Fine secolo - 11-12 gennaio 1986

FINE SECOLO* SABATO 11 / DOMENICA 12 GENNAIO Giorgio Manganelli µ PIETRE DI LUNI e hiunque guardi una delle pietre formate, porta– trici di figure, di segni che fa storia dell'uomo ci ha consegnato, avverte che da sempre l'uomo vedeva nella pietra qualcosa di più duro del tempo. Dai millenni, ·le migliaia di millenni a noi giungono sassi e ossa. Un sasso lavorato pe_rfarsi amigdala o per farsi stele è un oggetto imperituro, terribile, miste– rioso, sacro. Una ruvida larva di figura segnata sulla pietra ci commuove e ci sconvolge. Forse la figura non è stata aggiunta da mani umane, ma_è uscita dal grembo inconsumabile della pietra. Talora è àppena emersa, ed è inquietante come una immagine eterna– mente natale, un inizio mitico inconcluso. La pietra non ha età, non invecchia, non ha tempo. Solo con gli ingegnosi giochi degli archeologi si osano proporre delle date alle stele della Val di Magra. Si sa che uomini ignoti per mille, duemila anni collocarono in quella esigua striscia di terra, quella avara, claustra– le patria una folla di pietre figurate. Una terra angusta si popolò di immagini dure, sommarie, colme di forza e di fatica. Il corpo dell'uomo si misurò con la pietra. Non sap– piamo nulla di coloro che vissero in Val di Magra, e solo vagamente possiamo immaginare quando visse– ro. In verità, possiamo solo sapere che vi fu un popolo che amava la pietra, che la conosceva, la frequentava, un popolo che era dominato dalla sacertà della pietra. Forse erano uomini. Giacchè le figure che ci hanno tramandato sono simili alle figure umane, ma non più che simili. Sembrano un tentativo della pietra di pro– durre qualcosa che potesse essere frainteso per uomo. Perchè quelle teste allungate, quella braccia incassate nel corpo pietrigno? Forse queste tele non sono vera– mente antropomorfe. Sono dei tentativi di creazione di un essere vivo e di pietra, tentativi che vennero ab– bandonati, ma di cui la pietra ha custodito per secoli ~l feto. Credo che queste statue siano in realtà dei feti, dei litopedi giganteschi e inconsumabili, feti di dèi. Non è impossibile che all'inizio dei tempi il mondo; l'universo fosse affollato di dèi; non v'erano amebe, non sauri, non uomini; solo dèi. Codesti dèi esercita– vano un potere discontinuo, disordinato, isterico; pos– sedevano mondi, perdevano mondi, inventavand mondi. Tutti gli dèi creavano? E vi furono·-dèi che vol– lero creare· pietre vive. Sul nostro pianeta ci sono mi– gliaia di pietre vive; di pietre che portano il segno di un tentativo di vivere. Le pietre della Val di Magra re– cano visibilè il segno di uno sforzo che non diventò vita. E tuttavia della vita aveva, ed ha - perchè la pie– tra non invecchia - la vocazione mimetica. In queste figure che hanno l'odore acre e insultante di una crea– zione che venne tentata e abbandonata io ammiro la distanza da ciò che consideriamo umano. Non solo mi affascinano, ma riconosco quelle facce che emergono dal sasso, che sono annegate nel sasso, che sono nau– fragate all'interno del sasso. Se guardo la ·figura che qui è detta di "Filetto I" mi cattura la poderosa e in– verosimile testa, quella testa espansa, nel cui centro si fanno luce fantasmi di occhi, naso, bocca. Quella figu– ra pseudoumana è dentro la pietra, e non ne uscirà mai. Può solo emergerne con quell'atroce rancore per ciò che è vivo. Il dio che tentò la vita in questa pietra è stato sconfitto; ma la sconfitta di un dio ha UJ! aroma invadente, che riconosciamo dopo i millenni. ( ... ) Forse sono 1 errori di una creazione che venne abban– donata a mezzo. Forse sono per l'appunto una stirpe che vuol tacere per sempre, che è uscita dalle sue mi– niere terragne per scrutare la nostra fragile, effimera esistenza; per prendere, con quegli ocèhi da sacr~ ba– trace, la mira dei nostri corpi di carne, nascondiglio di una pietra che_non osiamo guardare. Un gioco La sera, quando hofinito di leggere un libro e ne cerco un altf'o, vado davanti alla libreria e, al buio, prendo il primo che capita, essendomi imposto di leggerlo senza sceglierlo. Sono viaggi bellissimi, incontri avventurosi. . Questo è il gioco che vi propongo: non indicare un libro, ma una pagina che regali un'immagine, un'idea, una metafora o un aggettivo. Per l'inizio di una sua celebre poesia Vincenzo Cardare/li sceglie un aggettivo: "Distesa estate ... " ed ecco davanti agli occhi i campi assolati, i sassi bianchi dei torrenti, il tremolare della marina, l'erba piegata, l'ombra immobile, l'afa, l'ozio, e ci si gode quel paesaggio dorato. E' la giornata di un editore nejla ricerca ostinata e paziente 9 di consolazioni, anche in tempi agri e sciatti. La fortuna aiutando, darò la precedenza a testi meno noti o meno diffusi o dimenticati. Ma cominciamo, a gloria, con un maestro: Giorgio Manganelli. V.B. Il testo di Manganelli è tratto dal N.36 di 'FMR, ottobre 1985.

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