Fine secolo - 5-6 ottobre 1985

FINE SECOLO* SABATO 5 / DOMENICA 6 OTTOBRE 28 se fosse andata male, l'organizzazione ne sa– rebbe stata travolta. Dunque mi chiesero: "Vuoi occupartene?"-e io risposi "Certo!" Ero molto contenta: mi era sembrata subito un'i– dea eccellente e avevo sentito altrettanto pron– tamente che era per me una maniera di agire. Gaus - Il suo arresto è legato a quel lavoro? Arendt - Sì. Fui arrestata allora. Ma ho avuto molta fortuna: ne sono venuta fuori in capo a otto giorni perchè avevo fatto amicizia col fun– zionario della polizia giudmaria che mi aveva arrestato.• Era un tipo affascinante. Era stato promosso dalla polizia criminale alla sezione politica. Non aveva alcun sospetto. ·Perchè avrebbe dovuto averne? Mi diceva sempre: "Di solito mi basta osservare la persona che mi siede di fronte per sapere subito di che cosa si tratta. Ma con lei, che fare?" Gaus - Questo succedeva a Berliho? • Arendt - Sì, a Berlino. Purtroppo ho dovuto mentire a quell'uomo. Non avevo il diritto di esporre l'organizzazione. Gli ho raccontato delle frottole senza senso e lui mi ripeteva: "Sono iÒche l'ho fatta entrare qui. Io la farò uscire. Non prenda avvocati! Gli ebrei non hanno più soldi, risparmi i suoi soldi". Intanto l'organizzazione mi aveva procurato un avvo– cato. Naturalmente lo aveva scelto tra i suoi membri, ma io lo rimandai indietro perchè l'uomo che mi aveva arrestata aveva una fac– cia così aperta, così onesta. Mi affidai a lui e pensai che era una chance molto migliore di un povero avvocato spaventato. Gaus - Dunque è uscita e ha potuto lasciare la Germania? Arendt - Ho dovuto lasciare il paese in modo illegale e clandestino perchè la pratica natural– mente andava a.vanti. r . Il rapporto con l'ebraismo Gaus - Nella corrispondenza già citata lei ha definito superfluo una specie di avvertimento di Scholem secondo cui lei non avrebbe mai dovuto dimenticare la sua appartenenza al po– polo ebraico. Lei scriveva~"Ho sempre consi– derato il mio essere ebrea come uno dei dati reali e indiscutibili della mia vita e non ho mai desiderato cambiare o sconfessare quei -dati, neanche nella mia infanzia". Lei è nata a Han– nover nel 1906, da un padre ingegnere, ed è cresciuta a Koenigsberg. Può dirmi, come lo ricorda, che cosa poteva &ingificareper una bambina, nella Germania di prima della guer– ra, appartenenere a una famiglia ebrea? Arendt - Non posso dare a questa domanda una risposta di valore generale. Quanto ai miei ricordi personali, non ho appreso a casa di es– sere ebrea. Mia madre era del tutto irreligiosa. Gaus - Suo padre è morto prematuramente. Arendt - E' vero, ho perso' molto presto mio padre. Tutto ciò le deve sembrare un po' biz– zarro. Mio nonno era presidente della munici– palità liberale e consiglier~municipale di Koe– nigsberg: io sono uscita da una vecchia fami– glia di Koenigsberg. Ciononostante la parola "ebreo" non è mai stata pronunciata fra noi al tempo in cui ero una bambina. Sono state le frasi antisemite pronunciate da ragazzini per strada che mi hanno rivelato per la prima volta quella parola. Da quel momento sono stata per così dire "illuminata". · Gaus - E' stato uno choc per lei? Arendt - No. . Gaus - Le è sembrato da allora di essere in qualche modo diversa? Arendt - Sì, ma è un'altra questione. Non c'è stato choc per me. Mi dicevo: molto bene, è così. Avevo la sensazione di essere diversa? Sì, effettivamente! /.../ Tuttavia ciò non assomi– gliava affatto a una inferiorità: era così, ecco tutto. Inoltre, la nostra casa era un