Fine secolo - 4-5 gennaio 1986

LAIIO&U DEL CAVALLO Cera un vecchio compagno di nome Ottolo, iscritto come me nei primi anni cinquanta alla Sezione PCI di Porta Vittoria a Milano. Ottolo amava moltissimo l'opera del pittore - Picasso. ~ta in quegli anni nel Palazzo Reale a Milano, e ne disquisiva con argomenti spesso strampalati, bizmrri, ma sempre amo– rosi. In particolare il quadro Guemica gli of– frivà l'estro a una divagazione che ripeteva a chiunque con lingua enfatica e sguardo trion– fante. Diceva il compagno Ottolo: " ...Nel qua– dro Guemica il grande maestro vuole rappre– sentare una allegoria significativa per il popo– lo: il toro dipinto a sinistra con l'elmetto nazi– sta sul capo vuole per l'appunto significare la violenza bruta del nazifascismo. ·1.a lampadina accesa al centro del quadro nella casa distrutta significa la luce del progresso marxista che·no– nostante tutto illumina e non si spegne giam– mai .. La madre straripante con la bimbetta probabilmente al collo è il-senso e il simbolo della maternità. della natura offesa, la maceria è la maceria della società borghese, due volte maceria. .." e così via, dando significato allego– rico a tutti i particolari. lo, che sapevo dove prendere l'asino, e cioè quale era il punto de– bole della sua disquisizione, chiedevo: "E il ca- . vallo rappresentato a destra? " E Ottolo sospi– rando rispondeva: "D cavallo non si capisce". CONSIDERAZIONI ERIOOBBI -DELSIGNOR NINOFRANK SUL BARONE MOI,I,ET, IL~TR0 1 PICASSO E GIACOMO CASANOVA. Nino Franlc è un giornalista e scrittore nato a Barletta ( Pugiie) nel 1902. Suo padre e sua ma– dre erano cittadini svizzeri, discesi in Italia alla fme de/1'800. Suo padre, mercante di vini per conto delle grandi ditte vinicole de/l'Aquitania e dei castelli di Bordeaux, guadagnando benevol– mente la vita, per consiglio del suo barbiere na– poletano, investì denaro e attività nella prima sala cinematografica delle Puglie, a Barletta, nella primavera del 1910. Nino ha vissuto l'ultima infanzia e la prima ado– lescenza nella sala magica e popolata della piaz– za Italia d(Barletta. Poi fu studente a Napoli, a Roma e infme, per consiglio di Massimo Bon– tempelli, nell'anno /922 emigrò a Parigi eco– minciò la professione gi giornalista. Da allora ha lavorato sempre come tale, scriven– do anche cinque libri e quattro sceneggiature ci– nematografzche, molti testi radiofonici e due saggi sul cinema francese degli anni '30 e '40. A Parigi, poichè la sua natura era ed è amabile, fresca e allegra come una rosa canina, ha cono– sciuto e lavorato con tutte le persone e storie che negli anni '20, ruggenti e no, nei bar, nei risto– ranti, nelle sale da ballo o da gioco, o bordelli, sui quais, sui boulevards e sulle grandi o piccole piazze dei quartieri, facevano la storia di quegli anni. In effetti il lungo, elegante signore che è oggi Nino Franlc è il grande libro di quegli anni, un libro che qualcuno dovrà scrivere. Queste brevi note, rtu:co/te durante una lunga conversazione negli ultimi giorni del 1985, sono ciò che il cro– nista vi dà per illustrare con più dovizia di parti– colari la figura mitica del Maestro Picasso e della statua equestre che, secondo lo scultore Nela ..... IICICllllto: ""-Ce à Picaa)", di César. Foto lii Leila Baoap,no. la .... .......... alto: - pudcolue del mo , ate, D IDI do 1a ferp, Alegaato da Valentina La Rocca e, in baio, Niao Fnak. Cèsar, davrebbe rappresentar/o "in aetemis" nella piazza alta di Moniparnasse. -11 barone Mollet, come à volte sono i baroni, aveva titolo nobiliare dubbio, era malizioso, pettegolo, maldicente, mellifluo e bugiardo, ma, au contraitè, era l'uomo più simpatico che io abbia mai conosciuto. Il suo titolo, oltre che nella corona baronale, era nell'essere stato segretario di Apollinaire. Non ho mai capito in che funzioni di segreta– rio esercitasse la sua influenza su Apollinaire che poi, secondo me, era ininfluenzabile. Ho sempre pensato che Apollinaire si servisse di lui per le corse della spesa, piccole commissio– ni; raccolta di informazioni, per lo più maldi– cenz.e e pettegolezzi, e, forse, anche qualche piccolo servizio se non mezzano, simile. Il barone Mollet, di tutti i francesi che ho co– , nosciuto, è l'unico, a quel che so, che non ab– . bia mai, in nessun caso e per nessuna ragione, pagato tasse o affitti o alloggi o pranzi che non fossero un caffè, un croissant o una tartina al burro. Picasso lo adorava e si divertiva alle sue infinite maldicenze. Il barone Mollet aveva un fratello che gestiva una piccola pensione fami– liare dove anch'io ho abitato. Durante l'occu– pazione tedesca degli anni '40, il fratel)p del barone gestiva anche la mensa popolare del VI quartiere traendone molti benefici per lùi, per la pensione, per gli amici e per qualche cliente