Fine secolo - 5-6 ottobre 1985

Nelle tre foto Haamah Arendt da giovue in Germania {nella~ • . fronte), gai aa:uto a New Y~aefZ-irJlrimadi ~eaegli.tf ;,~ nonostante potessimo parlare assai .poco, lei occupata con Gombrich, io con sua moglie, conforme anch~ ai nostri destini, Lea più occu– pata della storia e della vita dello spirito, io più di saghe familiari. Poiché, come ho già detto, sono scentrata, solo dopo qualche tempo ho riunito in una sola persona la prefatrice delle storie di Giacobbe, la presentatrice di Christa Wolff in Italia e la mia vicina di tavolo a Na– poli. Allora Lea è uscita dall'ombra che dà so- , stanza alla luce dei nomi. Ci siamo scritte, scambiati libri e il suo dono più bello è stato il libro di Hannah Arendt che ha curato: «Il fu– turo alle spalle» (Il Mulino, 1981). Lea presiedeva una seduta di questo convegno. Alla sua destra il primo relatore, Alessandro Dal Lago, il cui tema era «Hannah Arendt e la filosofia della redenzione». Alla sua sinistra Franco Volpi, il cui tema era «Hannah Arendt: tra crisi della modernità e riabilitazio– ne della filosofia pratica». Poche le parole di Lea, all'inizio, tra un relatore e l'altro, e alla fine. Ha ricordato Hannah Arendt al suo ritorno in Germania dopo la guerra; come ella ai giovani raccomandasse l'antico wandem tedesco fra le Alpi; e certo poneva quel wandern, quel vaga– bondare, al passo dell'oca, alle marce forzate della Wehrmacht fuori dei propri confini; gli ·amici dicevano di Hannah: ah, sì «die Grune», la Verde, è tornata, ha detto questo e quello. Perché Hannah Arendt negli anni '20 e '30 pre– diligeva vestirsi di ·,erde: un colore simbolico, legato all'amore per il paesaggio allora, a un tipo di pensiero radicale, oggi, almeno in Ger– mania. Dopo la grande interruzione ideologica in Germania degli anni '60 e '70 (il cui colore fu il rosso), da poco i giovani la riscoprono e la rileggono. Poi il primo filosofo ha collegato il pensiero di Hannah Arendt a quello di Husscrl, sottoli– neando che in lei il primato dell'esistenza risie– de nella comunicazione e eome nel suo pensie– ro il bene sia radicale perché l'uomo ne è alla radice, mentre non esiste un male radicale. Lea nella pausa fra i due filosofi ha raccontato lo scandalo che suscitarono negli anni '60 le af– fermazioni di Hannah Arendt sulla banalità del male. Nel corso di un'intervista televisiva fu chiesto allora a Hannah Arendt cosa restas– se del passato; ella rispose allora: la lingua. Aggiungendo: «Ho nel mio hinterkopf (cioè dietro la mia testa) là poesia tedesca». Non quindi la lingua dell'infanzia, ma quella lette– raria. Il secondo filosofo ha collegato il pensiero di Hannah Arendt al neoaristotelismo. Nono– stante il distacèo teorico egli pareva condivide– re le critiche mosse a Hannah Arendt da Ha– bermas e da altri: di non riuscire a pensare il politico nel suo impero, come categoria auto– noma. Allora Lea Ritter Santini ha sottolineato come Hannah Arendt si identificasse con /'Und, la congiunzione «e»: proprio quella che nega l'autonomia del politico. E come ella, se da un lato non rifiutava il reale politico, dall'altro non proponeva utopie: ma pensava il politico. E Lea ha concluso con una frase breve, leggera come un.soffio: «Non bisogna dimenticare che Hannah Arendt è nel solco della tradizione ebraica, quella del divieto delle immagini illu– sorie del mondo, quella della rivalutazione in– vece del mistero del soffio e della parola». Del– l'alfa e dell'omega quindi, al cui principio si oppongono, secondo l'Apocalisse, non solo i vili, i depravati, gli assassini, gli impuri, gli stregoni, i bugiardi, ma anche gli idolatri. Pen:iò quindi mentre or ora ho tratto dei nomi dall'anonimato, penso che gli esseri, come scri– ve Hannah Arendt nel suo saggio su Kafka, «siano abbandonati all'anonimato a dispetto del loro nome; ci sembra quasi che ognuno di noi sia chiamato ed esaltato con quei nomi. In– fatti quest'uomo di buona volontà può essere chiunque e ogn1,U10, forse persino io e tu». FINE SECOLO * SA!ATO 5 I DOMENICA 6 OTTOBRE ~ . i j ·, ) I e e i ;. ( " r 1 i i R-FSTASOLO LA LINGUA MATERNA li testo che segue è la parziale tràduzione - dell'intervista di Hannah Arendt, ospitata alla televisione tedesca da