Fine secolo - 23 aprile 1985

_ LA FAVOLA DEI ,l4APANTERA DEI J4A COLO E DEI J4A T4EPRE ---------------------------- di Fiorentino CONTI Un "delinquente abituale",poi politico,·poifondatore dei NAP, oggi detenuto a oltranza, racconta la storia di una meteora nella costellazione della "lotta armata", di una brusca febbre, e dei suoi sfebbrati Il mio raccontare sarà al passato, perché tra– scorsa è la storia dei Nap. Dare voce alle me– morie. dunque. Perché, dicono, è il momento. Forse la memoria parlante permette già di im– maginare nuove promesse? Forse. Anche per questo la voglia di raccontare. Raccontare, non "parlare"! Il carcere. Contro e dentro Il martirologio di quella banda di tragici don– chisciotte (quelli di Unamuno, non di Cervan– tes). che furono i Nap, commemora sette mor– ti. nonostante la sua breve esistenza. Cinque uccisi dalle forze dell'ordine e due as– surti direttamente dalla terra in cielo intanto che confezionavano bombe (di cui evidente– mente non conoscevano la sintassi esplodente). I sopravvissuti ... ebbero in sorte di sopravvive– re nelle stesse galere contro le quali avevano "combattuto··. A sopravvivervi per sempre. Di contro: nessuna vittima del "nemico capita– lista". Poi, venne il "nemico multinazionale", lo S.I.M... e altre bande, più moderne. fredde, ra– zionaliste (cioè metropolitane). La fine della guerra Sono distante oggi, non mi chiedo più se sia vero o falso che di ogni cosa è madre la guerra. Molta acqua è scorsa sotto i ponti, tante storie ..rivoluzionarie" sono giunte ormai al capitolo finale della consegna delle armi e dei bagagli ai giudici o ai rappresentanti della Chiesa. Quale gesto di resa "militare" nel primo caso, e an– che di un ritorno e conversione alla fratellanza cristiana nel secondo. Comunque sia, purché questa tragica finzione della guerra finisca! Per parte mia, non avendo armi da consegna– re. sento un bisogno "religioso" di offrire le mie recherd1es alla riflessione altrui e a me ,t,•,,n egualmente. Il mio rnccnnt:1rC' SHd n,n. dc~Loe conciso; oltretutto per necessità di spa– zio del giornale che mi dà voce. foto di RandiKrokaa Un _anno, più o meno La mia storia, quale costitutore dei Nap, co– minciò. dopo un soggiorno e l'uscita dalk "Commissione carceri" di Lotta Continua. con un'azione di "autofinanziamento" nei pri– mi mesi del I974. Oh. naturalmente non farò i nomi di coloro che stavano con me... Sono un dissociato poli– tico, _non altro né oltre. Finì drasticaménte il giorno del mio arresto, in una via di Roma nel mese di giugno del 1975. Anni prima ... Sul finire del I971 ero in carcere alle "Nuove" di Torino. Scoprii che secondo l'analisi mar– xiana delle classi e sottoclassi io avrei dovuto essere un "sottoproletario''; mentre per la filo– sofia del diritto borghese venivo reputato un "ladro recidivo reiterato infraquinquennale". Accettai la prima definizione, naturalmente. Era un inverno eccezionalmente freddo, -15° Celsius. Alle "Nuove" erà in corso l'ennesima lotta ri– vendicativa per il miglioramento delle condi– zioni interne di vivibilità; per l'attuazione della Riforma carceraria (sempre rimandata fin dai tempi dell'anteguerra); per una legge di amni– stia (più facile da ottenersi della Riforma . ' perche panacea agli eterni sempre irrisolti pro- blemi della Giustizia); e, elemento storicamen– te nuovo, per una giustizia di classe! Una rivelazione! Da quel momento, nella mia vita di guitto ine– sorabilmente schiacciato negli interstizi del su– burbio. ci fu una svolta radicale. Vedevo la sa/- 1·e::::::a rivolu:::ionaria! Come ho detto era inverno e faceva un freddo boia. Tutti i detenuti erano mobilitati. Orga– nizzati per "raggi", "eleggemmo" dei delegati incaricati di portare avanti le trattative con la direzione. Già nel 1969 c'era stata una grande protesta, ma si trattava di un'altra cosa, un'esplosione spontanea, che si concluse con la deva1itazione del carcere. Era l'anno dell'occupazione ope– raia della Fiat. Questa volta invece c'era un modo nuovo di lottare. più politicizzato, più cosciente; grazie anche ai militanti rivoluzionari extraparlamen– tari di sinistra. La lotta andò come andavano