del mercato nero. In quel tempo, il barone Mollet era molto irri– tabile per via di certi affari che intratteneva. Fra le due guerre, forte dei suoi pettegolezzi, scroccava qui una colazione,\ là un invito a Dauville, da un'altra parte una visita in Borgo– gna, e sempre qualche vecchio autografo, un disegno o una foto che poteva agevolmente vendere avendone vantaggi non solo economi– ci. Picasso lo ha sempre aiutato e il barone finge– va amicizia con lui dicendone al contrario pe– ste, corna e veleni ogniqualvolta l'estro suo o l'occasione gli si offriva, o l'interlocutore glie– ne dava agio. Quando Pablo si isçrisse al Partito Comunista, il barone Mollet, enfatico e arrossato come sempre, mi disse: "Una delle poche cose pulite che c'era ancora in Francia era il Partito Co– munista. Ora quel ruffiano catalano, Pablo, si è infilato anche lì, rendendone l'aria irrespira– bile". Picasso, che conosceva bene la natura del ba– rone, se ne beava molto e sempre, in qualsiasi occasione. non l'abbandonò. Picasso in verità amava la conversazione di Mollet che in circa trenta rp.inuti riusciva à mèttere al corrente chiunque lui considerasse all'altezza, su qual– siasi fatto vero o falso, non solo della colonia di artisti stranieri che vivevano a Parigi, ma di chiunque, dico chiunque, contasse "in qualclie modo e per qualche ragione nella vita artistica e mondana della città. lo ho conosciuto Pablo Picasso quando ancora era poco famoso, anche se lui in effetti faceva finta di ~rio. Nacque una grande simpatia poichè lui, considerandomi totalmente italia– no, parlava con me esclusivamente di donne. Pablo era arrogante e sicuro con mercanti e collezionisti, ma timidissimo con le donne di cui era sempre molto preso. Una delle sue let– ture predilette era "Le memorie di Casanova". Considerava Giacomo Casanova il grande per– sonaggio della condotta di vita, l'uomo libero, colui che esercita se stesso come atleta di vita, e cioè uno che può anche essere non se stesso e le contraddizioni che lo rappresentano, ma sol– tanto colui che fa in minor tempo i cento me– tri, lo scasso di un banco. del lotto e di zecchi– netta, seduce la virtù di una suora in trenta mi– nuti e conquista la fiducia di un potente in cin– que rapide frasi. Mi diceva Pablo: "Vedi, qui, con questa matita faccio dodici segni ordinati e vitali secondo una immagine opinabile. Poi prendo questa penna biro e firmo con nome e cognome que– sta opinabile immagine che d'altronde è la mia ironia ... Fra mezz'ora, o domani, qualcuno mi darà un milione ..." E QUALCHE MITICO PETO Ho sempre apprezzato più l'opera di Picasso scultore che quella della sua enorme attività di pittore. · Per me il pittore Picasso (come Braque del re– sto), ha invenzioni pittoriche che sono e sono state solo l'intelligente se non furba filtrazione dei nuovi modi di vedere delle tormentatissime avanguardie del primo Novecento. Lui, Picas– so, tormentato non era di certo. Affermava sempre: "Io nori cerco; trovo"~ E in effetti tro– vava sempre nuove immagini- "ben scritte" e nuovi fans per il suo modo leggero e sereno di rappresentare il "difficile". Il famoso quadro "Les demoisélles d'Avi– gnon", quello che secondo molti è il pilone portante di tutto il cubismo, è un quadro ben dipinto anche se un po' piatto a ammiccante al mercato, a quello allora esistente e a quello fu– turo, il suo. Nessun pittore, credo, ha mai guadagnato tan– to nè è mai stato tanto popolare come lui. Lo scultore Picasso aveva più felicità nelle mani_e nella testa e uno straordinario gusto dcli' "assemblage". Una sella di bicicletta, un manubrio, una vecchia macchina da cucire e qualche altro aggeggio divenivano la più strampalata capra dei Pirenei che uno potesse vedere. E' chiaro, non è giudizio polemico. Mi interes– sa la critica, non la polemica. Ma se qualche lettore pensa che siano solo giudizi polemici quelli che io affermo, basterà che·faccia una vi– sita al nuovo Museo Picasso, a Parigi, all'Ho– tel Salè, 5, Rue de Thorigny. La statua equestre fusa da Cèsar, a parte le proporzioni veramente "equestri", sembra aver considerato solo le apparenzé più monda– ne e spettacolari di Picasso pittore. Non a caso è rappresentato in forma di centauro, e di cen– tauri Picasso ne ha disegnati centinaia. D'al– tronde, il centauro neoclassico del pittore è stato un suo segno di "marca" in un certo pe– riodo molto positivo, nel senso del mercato, _ della sua opera d'artista. Qui, in questa statua di Cèsar, il mito Picasso, scalpit.ante e. nervoso, tiene fra le mani una . opinabile colomba, sulla testa, forse un elmet– to; fra le chiappe, scope, scopette, razzi, ban– derillas e qualche mitico peto. (Considerazioni del critico Daniel Soutif di "Li– bèration ").

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