Fine secolo - 21-22 settembre 1985

• t • t • t • • •• •• . . ' ..<\,. •• •• •• •• . ' •• ' . . , •• • • Il .. . .. . . .. il loro instant-coffee. li telegiornale è una sera in inglese e una sera in afrikaans. I film però sono in lingua originale, cioè quasi sempre in inglese. Vengono doppiati invece gli sceneggia– ti: e fa un certo effetto sentire la perfida Alexis di Dynasty che impreca in boero! A proprio agio Mi attacco al telefono perchè da Roma voglio– no subito un articolo sullo stato d'emergenza, anche se ho spiegato che essendo arrivato da tre ore non riuscirò a fare granchè. Ho una li– sta con due colonne di nomi: una fornitami da una fotografa sudafricana che vive a New York, e sono tutti nomi rigorosamente wasp come Alìstair Finaughty e Samantha Trevor– Jones, l'altra fornitami dal nostro corrispon: dente da Londra, convinto sostenitore della lotta all'apartheid, e sono nomi come Harry Kilalea e Peter Mnewekop. Nessun nòine boe– ro, invece, e mi rendo conto che è una grossa carenza se voglio capire questo paese. Ma con– fido nei contatti governativi. A Pretoria, naturalmente, non risponde nessu– no. È domenica. Anche gli altri telefoni squif– lano a lungo a vuoto. Alla fine mi risponde una signora, resa rauca dalla laringite (è l'uni– co motivo per cui non è partita per il week– end, mi spiega). Mi sussurra di non camminare da solo nel centro di Johannesburg se non vo– glio essere rapinato, e mi invita a richiamarla tra qualche giorno. Fuori è una città morta. Tutto chiuso, i grattacieli incombono sulle vie semideserte dove camminano solo neri. Mi ,-piegheranno che è sempre così, di sera e i week-end. Di giorno invece è gremitissimo. Così non mi resta che andare a cena in uno dei ristoranti dell'albergo, quello che mi sembra il più economico e il ·meno formale (nella foto pubblicitaria c'è gente senza cravatta). È al trentesimo piano e vi si gode un panorama bel– lissimo di Johannesburg di notte. I camerieri sono tutti neri, col cravattino, e gli avventori tutti bianchi, con l'aria un po' sbracata, ridono forte. Invece no, uno dei camerieri è bianco, un ragazzo biondo con i capelli ricci. È a disa– gio? Si sente umiliato? No, non pare. Ridac– chia con i colleghi che tentano di insegnargli una parola in lingua khosa, suona come «muuihir». Gonfia le labbra ma non ci riesce. Il cibo è molto ordinario, di quello che servo– no sugli aeroplani. Quando riattraverso la sala per tornare giù in camera mi accorgo che a due tavoli ora si sono seduti degli avventòri neri, un gruppo e una coppia, molto meno sguaiati e più composti dei bianchi. L'omino nero e la donnina bianca Mi spiegano che sono stati «desegregati» quei settori della società meno accessibili alla ordi– nary peop/e bianca: i grandi alberghi, i teatri, i ristoranti del centro. Ma gli autobus, i cinema, le scuole, restano rigidamente separati. Uscen– do dal Consiglio delle Chiese Sudafricano devo fare urgentemente la pipì. Davanti alla FINE SECOLO* SABATO 21 / DOMENICA 22 SETTEMBRE 19 Le fotografie di queste paginesonodi Paola Agosti . stazione ci sono i gabinetti sotterranei, con quattro porte. C'è la scritta e per chi fosse analfabeta anche il disegnino: l'omino bianco e l'omino nero, la donnina bianca e la donnina nera. Rinuncio e mi tengo il bisogno fino al– i' albergo. Non posso però rinunciare a andare a Pretoria, dove devo intervistare della gente del governo, e.devo accettare di entrare in una stazione per soli bianchi. All'altro capo dei bi– nari c'è la stazione per i neri, un basso edificio. Scendendo sulla banchina, si vede che i neri ne occupano almeno due terzi, perchè le carrozze riservate ai bianchi sono poche. C'è un punto, sulla banchina, dove bianchi e neri sono a con– tatto di gomito, e io vado subito lì. Ma gli uni e gli altri guardano nel vuoto, si ignorano reci– procamente, e capisco che non è il caso di ten– tare di fare amicizia. La solita storia delle donne di servizio Lo stato d'emergenza non sembra aver mini– mamente toccato i bianchi. Ogni giorno nelle township che circondano Johannesburg la po– lizia spara uccidendo qualche dimostrante e arrestandone decine, folle inferocite danno alle fiamme negozi di presunti collaborazionisti o tirano sassi contro le automobili di passaggio. Ma l'eco di questa guerra civile strisciante non arriva nei lussuosi quartieri residenziali di Mel– rose, Houghton,- Greenside, dove i bianchi vi– vono in. uno degli i uJtimi paradisi africani. Alain Brachon, un interior decorato,, vive con la moglie Stèphanie a Rosebank. Malgrado i nomi francesi sono di discendenza inglese, e si sa che gli inglesi qui sono meno razzisti dei boeri. L'interno della loro villa, se non fosse per le due stanze rotonde dall'alto tetto conico di paglia, sembra quello di una casa britanni– ca. Pure tipicamente inglese (roast-beef, patate arrosto e insalata) è la cena che mi offrono. I bambini filano a letto da soli alle sette e mezza. Ogni due settimane Alain, con un gruppo della Chiesa Anglicanà, va a portare del cibo a So– weto. Ma ora che il vescovo della loro diocesi è Desmond Tutu si sentono a disagio. Perchè il loro vescovo è un nero e secondo il rituale an– glicano devono terminare tutte le funzioni in– vocando per lui la protezione di Dio? «No, per carità. Solo perchè Tutu si mescola troppo nel– la politica. Non ci piace vedere i preti che mar– ciano davanti alla bandiera comunista, come ai funerali di Craddock». Alcuni fedeli hanno già sospeso la loro parteci– pazion·e alla Chiesa. Molti ricchi anziani, che volevano lasciare del denaro alla diocesi, han– no in gran fretta cambiato testamento. Cara ti costa, Chiesa Anglicana, la nomina di un ve– scovo nero nella progressista Johannesburg! Alex Trevor-Jones è agente immobiliare e sua moglie Samantha giornalista. Hanno dùe Jigli, tre cani, una grande casa con attorno un bel po' di terreno, la piscina, un frutteto, la vasca per i pesci. «Due persone di servizio sono vera– mente il minimo per mandare avanti una casa come questa», mi spiegano, e mi raccontano le loro disavventure con donne di servizio e giar- '

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