Fine secolo - 23 aprile 1985

FINE SECOLO * MARTEDI' 23 APRILE Una mostra fiorentina di.Bruno Innocenti, dedi.cata essenzialmente al periodo 1921-45. Una "sezione" in un'attività che resta operosa, e che ha combinato di.segno e pittura, e soprattutto scultura - in legno, in marmo, in bronzo, in terracotta, in ogge tti minuti e in grandi. monumenti ( come il gigantesco Cristo di.Maratea, che spaventava la protagonista di.un bel racconto di.lngeborg Bachmann ••• ). Ma con una trasparente predi.lezione per le ''piccole " cose ••. Dopo uno o due anni Andreotti mandò a chia– mare mio padre e gli disse: «Lasci tranquillo suo figlio, non -sipreoccupi troppo di fame un orafo. E' bravo, può fare anche altre cose». A mio padre non parve vero. Per anni conti– nuai a fare disegni su disegni tutti i giorni (al– cuni di quei disegni sono ora esposti alla mo– stra). Mezzo -d'Arte secolo all'Istituto Cominciammo anche a dipingere. C'erano altri professori nella scuola, ma Andreotti, che inse:. gnava la plastica, era il mio maestro. Non si li– mitava a insegnarci la scultura, ma ci portava in giro, ci faceva conoscere artisti (anche di persona), si sforzava di allargare le nostre co– noscenz.e. Lui aveva vissuto a lungo a Parigi e conosceva un po' tutti. Ricordo che conobbi Oscar Ghiglia, Carpi, De Grada, Carena. Ma imparammo ad ammirare anche Picasso, Cha– gall, Munch, eccetera. Naturalmente, gli im– pressionisti. Con me in questo gruppo di disce– poli prediletti c'erano Gelli, Romiti, Berti. In quegli anni feci il mio primo lavoro impegnati– vo, che é anche il mio primo nudo: quello di Margherita in piedi, che si trova alla mostra. Già da studente avevo un mio studio nella scuola, e appena presi il diploma diventai assi– stente di Andreotti. Per un anno fu un posto di quelli che oggi si chiamano "precari", ma già l'anno dopo diventai assistente stabile, e si può dire che da allora, per 50 anni filati, io abbia insegnato senza interruzioni nella stessa scuo– la. Con Andreotti (e con qualche altro suo al– lievo e mio collega) continuai a lavorare per molti anni, fino al '33, quando morì. Lo si aiu– tava nell'insegnamento, ma soprattutto lui ci chiedeva di partecipare, in spirito di grande amicizia, all'esecuzione di opere che gli veniva– no commissionate. Per noi erano occasioni di guadagnare ma anche e soprattutto di espe– rienza e di affinamento nel mestiere. Al tempo della Biennale Nel frattempo, comunque, cominciai ad avere i miei primi successi personali. A 19 anni par– tecipai per la prima volta alla Biennale di Ve– nezia. Allora, nell'anno che precedeva la Bien– nale, una commissione di artisti girava l'Italia in cerca di opere da esporre. Vennero anche nel mio studio, e scelsero una piccola «nascita di Venere»: un rilievo molto lavorato, che do– veva essere un calamaio. A Venezia lo vide e lo comprò Rosenbach, che era allora un grande collezionista (aveva una grande raccolta di Pi– casso e di altri artisti d'avanguardia, soprattut- · to francesi). Da allora, per molti anni, venni sempre invitato alla Biennale e vendetti sem– pre. Un anno (ma era una Quadriennale, non una Biennale) vinsi non so più se il 2° o il 3° premio, mentre il I O premio lo ebbe Arturo Martini. Ne ricavai 15.000 lire, una cifra favo– losa per quei tempi. Una cosa che ricordo con grande piacere, tra la fine degli anni '20 e i primi anni '30, sono le cene all' "Antico Fattore", tutti i mercoledì. Erano un luogo di incontro fra