA SUCCESSIONE D oro essere morta, la CED è ormai anche sepolta e si pone il problema della sua succes– sione, della politica di ricambio, di quelle famose alternative che i soste– nitori «realisti> dell'unità europea si erano sempre ostinatamente rifiu– tati di prendere in esame. E anche ora, se non si sbrigano, rischiano, come sempre, di far troppo tardi, e di lasciare che nazionalisti di destra e di sinistra, che difensori servili di una politica filo-americana o filo– sovictica, improvvisino prima di loro una politica di ricambio o accodino l'Italia, come prima, alla politica di ricambio delle grandi potenze. Con la fine della CED, si potrebbé forse riuscire a superare infine il pe– riodo di sterilità della politica estera italiana, sia per quello che riguarda l'azione del governo, che per quello che riguarda l'opposizione di sinistra. on solo per la Francia la CED costituiva un'ipoteca che bloccava l'intera politica estera del paese: anche da noi, sia pure in maniera più larvata, ammessa con minore franchezza, la CED imponeva al grosso della maggioranza di ripetere supinamente le tesi più oltranziste della politica americana e al grosso della minoranza di ripetere quelle della politica sovietica. Già si cominciano a udire alcune voci nuove, alcuni tentativi di pro– spettare un'alternativa che, pur non staccandosi ancora sostanzialmente dalle vecchie posizioni cediste e anti– ccdistc, indicano tuttavia che esiste la possibilità di cercare nuovi punti d'incontro. Purtroppo ancora una volta, le voci nuove non si fanno sentire in nessuno dei partiti minori. Alla fine della CED, Saragat ha reagito prospettando nuovamente uno sforzo per costruire un'efficiente comunità pacifica e difensiva, man– tenendo inalterata la linea politica fin qui seguita favorevole al sistema atlantico; Pacciardi non vuol rinun– ciare al riarmo della Germania e propone di salvare il salvabile con uno Stato Maggiore unico e un pool degli armamenti, rimandando alle calende greche l'unità europea, che prospetta ora sotto forma di « grande Europa >; i liberali, infine, per bocca del loro vice-segretario, esponente della corrente di sinistra, vogliono trovare rapidamente una soluzione che salvi gli aspetti di sostanza della CED. Maggior senso di responsabilità ha dimostrato a Milano, commemo– rando Dc Gasperi, il Segretario della Democrazia Cristiana, Fanfani: il quale ricordando che il defunto uomo di stato sperava che la Comunità di Difesa, più che alla coalizione militare, spianasse la strada all'unità europea, affrettasse la costituzione dell'unità politica, costituisse insom– ma una scorciatoia, invita a non abbandonarsi ad un sovrabbondante pessimismo, a non accrescere le dif– ficoltà, biasimando persone e Stati, a non considerare strumenti utilizza– bili quelli già compromessi e ad aprire, con un'Europa unita, un dialogo sinceramente costruttivo fra i contjnenti. Basta, leggere le note ufficiose di Palazzo Chigi (nonostante gli sforzi, d'altronde inefficaci, di Piccioni per distinguersi da Scelba), basta leggere i giornali ufficiosi delle varie città, per rendersi subito conto del con– trasto sempre più netto tra le posi' zioni assunte a Milano dal leader del partito di maggioranza e quelle del governo e della sua stampa. Quest'ultima non fa altro, in questi giorni, che denigrare la Francia e il suo capo del governo; Fanfani in– vece deplora apertamente questa de– nigra,zione e condanna in modo im– plicito i cattolici tedeschi, che su questa polemica impostano oggi ogni loro alternativa. La stampa gover– nativa e con essa i partiti minori cerca di « salvare il salvabile » della CED; Fanfani non ci pensa più e invita anche gli altri a far lo stesso. La stampa ufficiosa, infine, condanna ogni progetto di dialogo fra i due blocchi; il Segretario della DC, sia pure in