Fine secolo - 6 aprile 1985

racconti un sorrisetto, ora preoccupato, ora sussiegoso ora come di vergogna, simile, come vidi poi nella vita, a quello che si rivolge a volte ai dementi; né sapevo che si– gnificava soltanto che di me, e assai in fretta, erano di– ventati più adulti; diverso però da quello che allora in quel tram mi rivolgeva mia madre, che era solo tollerante e nel contempo stranamente partecipe e come visionario. E infatti disse a metà del Rettifilo in modo brusco, con una voce leggermente ansante e un tono grave, che mi parve privo di ogni refa.zionecon le mie allegre_ fantasie, che presto saremmo andati ad abitare in campagna dalla nonna. So anche oggi che quelle infantili farneticazioni erano un dono offerto a mia madre, ospite con noi degli zii, e della quale, oltre che dei miei fratelli, mi sentivo il capo, come dovessi sostituire mio padre, prigioniero degli inglesi a Tangeri. In quel palazzo che le offrivo erano riuniti i lussi di cui eravamo stati privati e la.povertà utopica che si .manife~ sta nella frase "Due cuori e una capanna". Era anche la casa a cui giocavamo sotto il tavolo, sotto il letto o nel folto di un cespuglio; ma mentre in quei giochi infantili il maggior fascino risiedeva nell'escludere gli adulti dalla 'casa', nelle mie immaginazioni sulla fontana di Piazza della Borsa comprendevo i miei genitori, e essi soltanto fra gli adulti, come se le sventure della guerra li avessero resi bambini e io di quella fragile comunità fossi il capo carismatico. Non mi preoccupavo che il 'palazzo' non avesse tetto: non sarebbe stato difficile edifièarne unò con un lenzuo– lo, con delle frasche, con una zanzariera logora; nè la for– ma bizzarra di quelle stanze, non rettangolare né quadra– ta, ma triangolare; non solo perché mi pareva fiabesca, ma perché così fatte mi erano parse le stanze di tutte le nostre case precedenti,. aperte all'esternoAal lato più \ar-.- Nella pagina precedente:Napoli, la fontana di piazza della Borsa "in una vecchia cartolina (Arch. Colonnese)e in una foto_grafia di oggi. In questa pagina, a sinistra:Na~oli, ponteggi a Montecalvario.A destra:Na~li, via Marina."Dalle pareti eh erano state azzurre,verdie giall';.,_ venivail soffio di quella vita, che nessunvento avevaancora disperso.L'erano in esso i mezzogiornie le malattie e l'ultimo respiroe il fumo vecchiodi annie il sudore che gocciola sotto le ascelle e"inzuepa i vestiti( ...) C'era l'acre dell'urinae il bruciatodella fuligginee il vapore_gngiodelle patate e il puzzo pesantee liscio dello strutto, che diventa vecchio{...) E molto s'era.aggiunto dal basso, dall'abisso della strada che vaJ.)Orava, e altro era colato dall'alto con la_pioggia,che sulle città non e pulita ..."(Rilke, "I Quadrenidi Malte Launds Brigge"). Sotto: Pompei, il cane alla catena. go e convergenti verso un centro misterioso, che le teneva insieme, l'amore dei miei genitori, nudo e svergognato, solenne e maestoso,a un tempo, come quelle confuse sta– tue di divinità e di mostri marini che si ergevano al centro della fontana. Fantasie di case, invece che di deserti, campagne, marine Forse se quel giorno dentrQ la vasca ci fosse stata dell'ac– qua, zampillante o anche solo stagnante, non avrei avuto quella fantasia; perché già allora per me l'acqua era l'ele– mento disgregatore delle case, delle cose e delle famiglie; non solo per tutto quel mare che ci aveva separati dall'i– sola; non solo per le esperienze paniche che avevo fatto con l'acqua; ma perché l'ultima casa dove ero prima vis– ,suta~1'u11ic.~ co_n il tetto ve_rcle n~U'is.ola,__çrn_ costn.J.ité:\. sul- la roccia a picco sul mare, e lo si sentiva nei giorni di tempesta rumoreggiare sotto i pavimenti; più. che dalla pioggia la casa pareva quindi proteggerci dall'acqua sot– terranea che aveva scavato le grotte nel corso del tempo e che lambiva voracemente le nostre mura. Anche la me– moria di quel tetto verde e marino, che pareva copiato da un libro di favole esotiche, m'induceva a pensare che ìl tetto fosse l'ultimo problema di una casa. Lo si sarebbe potuto costruire come per gioco. Non potevo sapere allora, isolati e forestieri com'erava– mo, che migliaia di bambini napoletani avevano come me fantasie di case; e che i loro genitori erano stati costretti a farsi di ogni luogo coperto, tunnel, gallerie, stazioni, grotte di tufo,.stanze miracolosamente preservate in edi– fici bombardati, autobus e tram fuori uso, una casa, prendendone possesso non con la fantasia, ma con le loro povere robe. Insomma quella mia immaginazione era di tutti e le mie parole farneticanti facevano parte di un coro. Né potevo conoscere un'altra e più arcana legge dell'im– maginazione; che se essa ha la facoltà di collegare il pre– sente al passato assieme a quella di unire il proprio desti– no individuale a quello degli alrri, può anche anticipare il futuro. Non sapevo quindi che per tutta la mia vita e an– cora oggi dopo quaranta anni, anzi soprattutto ora, a quasi cinque anni dal terremoto, la fantasia di una casa mia avrebbe continuato a dominarmi. Come domina la fantasia di tanti Napoletani. . E è certo paradossale che una fantasia del genere domini in una città: un luogo cioè fatto di tante case strette le une alle altre; e non vi dominino invece fantasie di deser– ti, di marine, di campagne, o, più celesti, di angeliche di– more. Che si sia quindi costretti a desiderare proprio ciò di cui c'è tanta soffocante abbondanza. E questo_ Pl!f ~~pe~do,, co~ç _§.~lli!VQ_ ~i~- - auo.ra ,. ç!}e_.ll_

RkJQdWJsaXNoZXIy