pittori, sculto– ri, letterati, musicisti. Insieme a Andreotti c'e– rano Carena, Colacicchi, Montale, Bonsanti, Gadda, Carocci, (tutto il gruppo di "Solarla") e poi Arturo Loria, De Grada e molti altri. Si dava un premio per la letteratura, per il quale eravamo solo noi artisti a votare. Ricordo che lo vinsero Montale, Quasimodo e Glauco Na– toli. Questa bella consuetudine finì, pratica– mente, con la morte di Andreotti, anche se venne parzialmente ripresa una quindicina d'anni dopo. L'America Nel '46 andai in America. Mia figlia, che aveva allora 6 anni, era stata molto malata e i medici consigliavano di evitarle, se possibile, i disagi del dopoguerra. Io mi ero sposato nel '38 con Elsie, che era una studentessa americana (or– mai non si può più definire americana, perché ha vissuto più di 40 anni in Italia) ed era venu– ta a Firenz.e a studiare scultura. Il suo capolavoro fu un bassorilievo che raffi– gurava la celebre storia toscana di Petruzzo che va a prendere il cavoluzzo eccetera eccete– ra. Ci sposammo per procura (lei negli Stati Uniti io a Firenz.e) il giorno prima che entrasse in vi– gore la legge che vietava i matrimoni con stra– men. Il ministero dell'Educazione Nazionale (il mi– nistro, allora, era Bottai) mi aveva impedito di avere il visto per andare negli Stati Uniti, sicché dovetti limitarmi ad andarle incontro a Le Havre dove sbarcava dal Normandie. Fu così che conobbi i miei suoceri soltanto 6 anni dopo, a guerra finita. Negli Stati Uniti (a Norwalk), io avevo un mio studio e continuai sempre a lavorare. Feci una mostra, vendetti delle mie sculture, partecipai anche,.come scultore, a un grosso progetto per la deviazione del corso del Mississipi presenta– to da un gruppo di architetti a capo dei quali era Gropius. Conobbi artisti importanti, come Mestrovich e Mencip. Mi offrirono un posto di assistente a Yale, ma io avevo molta nostal– gia di Firenz.e. Elsie, stranamente, ne aveva an– cora più di me. Non riuscivamo ad abituarci a un modo di vita americano nel quale gli artisti, più che starsene nei loro studi a lavorare, cor– revano da un party a una mostra, da una con– ferenza a un altro party: Così tornammo in Italia dopo un anno. Il mio studio di Norwalk me l'ero arredato con mobili ·costruiti da me usando pezzi di legno trovati sulla spiaggia. Quando partimmo li scaricai tutti alla foce del fiume restituendoli ali' oceano da dove erano venuti. Le voghe Non molti critici si sono occupati di me e co– munque non li ricordo tutti. C'erano comun– que Ugo Ojetti, Raffaele Calzini, Francesco Sapori. Nel dopoguerra, quando tornai in Ita– lia, il tipo di scultura cui io (ma anche molti al- tri) ero rimasto fedele non era più sulla cresta dell'onda. Pullulavano le avanguardie. Io, co– munqùe, ho continuato sempre a lavorare. Ci sono mie opere, sculture o disegni, nella Galleria d'Arte Moderna e agli Uffizi a Firen– z.e, nelle gallerie di Arte Moderna di Torino, Milano e Roma, nella Pinacoteca di Bari, in collezioni private in Svizzera e negli Stati Uni– ti. Prima della guerra ce n'erano anche a Diis– seldorf e a Belgrado, ma temo siano andate ~rdute-'- Nelle gallerie italiane (mi diverte precisarlo) le mie sculture popolano assai di più le soffitte e le cantine che le sale aperte al pubblico.