modo ancora impreciso, sembra schierarsi tra i fautori del dialogo. A sinistra, in un certo senso, Nenni gli fa eco: mentre Togliatti si limita a riproporre in maniera ortodossa, anche quando l'URSS non dà prova di tanta rigidezza, una unità tedesca raggiunta per accordo tra i vertici, senza elezioni libere, e un sistema di sicurezza europeo, con i popoli delle due parti della cortina di ferro, ma senza alcun accenno agli Stati Uniti, il discorso di Nenni I: tutt'altro. Nenni ammette la restituzione della sovranità alla repubblica di Bonn, anche nelle attuali condizioni di di– visione del paese in due; esclude il riarmo tedesco, ma ammette che una Germania unita dovrà allinearsi sugli altri paesi d'Europa, sulla base di una riduzione progressiva, simulta– nea e controllata degli armamenti in generale; Nenni propone infine un patto di sicurezza europea con la partecipazione o la garanzia ame– ricana. Le posizioni di Fanfani costitui– scono un tentativo di superamento delle ipoteche passate senza avere ancora il coraggio (o la forza), tut– tavia, di indicare con precisione gli elementi di una prospettiva futura. Quelle di Nenni hanno forse il di– fetto contrario: di indicare con trop– pa precisione gli clementi di questa prospettiva, come se fossero supe– rati tutti gli ostacoli all'unità tedesca, a un accordo sul disarmo e a un patto di sicurezza fra i due blocchi. Ma in entrambe queste posizioni vi I: già un insieme di elementi posi– tivi sui quali si possono cercare le vie di una nuova politica estera. Se in Fanfani, però, gli clementi che debbono fare oggetto di un dialogo fra le due parti non sono sufficiente– mente precisati, le posizioni di Nenni scavalcano invece alcuni clementi, mancando i quali, chi fino ad oggi ha sostenuto una politica estera di difesa della democrazia di tipo occi– dentale, non si sente· di aderire tran– quillamente alla sua prospettiva. Nenni parla come se fosse il leader di un grande partito in un grande paese. Anche se non si può condannare il « veder grande >, non si può tuttavia non tener conto dei limiti che il leader del PSI si rifiuta di vedere. Non basta l'offerta di Nenni di appoggiare lealmente una maggioranza democratica disposta ad effettuare una politica di disten– sione: proprio perché il PSI non si vuol confondere col PCI e si fa paladino di una « alternativa so– cialista > in Italia, esso non può li– mitarsi, come i comunisti francesi, a dare a un Mendl:s-Francc italiano un soutien à éclipse, un appoggio intennittente, che questi sarebbe co– stretto a rifiutare come quello fran– cese. L'Italia non si sentirebbe d'altra parte garantita - così come non si sentirebbero garantite le altre na– zioni continentali europee, da en– trambe le parti della cortina - con una politica di sicurezza che lascia in definitiva le grandi potenze arbitre della loro sorte. Davanti alla realtà di queste grandi potenze, la strada rimane ancora una, cd è quella dell'unità politica fra le na– zioni europee, quali che siano le dimensioni di quest'unità e possibil– mente comprendendovi l'Inghilterra e le nazioni scandinave. Un'Europa unita può sentirsi < sicura > con qua– lunque sistema di sicurezza. Le na– zioni singole di un Europa disunita non sarebbero sicure con nessun si– stema di sicurezza. Questo rimane il passo - il più difficile e forse il più lungo - che deve ancora fare il PSI per offrire al socialismo italiano una pro– spettiva internazionale che esca dagli angu!ti limiti del nazionalismo in cui esso tuttora si dibatte. A questa condizione l'Italia può avere una nuova politica estera, che non ri– calchi supinamente le orme della poco originale politica cedista o anti- cedista, UOLO VITfORELLI NUOVA REPUBBLICA 5 SOTTO IL SEGNO DELLA MEZZA LUNA Comunismoe U N problema storico-politico che riveste grandissima