Fine secolo - 5-6 ottobre 1985

UN CONVEGNO, DUE DA.lV.IE, DUE CAVAT,I EW: ----'------------- di Fabrizia RAMONDINO -----,-----------------,-,-------------------" La nostra inviata ha seguito il convegno · napoletano su Hannah Arendt dalla soglia: c'era, ma/orse non c'era. E viceversa. E poi c'erano: I o, nei fatti della vita un po' scentrata, tan– to più lo sono in un convegno di filosofi, non essendo un'addetta ai lavori e avendo, fatto mia una degnità di Giorgio Colli: che la filosofia, cioè l'amore per la sapienza, è infe– riore alla sapienza stessa, il che sapeva assai bene Platone, padre della moderna filosofia. Per sapere che cosa sia e se esista ancora sa– pienza del mondo, rimando a Don Chisciotte, parafrasando: «Mi chiedi, ainico Sancio, se esiste o meno Dulcinea al mondo ... sappi che è questione che non può essere dimostrata ...». Ho partecipato ad alcune sedute del seminario di studi sul pensiero politico di Hannah Arendt organizzato dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla fondazione Gramsci, che si è tenuto a Napoli il 26 e 27 settembre nel palazzo Serra di Cassano, con relatori Dome– nico Lo Surdo, Pierpaolo Portinaro, Roberto · Esposito, Carlo Galli, Alessandro Dal Lago, Franco Volpi, Maurizio Passerin d'Entrèves, Remo Bodei; presiedevano le sedute Biagio Di Giovanni, Nicola Matteucci, Lea Ritter Santi– ni e Rosellina Balbi. · Data la premessa precedente non mi terrò al centro dei lavori del convegno, ma ai suoi mar– gini, e non al corpo filosofico degli interventi ma alla sua ombra -ma è. l'ombra, secondo Hannah Arendt, che dà profondità al corpo, a quello delle parole in particolare.· · Quattro - il numero che più di ogni altro espri– me il solido, il tangibile, il sensibile - erano i personaggi che si muovevano nell'ombra del sostanzioso corpo filosofico degli interventi: , due cavalieri e due dame che chiamero Gerar– do e Walter, Lea e Hannah. Gerardo Màrotta è il fondatore· dell'Istituto italiano per gli studi filosofici.·Qualche tempo fa dalle pagine di questo giornale gli è stato gettato un po' di vetriolo in faccia, ma, data la natura alchemica di questo acido e soprattutto quella del nostro cavaliere, il gesto non ha avu– to effetto alcuno. Gerardo Marotta è un gran– de personaggio di romanzo, dalla mise elegan– te, impeccabile come il lutto, ha il volto pallido ed emaciato, come un lavoro di avorio, e ha gli occhi scuri, profondi, morbidi, da cui spira quel tipo di intelligenza che gli antichi attribui– vano a Mercurio, cioè «una natura dualistica, in cui i principi contrari e complementari si confrèntano. Questa circolazione interna co– stituisce la condizione iniziale dello sviluppo dell'intelligenza: separare le cose per non con– fondersi più con esse e prendere le distanze da se stessi. Questo gioco contribuisce a distoglie– re dall'istinto, a reprimere la vita sensibile per affermaré il mondo della ragione ...». A affermare il mondo della ragione Gerardo Marotta ha dedicato la propria vita. Militante dell'area comunista, dissidente dopo il '56, at– tento osservatore delle nuove dissidenze degli anni '60 e ·•10, brillante, e abile avvocato civili– sta napoletano, la sua passione da sempre sono i libri. Ha raccolto una preziosa e stermi– nata biblioteca e nonostante i mille ostacoli è riuscito a fondare un luogo d'incontri culturali fra i più prestigiosi d'Europa e a fargli ottenere come sede uno dei più bei palazzi di Napoli. Che un borghese napoletano dedichi parte dçl– le sue sostanze e delle sue energie a tale scopo mi sembra encomiabile. Che sembri portare il lutto e chieda ancora vendetta per i martiri della rivoluzione giacobinii.partenopea del '99 mi sembra stravagante e sublime -non essen– zialmente diverso dal Lebedev dostoievskiano che pregava per una principessa francese ghi- gliottinata durante .il Terrore. Che creda anco– ra alla possibilità di una borghesia illuminata che si faccia carico del risveglio di Napoli pro– va soltanto, come scriveva Leonardo, che «il pittore tinge se stesso». Che infine gli si preferiscano dei Giangiacomo Feltrinelli e dei Giovanni Pirelli o invece degli Agnelli e degli Achille Lauro o altri sponsor dei patri e patriottici stadi, è questione di gusti personali, di simpatie, o idiosincrasie affatto private. Il vetriolo di cui sopra non sarà il pri– mo né l'U,timo. Durant~ i difficili e avventuro– si inizi dell'Istituto molti storsero il naso, filo– sofi e accademici esimi soprattutto, çhe oggi fanno ressa alle soglie del palazzo (Serra di Cassano). Quanto agli innumeri poveri della nostra città, o non sanno niente di queste be– ghe o quando ne vengono a sapere, si dividono equamente tra i funerali di Benedetto Croce e quelli di Achille Lauro. Walter, il secondo cavaliere di ql1,estastoria, ha scortato al filosofico torneo la sua dama. ·~:- . .. •:_ .,l\_i. . ..... , -~=/:/( .. :);.· . ' . ~-,.,.;,,··: -:,, .·:- ,I • .· ·;~.-- . . : '•)•·;. .,,. , ~ . -·- .. Ma siccome sembra amare la sapienza più del– la filosofia, o è solo come me un po' eccentrico rispetto al centro dei convegni, ha v9luto che l'accompagnassi fra le folle dei vicoli di Napoli e del museg archeologico -perché' anche nel museo archeologico c'è una gran folla di dei, d1notabili e di comuni cittadini. Dietro il mio cavaliere flaneur di quel giorno si stendeva l'ombra -anche per questioni di omonimia- del flaneur per eccellenza Walter Benjamin, a cui Hannah Arendt dedicò un saggio: «L'omino gobbo e il pescatore di perle». Ecco che allora in questa nostra flaneurie napoletana la ragio– ne dell'altro cavaliere, don Gerardo, tornava, volta nella tedesca vernunft «alla sua origine», «al verbo percepire (vernehmen)» ridando così una struttura sensibile a una parola apparte– nente alla sfera della sovrastruttura. Ho conosciuto quasi contemporaneamente le due daìne protagoniste di questo più che reso– conto racconto: Lea e Hannah. Lessi qualche 'anno fa una prefazione alle <<Stòrie di Giacobbe» di Thomas Mann: a con– fronto della prefazione il racconto dell'insigne autore mi parve ingenuo e a tratti opaco e gre– ve. Due anni fa circa al palazzo della provincia a Roma conobbi una strana figura di germani– sta -un'italiana, ma insegnante di letteratura tedesca moderna nell'università di Miinster-; fui colpita dalla profondità del suo discorso e . dalla fluidità del suo tedesco, mentre il giorno innanzi, in un istituto universitario romano, i presentatori di Christa Wolff mi erano parsi -più grossiers, anche linguisticamente; e dalla sua sovrana indifferenza rispetto a una un po' comica contestazione di una signora del pub– blico che accusava la presentatrice di parlare troppo e di non lasciar parlare la Wolff -la quale, a certe provocatorie domande, non po– teva oltretutto rispondere molto-. L'au~o scorso fui presentata da Gerardo Marotta a Lea Ritter Santini nel corso di una cena con Gombrich e sua moglie. Nacque in me una forte corrente di affinità nei confronti di Lea,

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