Fine secolo - 23 aprile 1985

FINE SECOLO * MARTEDI' 23 APRILE · SC0l,I 'EN I JO · SC0T,I 'EN I JO Una personale dello scultore fiorenti– no Bruno Innocenti è stata aperta a Firenze nel salone dell'Accademia delle Arti del Disegno, ne/l'ambito di un programma di indagine sugli arti– sti operanti nella città nel '900. L'affettuosa presentazione al catalo– go, dovuta a Carlo Del Bravo, oltre a/l'indagine critica sulla sua opera punta alla definizione umana dello scultore è ne documenta /'aspetto più intimo, legato a/l'insegnamento nella sezione di Scultura a/l'Istituto d'Arte di Porta Romana, dove ha svolto la sua attività sino al 1975. Le accurate schede del catalogo sono di Luana Cappugi. Dalla paterna bottega di orafo alla scuola di Libero Andreotti Non si tratta naturalmente di una scoperta. Bruno Inno– centi ha occupato sin dagli inizi del suo operare uno spa– zio ragguardevole nell'ambito della scultura ufficialmen– te riconosciuta nelle principali manifestazioni nazionali, dove ha ottenuto il consenso della critica più autorevole. La raccolta presentata, che comprende 125 opere tra di– segni e sculture, preferenzia con attenta scelta il periodo compreso tra il 1921 e il 1945 sfiorando appena le più re– centi produzioni. Una serie di disegni datati dal '21 al '26, oggi facente par– te della raccolta del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, testimonia il momento formativo dell'allora giovanissimo artista (Innocenti è nato nel 1906) teso, sin dall'adolescenza, ai valori formali colti nelle "vedute sco– lastiche" degli oggetti quotidiani, dei paesaggi, dei perso– naggi interpretati nella loro espressività volumetrica. Già nel 1922 Bruno Innocenti è allievo, all'Istituto d'Arte, di Libero Andreotti, dal quale apprende a sviluppare quella vocazione scultorea fino ad allora vissuta nella bottega orafa del padre. Andreotti, maestro comune a gran parte degli scultori fiorentini della generazione di Innocenti, si– gnificava la conoscenza e la presa di coscienza di tutta una cultura francese, da Carpeau a Bourdelle, a Maillol, a Despiau, con la quale egli era venuto direttamente a contatto nel suo lungo soggiorno parigino. Quell'espe– rienza sapeva comunicare con preziosa dialettica ai gio– vani allievi, che la traducevano in un linguaggio formale più contenuto, temperato dalla tradizione della plastica rinascimentale toscana. UNA VITA NONDI AVANGUARDIA Dalla, porceOana Ginoriallegrandit;gri: colloquiale autobiografia di unuomotranquillo e inquieto, modellato dal/a, scultura. (A cura di F.S.) di AnnaGALLOMARTUCCI della sala, forse con l'intento di ricreare una sorta di "collocazione da studio", risultano di difficile lettura sia per la loro frontalità e privazione di spazio, sia per l'iden– tica luce che li investe uniformemente appiattendoli. Essi meglio si comprendono, paradossalmente, nel catalogo. Le singole riproduzioni fotografiche, pur sempre diffici– lissime per la scultura, rendono possibile l'identificazione plastica di queste opere, modellate con vivacità interpre– tativa, che si rivelano nate da un rapporto diretto e, dire– mo così, intensamen.te esclusivo tra l'artista e il modello. Anche nei nudi femminili (come le molte versioni di "Li– lia"), ricercati in una pacata armonia ricca di delicati ac– cenni formali, i volti si caratterizzano con una incisività profondamente espressiva, mentre i corpi si addolciscono sempre, attenuando l'anatomia in un rapporto plastico delicato e strutturalmente modulato. Una sapiente semplicità Un linguaggio apparentemente semplice dove però nulla è lasciato all'occasionale e tutto è perseguito con una co– scienza della forma che, a·volte, appare persino meticolo– samente fedele al ritmo prezioso delle superfici. Bisogna riconoscere a questa mostra l'intelligente decisione di presentare, contrariamente alla consuetudine, quasi tutte le opere nella edizione originale in gesso, rendendo possi– bile una lettura integrale della delicatezza del processo creativo di questo scultore, difeso dagli interventi estra– nei operati talvolta nelle traduzioni in altre materie. ._ ________ lilia _________ .. Il mondo dei monumenti e le piccole cose I ritratti L'eredità dei