po' parti– colare /.../ Mia madre non aveva molta dispo– sizione per la teoria, non penso che abbia avu– to delle idee particolari. Veniva anche lei dal movimento socialdemocratico, dal ciréolo dei Sozialistischen Monatshefte; mio padre anche, Hannah Arendt è stata tradotta in Italia molto parzialmente e con grande discon– tinuità. Alcuni suoi testi -come La banalità del male, edito da Feltrinel/i nel 1964, cui si riferiva lo scambio di lettere con Scho– lem pubblicato nello scorso numero di Fine Secolo- sono da tempo introvabili. Tra gli altri libri tradotti: Le origini del to– talitarismo edito da Comunità e poi da Bompiani in edizione economica, Sulla ri– voluzione (Còmunità) e le raccolte di sag– gi Tra passato e futuro (Va/lecchi) e Il fu– turo alle spalle curata da Lea Ritte, Santi– ni per Il Mulino. Recentemente l'editore Giuffrè ha pubblicato due saggi di filoso– fia politica col titolo La disobbedienza ci– vile. E' poi appena uscita Politica e men– zogna, una raccolta di saggi curata da Paolo F/ores per la Sugarco, con un am– pio intervento introduttivo. Della bibliografia sulla Arendt va ricorda– to un fascicolo della rivista "Comunità" -il numero 183 del novembre 1981- con quat– tro saggi, tra cui uno di Jurgen Haber– mas. ma mia madre soprattutto. Il problema non ha contato niente per lei. Lei era evidentementre ebrea e non mi avrebbe mai battezzata. Sup– pongo che mi avrebbe allungato un paio di cef– foni se mai avesse scoperto che avevo sconfes– sato il mio ebraismo. Ma questa eventualità non si è mai affacciat a e non ha ne anche costi– tuito un problema. Il prob lema.ha certo avuto un' ruolo più importante per me negli anni ven– ti, quando ero giovane, che per mia madre./ .../ Io non.credo, per esempio, di essermi mai con– siderata tedesca - nel senso dell'appartenenza a un popolo e non a uno stato, se posso fare questa distinzione. Ricordo ai ever avuto delle discussioni intorno al 1930 a questo riguardo con Jaspers, per esempio. Lui mi diceva: "Ma certo che lei è tedesca!", e io replicavo: "Ma no, e si vede bene!" Ma questo non ha signifi– cato niente per me, non l'ho sentito come un'inferiorità. E tornando alla particolarità della mia casa, vede, tutti i bambini ebrei han– no incontrato l'antisemitismo, ed esso ha avve– lenato l'anima di tanti bambini, ma la differen– za da ·noistava nel fatto che mia madre adotta– va sempre il seguente punto di vista: non si deve abbassare la testa! Bisogna difendersi! Se capitava che i miei professori ·facessero qual– che osservazione antisemita - nella maggioran– za dei casi senza rapporto con me, e piuttosto a· proposito di altri liceali ebrei, per esempio quelli ebrei orientali - avevo ricevuto la conse– gna di alzarmi subito, di lasciare la classe e tor– nare a casa a riferire ,esattamente quello che era successo. Dopo di che, mia madre scriveva una delle sue numerose lettere raccomandate e l'incidente per me era chiuso: avevo un giorno di congedo ed era formidabile. Ma se si tratta– va di osservazioni fatte da altri bambini, la consegna era di non raccontarlo a casa: non ne valeva la pena. Ci si p.uòdifendere da soli con– tro i bambini. Ecco che queste cose non hanno mai costituito un problema per me. /.../ Il colloquio tratta poi degli studi e dellefrequen– tazioni intellettuali di Arendt, in Germania e poi in Francia, del suo giudizio sugli intellettuali, del suo impegno nello studio del problema ebraico. / Gaus - Durante la guerra mondiale, lei è poi andata negli Stati Un'iti dove è oggi docente di · teoria politica