· E' una sorte, questa, che io condivido con buona par– te della scultura italiana da Vincenzo Gemito in poi. Le ragioni ufficiali sono clie non c'è spazio, che occorre alternare gli artisti, eccete– ra. In realtà, é solo in questi ultimi anni che si stanno riscoprendo gli anni '30 e un certo tipo di produzione artistica che era stato frettolosa– mente accantonato come freddo, accademico, antiquato. Ho avuto allievi affezionati, alcuni dei quali sono oggi giustamente noti. Per ricordarne qualcuno: Giuliano Vangi, De Angelis, Sciola, Loreno Sguanci. Vengono ancora a trovarmi, qualche volta. Bruno Lelli, che era molto bra– vo, é morto durante la resistenza (eta partigia– no). Piccolo, forse, è più bello Mi é capitato di fare lavori quasi microscopici e altri di proporzioni colossali. Sono passato dalle monete e dalle figure di porcellana per Richard Ginori al grande Cristo Redentore (21 metri: la statua più alta d'Italia) che mi venne commissionata anni fa a Maratea. Spesso mi é capitato di lavorare sospeso per aria: non solo nel caso del Cristo. Molti anni fa mi venne dato l'incarico di scol– pire delle statue delle Muse al Teatro Comuna– le di Firenze: sono ancora lì, ma nel frattempo banno abbassato il soffitto e le mie statue sono rimaste al di sopra. Mentre ci lavoravo, lì in alto, mi capitava di assistere alle prove delle opere (la musica è stata la passione più impor– tante della mia vita). Ricordo, ·per esempio, che una volta, alcuni metri sotto di me, il gran– de Beniamino Gigli pretendeva di cantare una romanza dell'Adriana Lecouvreur stando non solo seduto, ma addirittura con le gambe acca– vallate. Dal punto di vista vocale era perfetto, in com– penso, la sua pinguedine rendeva molto diffici– le l'accavallamento delle gambe e lo obbligava a tener ferme le ginocchia con le mani. I collaboratori di questo n,1rnero di Fine Secolo Michele COLAFATO lavora all'Università di Roma e soggiorna attualmente negli Stati Uniti. Ha pubblicato inchieste sociologiche ("Modi e luoghi", interviste con operai della Fiat di Termoli, Feltrinelli 1978), saggi-racconti ("Roma africana", in Nuovi Argomenti, ott.-dic.1982), ecc. Collabora regolarmente a Reporter. Fiorentino CONTI vive in carcere, a Rebibbia. Enrico DE ANGELIS insegna letteratura tedesca all'Università di Pisa. Tra i suoi molti libri, ricordiamo: "Qualcosa su Manzoni", Einaudi 1975; "Robert Musil, biografia e profilo critico" Einaudi 1982; e il recentissimo "Doppia verità", Marietti 1985. Ha anche tradotto e introdotto i Diari di Musil, sempre per Einaudi, I98I. Anna GALLO MARTUCCI insegna storia dell'arte all'Accademia di Belle Arti di Firenze, e si occupa in particolare di scultura moderna. Beppe SALVIA, nato nel 1954 in provincia di Potenza, ha vissuto soprattutto a Roma. Si è tolto la vita il 6 àprile 1985, a Roma. Sue poesie sono apparse su "Nuovi Argomenti", "Braci", "Prato Pagano", "L'Oca parlante". Hanno altresì contribuito a questo numero gli scrittori italiani che ci hanno fornito il testo originale della loro risposta all'inchiesta di Libération, e Natalia Ginzburg, cui abbiamo chiesto un intervento. Inoltre Paola Agosti, Ginevra Bompiani, Igi Capuozz6, Settimio Conti, Antonio De Marco, Randi Krokaa, l'Agenzia fotografica Contrasto. G.Franco Maffina ci ha fatto notare due sviste nelle didascalie alle foto di scultori nell'inserto del 7 aprile, che.hanno fatto diventare Arturo Martini "Antonio", e Giuliano Vangi "Michele", del che lo ringraziamo, e ci scusiamo. La cura di Fine secolo è di Nora Barbieri, Paolo Bernacca, che si occupa della veste grafica, Marino Sinibaldi, Adriano Sofri, Franco Travaglini.

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