importanza nell'ora presente e la cui risoluzione, in un senso o nell'altro, potrà notevol– mente influenzare l'evoluzione del– l'umanità di domani, consiste nell'at– teggiamento del mondo ist'amico nei confronti del comunismo. Fino ad oggi il movimento comunista non ha ancora toccato l'Islam, ma si è limitato a distendersi tutt'intorno. A parte infiltrazioni di varia en– tità un po' dappertutto, gli unici due seri tentativi finora compiuti di penetrare nella cittadella islamica, en– trambi avvenuti in Persia nel 1947 e nel 1953, non sono riusciti. Tuttavia è facile prevedere che in un prossimo avvenire il comunismo condurrà un'azione a fondo per la conquista dell'Islam. Ma una conqui– sta di tale entità non può ovviamen– te essere effettuata senza il consenso e l'aiuto dall'interno. Sarà dunque il mondo islamico che dovrà scegliere, e la sua scelta presumibilmente av-. verrà nei pros.simi dieci o vent'anni. I motivi che favoriscono l'infiltrazio– ne comunista nel mondo islamico pos– sono essere raggruppati in due cate– gorie: 1) motivi accidentali (di ordine storico, contingente, attuale); 2) motivi essenziali, permanenti, che trovano spiegazione nella stessa struttura istituzionale e ideologica del– l'slam. Tra i primi motivi, sta senza dub– bio la profonda, radicata avversione che i mussulmani nutrono per l'Occidente. Le ragioni di questa avversione sono perfettamente evidenti e assolutamen– te comprensibili. Dovunque l'Occiden– te abbia compiuto opera di colonizza– zione, sia in America, che in Africa, che in Asia, non è riuscito ad atti– rare su di sè altro che odio e risen– timento: che si sono palesati più accesi e violenti nei paesi che, pos• sedendo una salda tradizione storica e ideologica, più degli altri soffrivano a motivo del giogo che veniva loro imposto. Il peso e la durezza dell'oppres– sione militare, lo sfruttamento più sfacciato delle risorse naturali e uma– ne, i privilegi, l'arroganza, la discri– minazione razziale, tristi prerogative dell'imperialismo occidentale, non han– no forse fatto tanto danno quanto la negazione di ogni libertà politica ai locali e la violenta rottura delle tra– dizioni e delle consuetudini, delle quali il mussulmano è sempre stato geloso come altri mai. Né si può dire che l'Occidente si sia reso conto della situazione ed abbia mutato sistema : Marocco, Sudan, Suez, Palestina, Abadan sono oggi al– trettante piaghe aperte che dramma– tizzano ed esasperano sempre più i rapporti con l'Islam. Ora' è chiaro come, in questa si– tuazione, gli islamici guardino con simpatia ai comunisti i quali, seppur per differenti ragioni, sono anch'essi contro il potere, il modo di vita, le idee e le istituzioni occidentali; e come, anche agli anti-comunisti, l'Unio– ne Sovietica appaia l'unica grande po– tenza non imperialista, scevra da pre• giudizi di razza e di colore. Un altro fattore determinante è dato dalle tremende condizioni di miseria in cui le popolazioni islamiche si di– battono e dalla stridente sperequazio– ne tra ricchi e poveri. Il prof. Bemard Lewis che, sulla nota e diffusissima « Jslamic .Revue » si è occupato recentemente dello stesso argomento (in modo tuttavia troppo pregiudizialmente anticomunista per una obiettiva impostazione del proble– ma), afferma che in passato la povertà delle classi inferiori non era così ac– cent1Jata com'è oggi e dà la colpa dell'attuale situazione all'imperialismo occidentale. Effettivamente in passato l'economia islamica, seppur su base semi.feudale e corporativa, era . riu– scita a creare un certo equilibrio per cui il popolo viveva in condizioni almeno tollerabili. Ma la dominazione occidentale ha sovvertito questo equilibrio rendendo più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. Venendo ora a considerare i fattori permanenti e intrinseci della società