allora le lotte in carcere: accoglimento di una parte consistente delle richieste (tra cui, grande conquista, l'au– torizzazione ad acquistare l'Unità) e trasferi– mento in altri luoghi di detenzione dei "delega– ti" di "raggio". Io venni trasferito a Perugia. In quel carcere ci arrivarono libri e infiammate lettere di compa– gne e compagni; si parlava, non di metafisica, ma di rivoluzione dietro l'angolo. Con l'entus~asmo che contraddistingue i neofi– ti diedi vita a quella che per anni i detenuti continuarono a chiamare "la Scuola di Peru– gia". Si leggevano i libri dei neri rivoluzionari d'America, ci si chiamava coi loro nomi, dei Black Panther, Jackson, Cleaver, Newton, Bobby Seale, si stravedeva per Angela Davis, leggevamo "I dannati della terra" di Franz Fa– non. quello che analizzava esaltandolo il com– portamento coraggioso e il contributo di san– gue del sottoproletariato algerino nella lotta di liberazione nazionale (pensate alla "Battaglia di Algeri"); si studiava il primo libro del Capi– lale di Marx (oltre non osavamo andare, era– vamo tutti dei semianalfabeti) ... Si deliquiava sulla rivoluzione "umana". Fuori per le strade si manifestava in favore del Vietnam. in carcere si tifava per i Black Pan- ther. Ci sentivamo, è vero, dei "poveri negri", comunque parte viva di,una comunità in lotta e non dei semplici oggetti costretti a vegetare fino a confondersi con la muffa delle mura del– le carceri. Questi erano i tempi. Soprattutto erano tempi esaltanti per chi come noi non aveva mai avuto modo di formarsi una coscienza sociale e politica della propria esistenza. La politica come nostra unica voce :1er urlare: esistiamo. i>erla prima volta sentivamo di far pa-rte di un , 1 nmaginario collettivo, di una determinazione al cambiamento dal di dentro della società, sia pure. e qui stava l'estetica della nostra esalta– zione, in termini antagonistici. Ci approntavamo a dare la scalata al cielo e portarlo sulla terra! Uscivo. Cioè, entravo Nel I972 fui scarcerato per decorrenza termini. Con quei sogni e quegli immaginari. Con quel– la fama. Entravo finalmente nella società! En– trai nella "Commissione carceri" di L.C.. L'e– sperienza che ricordo di quel periodo è l'amici– zia con alcune persone, la forte solidarietà umana che mi diedero e la passione con cui mi iniziarono alle letture, e a un 'ulteriore dimen– sione del mondo, dove la solidarietà era un va– lore. Comunque per me fu una breve esperien– za. Nel 1974 appunto, mi diedi alla latitanza per sfuggire a un vecchio ordine di cattura e... fon– dare insieme ad altri ex detenuti compagni quelli che poi passarono alla cronaca come i Nuclei Armati Proletari. Un ...organizzazione" che non voleva essere progettuale, ma di contingenza e concretezza. Per la liberazione dei detenuti (...non fummo mai capaci di liberare nessuno) e in sostegno delle lotte carcerarie che venivano sempre più ghettizzate nell'ambito criminale. Rientravo, cioè, uscivo Breve e mitica esperienza i Nap. Questo furo– no. Venni arrestato nel 1975, appunto. Di nuo– vo il carcere. E il carcere speciale. Erano schiere di "rivoluzionari" che finivano in prigione. Era qualcosa di altro, di diverso. In carcere, poi, si riproducevano gli stessi schieramenti ideologici che avevano unito e se– parato "fuori" questi militanti. Cambiava la società, cambiavano i protagoni– sti delle lotte, i progetti, le ideologie. O si era schierati oppure si rimaneva a fare semplice testimonianza di un passato, reperto archeologico. Dei militanti dei Nap carcerati io fui fra quelli che preferirono essere reperto piuttosto che farsi cooptare in schieramenti generali. Ultima goccia di qualcosa di romantico smar– ritasi per strada. Raccontavo quello che erava– mo stati e non capivano; mi raccontavano quello che erano e non li capivo. Ora. oggi. le aree omogenee, la "dissociazio– ne". Un tentativo in realtà di rifondare le con– dizioni per risolvere i problemi reali, piuttosto che farne una strumentalizzazione per antago– nismi di potere. Liberarsi dalle nuvole dell'ideologia per ripro– porci una cultura della trasformazione.

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