Fine secolo - 7-8 settembre 1985

Esenin e Isadora Duncan, sposi nel 1922. Mentre si oscura la stella di Majakovskij, il regime sovietico corona monumentalmente il recupero di Esenin, un tempo scandaloso trasgressore in vita e in morte della morale ufficiale, oggi interprete involontario di un ritorno alla patria e alla terra. Per stabilire un contatto con_farinascita nazionalistica in corso, e poi perchè "noi veniamo tutti dalla campagna". di Mauro MARTIN! •viene ricondotto, attraverso impressioni di viaggio ·e racconti det p6chi sopra\.vissuti tra coloro che conobbero il loro celebre conterra– neo, ·a una dimensione assolutamente contadi– na, dove contadino sta per idilliaco. Esenin nel contatto con la sua terra, con la sua «zolla», è veramente se stesso, si impone come il cantore di una Russia che non si è persa con gli anni, una Russia profondamente slava, aspramente anticittadina, sorta di frontiera tra una Europa negativamente «civilizzata» e la libertà siberia– na del territorio. Una Russia frammentata in una miriade di microcosmi perfettamente chiu– si e perfettamente identici fra loro. Il ritorno a casa, vivi o morti Ne emerge un ritratto di Eseni n com e poeta schizofrenico: la tragicità della s.ua esistenza viene passata in second'ordine, non si capisce il suo suicidio se non nel senso d-iuna riprova dell'impossibilità di distaccarsi dal suolo natio. E tutto viene risolto nella prospettiva del ritor– no, un necessario ritorno alle origini, prospet– tiva che ricompone le vicende di numerosi pro– tagonisti di quella stagione della cultura russa. Ccime spiegare altrimenti la pervicacia con cui le autorità sovietiche hanno voluto ad ogni co– sto riportare in patria i resti del leggendario . baritono Fedor Saljapin, d~ decenni sepolto in Francia, che pure aveva dichiarato a più ripre– se la sua volontà di non rimettere .piede in Unione Sovietica nè vivo nè morto? Letto in tal modo, Esenin non si allontana dal– la cosiddetta «letteratura contadina», ne di– venta anzi il più prestigioso corifeo.· Già nel decennio scorso la critica ufficiale aveva arbi– trariamente stabilito una sorta di linea poetica, che vedeva Esenin al culmine di una parabola, iniziata nel XIX secolo con Nekrasov e Kolcov e proseguita dopo di lui con Rubcov e Kun– jaev. Ma Esenin diventa soprattutto il garante -della letteratura contadina degli anni Settanta, quella stessa che Fedor Abramov, uno dei suoi maggiori esponenti, ha così definito: «Non è un caso che la 'letteratura contadina' sia ali' avanguardia: essa tocca il punto nevralgico. Gli scrittori-contadini scrivono della Russia popolare, essi non svolgono poi troppo male il loro compito (...). La campagna non è solo il grano, il latte, la carne, rappresenta anche il problema della nostra cultura nazionale. Noi veniamo tutti dalla campagna: la terra è nostra madre. E' in campagna che si trovano i fonda– menti del carattere nazionale, le radici della morale e della filosofia. Là sono le fonti della nostra letteratura. Senza la campagna il nostro sarebbe un mondo senza volto, cosmopolita. E' là che si giocano le sorti della nostra cultu– ra, del nostro carattere nazionale. La Terra fa nascere il verbo. La campagna è il centro della lingua non stereotipata. Sono in campagna le forze (gli autentici 'succhi') necessarie per una rinascita». Sotto questa luce un Esenin rigorosamente «contadino» risponde perfettamente all'esigen– za delle autorità sovietiche di governare, e di volgere a proprio favore, la rinascita nazionali– stica russa in atto, che nella letteratura conta– dina degli ultimi quindici anni trova espressio– ne artistica e spesso sistemazione ideologica. In questa nuova fase Majakovskij rivela tutta la sua inadeguatezza. La Russia che ha smarri– to il senso della frattura del 19 I7 e riscopre il suo essere nazione ha bisogno di un nuovo bardo ufficiale. Esenin sembra avere tutti i re– quisiti necessari per ricoprire l'incarico, pas– sando ovviamente per un bagno rigeneratore che ne sfumi certi aspetti (che senso ha per esempio ricordare il periodo «teppistico» del poeta?) e ne canonizzi altri ben più funzionali anche a tempi di propaganda spicciola. Basta leggere l'«Og~mek» di giugno: Stanislav Kun– jaev si prodiga in due pagine a raccontare con un monte di citazioni il corretto rapporto tra l'idea di patria e la creazione poetica. E, per arrivare a dimostrare che esso si trova nella sua forma più pura in molti autori «contadi– ni», il punto di partenza è ovviamente un Ese– nin edulcorato, che esorta: «Cerca la patria! (...) Non vi è poeta senza patria!». Ad una at– tenta lettura dell'articolo si viene a scoprire poi che tale patria altro non è se non la casa, una casa che ha posto nella fantomatica Rus' can– tata, sulla scorta ancora una volta di Esenin, da Valentin Ustinov . Un monumento, a/fine A suo tempo Majakovskij si era permesso di rampognare lo «squillante bisboccione appren– dista» Sergej Esenin per essersi tolto la vita, ri– cordandogli che: «Per l'allegria / è poco attrez– zato / il nostro pianeta / Bisogna / strappare / la gioia / ai giorni venturi». Contemporanea– mente si chiedeva: «Non hanno ancora / fuso per voi alcun monumento, /. dov'è / il bronzo sonante / o lo sfaccettato granito?». Anche per Esenin è giuntò il momento delle celebrazioni ufficiali. Il vero rimpianto sta nel fatto che la canonizzazione tardiva di questo I985 segna anche la completa banalizzazione della poesia dello «scandalista» di Kostantinovo. Il che è un tratto caratteristico della fortuna di Esenin. In periodo staliniano, pur sopravvivendo all'o– stracismo nella memoria nazionale, è stato ri– dotto a poeta puro, vivace, da contrapporre ai funzionari della letteratura che stavano via via prendendo il sopravvento. Oggi, con una mira– bolante inversione di tendenza, sta diventando a sua volta un utile funzionario. Da sempre in Russia è smarrita la complessità della sua poe– sia, il suo rigoroso lavoro sul folklore, che lo rende protagonista di una intera stagione.cul– turale. Perdura quindi un Esenin «equivoco». Già nel 1926 Vladislav Chodasevic nel ritratto a lui dedicato e poi raccolto in Necropoli, de– nunciava la dimensione «terribile» di questo equivoco. Un equivoco che diventa sempre più difficile dissipare.

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