islamica che possono agevolare l'avan– zata del comunismo, noteremo innanzi– tutto come in questa società manchi nel modo più assoluto una tradizione liberale. Conseguenza di questa situa– zione è che, ai regimi totalitari che ancor oggi dominano pressoché tutto l'Islam, non fa riscontro una benché minima opposizione impostata su basi democratiche; la storia, anche recen– tissima, ci insegna come in questi paesi le rivoluzioni non facciano altro che sostituire un raggruppamento oli– garchico o militare ad un altro. La cosa più notevole è che questa situazione viene tranquillamente aval• lata dalle masse, le quali non sentono affatto la necessità di cambiare le cose. Ciò si spiega col fatto che l'Islamismo è una religione fortemente autoritaria e pretende (similmente ad altre grandi religioni anche dell'Occi– dente) il diritto di amministrare il patrimonio politico e sociale dei fe– deli oltre che quello religioso, o me– glio, considera gli impegni politici e sociali come una missione religiosa, venendo così a stabilire, col consenso del popolo, una sorta di teocrazia necessariamente autoritaria. Ragioni pratiche, oltreché religiose, hanno rafforzato questa tendenza auto– cratica di governo. Infatti la situa– zione geo-fisica di gran parte dell'Islam ha determinato il fiorire di civiltà lungo grandi fiumi (Egitto, Iran, Pa– kistan) e ciò ha reso necessario un forte potere centrale che provvedesse ad irrigimentare opportunamente le acque, per difendere le regioni da inondazioni e catastrofi e per provve– dere alle irrigazioni delle plaghe de– sertiche. Si vennero così costituendo quelle che il Wittfogel definisce « so– cietà idrauliche » le quali, decaduti i poteri centrali, a loro volta decadde– ro in seguito alla sopravvenuta impro– duttività e inaridimento dei terreni. Con ciò si vuol dimostrare che la società islamica è già avvezza ad una sorta di centralizzazione economica e perciò una pianiJicazione di tipo co– munista non susciterebbe probabilmente resistenze. Infine ricordiamo che, come tutte te religioni fortemente dogmati– che e autoritarie, l'Islam rivela al– cune affinità ideali col comunismo. Entrambi infatti presentano dottri– ne complete, con precise e definitive risposte ad ogni questione. Entrambi offrono ai propri seguaci la convin– zione di appartenere ad una comunità di credenti che hanno sempre ragione; entrambi sogliono dividere il mondo, secondo una sorta di neo-mankheismo, in due parti nette coi giusti da una parte e gli « infedeli » dall'altra. Esistono per contro nell'Islam dei fattori che possono opporsi all'avan– zata del comunismo? Innanzitutto occorre segnalare la spiccata spiritualità e l'acuto misti– cismo religioso tipici degli orientali e che logicamente sono in antitesi col materialismo marxista. Un altro fat– tore importante è il tradizionale rag– gruppamento delle popolazioni in clan e gruppi di villaggio. Attualmente il maggior numero di comunisti nell'Islam è costituito da operai meccanici i quali, vivendo lon– tani dal proprio ambiente originario, si sentono socialmente indifesi e cer– cano protezione e sicurezza nella cel– lula. Ma coloro che partecipano alla vita del clan (specialmente le popo– lazioni agricole e nomadi) trovano nel clan stesso la protezione e la sicurezza della quale abbisognano, e sono fie– ramente gelosi dei propri costumi e della propria indipendenza; ciò li ren– de particolarmente insofferenti verso ognì forma di organizzazione politica. Quali conclusioni si possono trarre dal nostro breve esame? Innanzitutto, che fino a q11esto mo– mento la maggior parte dei mussul– mani non è comunista. Ciò si spiega anche marxisticamente tenendo presen– te che la società islamica è essenzial– mente agricola e non industriale. Tut– tavia bisogna ricordare che neanche i cinesi erano comunisti e che