Giinter Gaus, il 28 ottobre 1964,per la serie "Zur Person". Inedita in Italia, è stata tradotta infrancese da "Esprit" nel giugno 1980. i' essenziale, è capire Gaus - Il suo lavoro è in gran parte orientato alla conoscenza delle condizioni che determi– nano l'azione e i comportamenti politici. I suoi lavori tendono a esercitare un..influenza sul grande pubblico, o lei pensa che oggi essa sia impossibile? Arendt - E' molto complicato. Per essere com– pletamente onesta, dirò che quando lavoro non mi preoccupo affatto dell'azione nè del~ l'efficacia. Gaus - Ma una volta compiuto il lavoro? Arendt - Allora ho finito con lui. Per me, l'es– senziale è capire: io devo capire. La scrittura, per'me, dipende anch'essa da questa compren– sione: ne fa anch'essa parte /.../ Quanto alla domanda sull'influenza che è possibile eserci– tare, è - se posso permettermi l'ironia - una questione tutta maschile. Gli uomini hanno sempre una voglia terribile di esercitare un'in– fluenza, ma io vedo la cosa, per così dire, dal– !'esterno. Esercitare un'influenza, io? No, quel che voglio è capire, e quando altri capiscono anche_loro, provo una soddisfazione parago– nabile al sentimento che si prova quando ci si ritrova su un terreno famigliare. Gaus - La scrittura, la stesura, le è facile? Arendt - A volte sì, a volte no. In generale, non scrivo mai senza _avere per così dire elaborato intellettualmente la mia materia. So esatta– mente che cosa voglio scrivere: prima, non scrivo./ .../ li tempo del nazismo Gaus - Nella corrispondenza col professor Scholem lei ha scritto che "nella sua gioventù lei non era interessata nè alla politica nè alla storia". Signora Arendt, lei ha lasciato la.Ger– mania nel 1933 perché era ebrea: aveva allora ventisei anni. C'è un legame di causa ed effetto fra questi avvenimenti e la sua preoccupazione per la politica e la storia? Arendt - Evidentemente sì. Nel 1933 non si po– teva più disinteressarsene. Da tempo ormai non era più possibile. /.../ Gaus - Può datare il suo impegno politico a partire da un evento determinato? Arendt - Potrei parlare del 27 febbraio 1933, giorno dell'incendio del Reichstag, e degli arre– sti illegali che seguirono nella stessa notte. Si parlavit di «detenzioni preventive»: lei sa che la gente finiva in realtà nelle cantine della Gesta– po o nei campi di concentramento. Ciò che co– minciò allora è mostruoso, ed è spesso occulta– to oggi da eventi successivi. Per me fu uno choc immediato, e da allora mi sono sentita re– sponsabile. Cioè ho preso coscienza del fatto che non si poteva, più accontentarsi di essere spettatori. La circostanza che mi ha diretta– mente condotto fuori della Germania non l'ho mai raccontata, perché ha un'importanza mi– nima ... Gaus - Racconti, la prego. Arendt - Avevo comunque l'intenzione di emi– grare. Fui subito persuasa che gli Ebrei non potevano restare. /.../ Tuttavia, almeno non sono partita del tutto pacificamente. Devo dire che ne ho ricavato una certa soddisfazione. Mi dicevo: almeno ho fatto qualcosa!/ .../ Fu !'or- .ganizzazione sionista a darmene l'occasione. Ero allora legata da una stretta amicizia ad al– cune personalità alla testa del movimento e so– prattutto col presidente di allora, Kurt Blu– menfeld. Ma non eto sionista e del resto non avevano èercato di reclutarmi. Resta il fatto che in un certo senso avevo subito l'influenza del sionismo: soprattutto- per la critica o me– glio l'autocritica che i sionisti avevano svolto · in seno al _popolo ebraico. Ne sono ·stata in– fluenzata e anche impressionata, ma, politica-· mente, non avevo niente a che fare con loro. Ora, nel 1933, Blumenfeld e altri vennero a trovarmi e mi dissero: vogliamo raccogliere tutte le testimonianze antisemite di basso ran– go in vigore in tutte le associazioni, in tutte le corporazioni e in tutte le riviste professionali possibili, insomma tutto ciò che è sconosciuto all'estero. Organizzare questa raccolta ricade– va in ciò che allora si chiamava Greuelpropa– ganda, cioè una contropropaganda tesa a sna– turare le posizioni altrui fino alla diffamazio– ne. Nessun membro dell'organizzazione sioni– sta poteva evidentemente occuparsene perché, .. ,... x,.-x:,: 27

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