a Chicago. Lei abita a New York. Suo marito, che lei ha sposato nel 1940, insegna anche lui filosofia in America. Di fat– to, la provincia acccademica cui lei si riferisce. di nuovo, dopo il disinganno del 1933, è inter– nazionale. Tuttavia vorrei domandarle se la Germania prehitleriana, che non esisterà mai più, le manca. Quando viene in Europa, ha co– scienza di ciò che resta e insieme di ciò che è irrimediabilmente perduto? Arendt ·- L'Europst, prehitleriana? Non posso dire di averne alcuna nostalgia. Che cosa ne è restato? Ne è.restata la lingua. Gaus ~ E questo ha molta imporetanza per lei? Arendt - Enorme. Ho sempre rifiutato, delibe- /.../ Si sente toccata dal rimprovero secondo cui il libro sarebbe privo di amore per il popo– lo ebraico? Arendt - Le farei osservare prima di tutto, del tutto amichevolmente, che anche lei è vittima di questa campagna! In nessun passo del libro , ho rimproverato al popolo ebraico una sua mancata resistenza. L'ha fatto·un'altra perso– na, il signor Haussner, procuratore israeliano, nel corso del processo contro Eichmann. Ho definito le domande che ha posto in questo· senso ai testimoni di Gerusalemme insensate e crudeli. Gaus - Ho letto il libro, lo so. Molti rimproveri si fondano però sul "tono" ili alcuni passi. Arendt - Ma su questo non posso né voglio re– plicare niente. Se si ritiene che non si possa scrivere su questo tema se non in modo pateti– co/ .../ Vede, c'è gente che se la prende perchè ancora oggi io sono capace di ridere, e in una certa misura io li capisco. Per parte mia ero ef– fettivamente convinta che Eichmann fosse un clown: ho letto il suo interrogatorio di polizia, ratamente, di perdere la mia lingua materna. tremilaseicento pagine, attentamente, e non sa– Ho sempre tenuto una certa distanza sia nei prei dire quante volte ho riso, riso fragorosa– confronti del francese che parlavo un tempo mente! Sono queste reazioni che la gente ha molto bene, sia dell'inglese che scrivo oggi. mal interpretato. Non ci posso fare niente. So Gaus - Volevo giusto porle questa domanda: una cosa: probabilmente avrei riso ancora tre lei scrive oggi in inglese? minuti prima della mia stessa morte. /.../ Are ndt - S crivo in inglese, ma conservo sempre Gaus - Lei ha detto: "Non ho mai amato un una cer.ta distanza. C'è una differerenza incre- popolo o una· collettività, che si trattasse dei dibile fra la lingua materna e ogni altra lingua. tedeschi, dei francesi.o degli americani, o an– J>erme, questo divario si riassume assai sem- che della classe operaia o qualsiasi altra cosa. plicemente: io conosco a memoria un buon nu- Di fatto non amo che i.J}lÌeiamici e sono asso– mero di poesie tedesche; esse sono in qualche lutamente incapace di ogni altra forma di modo presenti nella parte più profonda\ della amore. Ma, dal momento che sono ebrea, è mia memoria, dietro la mia testa, in the back of prima di tutto questo amore per gli ebrei che my mind, ed è certo impossibile riuscire a ri- t'- mi apparirebbe sospetto". produrre questo! In tedesco, mi permetto cose Ma l'uomo, in quanto essere che agisce politi– che non mi permetterei mai in inglese. Voglio camente, non ha bisogno di un vincolo che lo dire che me le permetto a volte anche in ingle- unisca a un gruppo, da un vincolo tale da po– se, perchè ho acquistato una -certa disinvoltu- ter essere chiamato amore? Lei non teme che il ra, ma in generale ho conservato questa di- suo atteggiamento sia politicamente sterile? ·stanza. Come che sia, la lingua tedesca è l'es- -Arendt ~ No. Direi che