pro– prio dalla cecità occidentale furono spinti verso il comunismo nel quale trovarono, oltre alla soluzione dei pro– pri problemi economici, una sicura guida per la conquista dell'indipen– denza nazionale; e l'esempio attuale Islam del Viet-Nam dimostra che quanto è accaduto in Cina può ripetersi in qualunque regione del mondo. Saprà l'Occidente renc\ersi conto del– la situazione? Avrà l'avvedutezza e la possibilità di risolvere il tremendo problema della miseria e vorrà in– staurare coi popoli islamici leali rap– porti di amicizia, riconoscendo final– mente la legittimità delle loro aspi– razioni all'indipendenza e rinunciando all'avido sfruttamento delle loro risor– se naturali? A giudicare da come van– no le cose fino a questo momento c'è da dubitarne. D'altra parte il comunismo ha grandi possibilità nell'Islam. Se saprà sfrut– tare abilmente la situazione economi– ca e il risentimento contro l'Occidente, ma sopratutto se avrà l'accortezza di non offendere le suscettibilità religio– se e tradizionali con l'imposizione di una dottrina e di una prassi troppo rigidamente ortodosse, potrà certamen– te raggiungere una notevole diffusione tra le popolazioni islamiche. S'intende che oggi, per un certo tempo, .è assai difficile prevedere come si risolverà la questione; tutte le pos– sibilità rimangono aperte. AUltELIO PENNA Recentemente ci è occorso di par– lare con un missionario cattolico, che vive in Palestina da diciotto anni. A suo giudizio - e per sua diretta esperienza - il comunismo ha già conquistai~ la popolazione islamica, presentandosi come un fe– nomeno che insorge dal basso e sostanziandosi fatalmente di quel– l'acuto misticismo religioso. Vicever– sa l'opposizione al comunismo ver– rebbe dall'alto, dai grossi proprie– tari, che sono di fatto < atei e ma– terialisti >. Orbene, i cattolici hanno il mo– nopolio delle scuole e, con esse, del– l'artigianato e della piccola industria (il missionario, nella sua durissima vita, insegna in lingua araba e com– pie i più diversi lavori: modelli per scarpe, falegnameria, giardinaggio, aratura e altro ancora di più tecni– camente impegnativo). Sembra che il primo motore elettrico - uscito dagli stabilimenti Fiat - sia stato portato dai cattolici, in Palestina, nel 1921. Molti tecnici, molti uomini della classe dirigente e della burocra– zia si sono formati e si formano sotto di loro. Ma. in quanto a successi con– Ìessionali, nulla di nulla - peraltro ogni forma di propaganda religiosa è vietata dalla legislazione del pae– se -, tant'è vero che gli ultimi ven– ti anni hanno registrato solo 3 (tre) conversioni « spontanee >. Passare dall'islamismo al cattolicesimo è im– possibile - e il missionario spiegava tale impossibilità con dotte ragioni di ordine storico e teologico - a meno che non abbia luogo una «conversione> preliminare all'atei– smo, perché intanto quest'ultima distruggerebbe la formidabile barrie– ra della tradizione islamica. Qualunque sia oggi il suo grado di penetrazione, ci sembra che il comunismo possa conquistare i paesi arabi, sotto forma di un misticismo collettivista e fortemente centralizza– to, lasciando immutata la esclusione di tutti i culti e assegnando invece all'islamismo una posizione di privi– legiato e di fiancheggiatore. Inoltre esso potrebbe far tesoro, laddove esi– stano, dei frutti disseminati sul pia– no tecnico e genericamente culturale dalle missioni cattoliche. A patto, s'intende, che nello schieramento oc– cidentale non sappia imporsi una di– rettiva di maggior realismo; fatto estraneo, comunque, ai vertici della gerarchia vaticana. Ciò come semplice chiosa agli ar– gomenti dell'amico Penna, ben ri– conoscendo c/Ìe il problema richiede– rebbe un'assai larga e profonda co– gnizione di causa. N. d. R.

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