maestri incombe sempre, nella valutazione della critica, sugli artisti che pur non vogliono discono– scerla. Tuttavia se oggi accostiamo le opere di Innocenti a quelle di Andreotti vediamo che del maestro, anche nei primi anni, rimangonp alcune sigle decorative, certe ele– ganze sofisticate (come ne "La Margherita a teatro" del '36) e un tipico modo di trattare le superfici plastiche, ma la ricerca e l'impostazione delle figure persegue un'inda– gine del tutto diversa, attenta alla individuazione veristi– ca e psicologica di ciascun modello. Testimoniano questa condotta i molti ritratti esposti, fra i quali sono ricono– scibili, oltre ad Andreotti colto nella sua ironia espressi– va, molti dei giovani amici scultori, Berti, Granchi, Enzo Innocenti, Mannucci, ed altri che con lui venivano accolti in una sala della IV Mostra Regionale Toscana partico– larmente dedicata a "Libero Andreotti e Allievi". Questi ritratti, nell'allestimento della mostra affollati sul fondo I riconoscimenti accademici e le grandi commissioni uffi– ciali non hanno alterato il rapporto con la prediletta figu– ra umana. La scelta d'altronde delle opere esposte, che esclude quelle monumentali, corrisponde all'immagine ravvicinata e intimista che lo scultore preferisce dare di sé. Nell'autopresentazione alla Mostra degli Accademici delle Arti del Disegno del 1976 Innocenti confessava: "Benché mi sia capitato, in una carriera, ahimè lunga, di costruire anche statue monumentali, prediligo le atmosfe– re delicate e raccolte, le piccole cose serene, la bellezza dei particolari apparentemente insignificanti. Può anche sembrare che io viva in una specie di "limbo", quasi fuori del tempo, essendo io un uomo di settant'anni che arros– sisce ancora. Può darsi che m'intimorisca il mondo fuori del limbo, e tuttavia lo amo, lo guardo sempre con un misto di paura e di invidia". Un'impostazione morale che si è tradotta e si traduce in una condotta e ricerca coeren– te. • Da questa intervista chiacchierata con Innocenti abbiamo tolto le domande, superflue da ripetere. Si é cominciato dalla scoperta di una vocazione d'artista, e poi ... Mi sono riconosciuto una vocazione d'artista molto presto, da ragazzo. In un certo senso ero un figlio d'arte. Arrivai alla scultura passando dall'artigianato. Mio nonno materno faceva lo sbozzatore di marmo a Carrara. Quello pater– no era livornese e scolpiva il legno (possiedo ancora due hdle comici lavorate da lui). Mio padre invece aveva un laboratorio di orafo in Borgo San· Jacopo. Era un socialista di quelli seri, militante, mangiapreti. Io venni battezza– to ma non ebbi un'educazione religiosa: diven– tai cattolico per mio conto, molto tempo dopo, quando avevo venti anni. Quando finii le elementari, che allora durava– no sei anni, cominciai ad andare a lavorare tutti i pomeriggi nel laboratorio del babbo. Agli inizi, un pesce di creta La mattina invece andavo a quella che noi chiamavamo la "scuola di disegno". Era una scuola non statale (credo si chiamasse scuola artistico-industriale): il germe di quello che poi fu l'Istituto d'Arte. La scuola stava in S.Croce, accanto- a dove ora é la Biblioteca Nazionale. All'inizio studiavo da orafo, all'interno di un corso di formazione professionale. Ma quando .facevo il secondo anno (avevo 13 anni) arrivò Libero Andreotti. Andreotti era già uno scul– tore famoso e anche un professore pieno di in– teresse e di affetto per noi ragazzi e per chi mo– strasse del talento. Già allora (e sempre dopo) lo vedevamo anche fuori della scuola, andavamo a casa sua, ecce– tera. Cercava di scoprire i talenti preoccupandosi assai meno dei "mestieri" ai quali eravamo in qualche modo destinati. Mi ricordo che il mio primo successo con lui fu un pesce in creta, che mi aveva dato da copiare da un modello di gesso, e che gli piacque molto. Ci insegnava a disegnare tutti i giorni, continuamente, e ad avere sempre un taccuino in tasca, per essere pronti a tirarlo fuori ogni volta che ci venisse una idea o che incontrassimo un soggetto me– ritevole di essere disegnato. Anche adesso, dopo 60 anni, porto sempre un taccuino in ta– sca e lo uso assai spesso. ...

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