l'atteggiamento oppo– senziale di ciò che è rimasto e che ho conserva- sto è politicamente sterile. L'appartenenza a to in modo consapevole. un gruppo è un dato di fatto naturale: si ap- Gaus - Anche nei tempi più amari? partiene sempre a un qualche gruppo fin dalla Arendt - Sempre. Mi dicevo: che fare? Non è nascita. Ma appartenere a un gruppo nel se– certo la lingua tedesca che è diventata pazza! E· condo senso in cui lei lo intende, cioè organiz– poi: niente può sostituire la lingua materna. zarsi, è tutt'altra cosa. Ciò che è comune a chi· /.../ si organizza così, è quello che di solito si chia– Auschwitz Quello che è stato decisivo, non è stato l'anno 1933, non per me almeno. Decisivo è stato il giorno in cui abbiamo sentito parlare di Au– schwitz. E' stato nel 1943. E dapprincipio non ci abbiamo creduto, per quanto mio marito ed io ritenessimo quegli assassini capaci di tutto. Ma a quello, non ci abbiamo creduto, un po' anche perchè andava contro ogni necessità, ogni bisogno militare. Mio marito, che è stato un tempo storico militare e che è un po' com– petente, mi ha detto: non prestar fede a queste storie, non possono arrivare fino a quel punto! Eppure abbiamo dovuto crederci sei mesi– dopo, quando ne abbiamo avuta la prova. E' stato lì il vero sconvolgimento. Prima, ci si di– ceva: ebbene, abbiamo dei nemici. E nell'ordi– ne delle cose. Perchè un popolo non dovrebbe aver dei nemici? Ma era tutt'altra cosa. E' sta– to veramente come se l'abisso ci si spalancasse davanti, perchè si era immaginato che tutto il resto avrebbe potuto in qualche modo aggiu– starsi, come può avvenire sempre in politica. Ma questa volta, no. Non avrebbe mai dovuto succedere. Non intendo il numero di vittime. Ma la fabbricazione sistematica dei cadaveri... E' avvenuto qualcosa che non riusciamo a pa: droneggiare. /.../ Il processo di Eichmann Gaus - Il suo libro sul processo di Eichma~ a Gerusalemme è comparso questa primavera in Germania, e ha suscitato violente discussioni.• ma interesse. Il rapporto diretto e personale per il quale si può parlare di amore esiste natu– ralmente nel modo più intenso, nell'amore vero e proprio e anche nell'amicizia. Individui appartenenti alle organizzazioni più diverse possono sempre intrattenere rapporti di amici– zia personale. Ma se si• confondono queste cose, se si mette in ballo l'amore, per esprimer– mi grossolanamente, ritengo che sia un disa– s_tro. /.../ L'intervista si sofferma ulteriormente sulla ve– rità e la storia, e sulla "perdita del senso comu- ne,'. Gaus - Signora Arendt, i suoi legami con Karl Jaspers, che è stato un tempo suo professore, sono quelli di due interlocutori che conducono un dialogo ininterrotto. Da che cosa dipende la rilevante influenza che Jaspers ha esercitato su lei? Arendt - Dipende dal fatto che dovunque Ja– spers arrivi e prenda la parola, tutto si illumi– na. Egli possiede una franchezza, una confi– denza, un'intenzione senza concessioni, come non ho mai incontrato presso alcun altro. Ne ero stata già impressionata quando ero molto giovane. Inoltre, egli ha saputo alleare alla ra– gione un concetto della libertà che, quando ar– rivai a Heidelberg, mi era affatto estraneo. Ho visto per così dire questa ragione all'opera. E, se posso usare questa espressione - io sono cre– sciuta senza padre -, ne sono stata edificata. Non pretendo di renderlo responsabile di ciò che sono divenuta, buon Dio no! Ma se un uomo è riuscito a farmi accostare alla ragione, è stato lui. ,

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