Fine secolo - 30 marzo 1985

FINE SECOLO * SABATO 30 MARZO 28 EVACUARE VENEZIA ---------------------------di Franco TRAVAGLINI ------------------------------ Mestre, martedì 19 marzo, ore 15: la motoci– sterna jugoslava Podravina, proveniente dal ·canale dei Petroli, accosta per attraccare al pontile 34 della Montedison. Improvvisamente si spezzano le funi che l'agganciano al rimor– chiatore, la nave sbanda e va ·a sbattere contro il muraglione che protegge il ponte ad arco del Petrolchimico. Imprevedibile, cioé prevedibilissimo Dalla fa11ache si apre sgorf_!a copiosa la virgin nafta, un materiale molto infiammabile. «Ba– sterebbe una scintilla e tutto si incendierebbe, proprio vicino agli impianti Montedison», scri– ve un giornale locale. Per fortuna non succede. Anche il disastro ecologico che poteva derivare dal dilagare della nafta in laguna viene evitato -riferisce lo stesso giornale- dalla marea mon– tante che spinge la chiazza verso l'interno dei canali e dal pronto intervento dei servizi di emergenza della Montedison e della Capitane– ria di porto. L'emergenza scatta comunque in tutte le aziende vicine: alcune vengono abban– donate dagli operai che rientrano solo dopo qualche ora; in altre vengono distribuite le ma– schere antigas -«solo una giusta precauzione», dichiarerà la direzione aziendale. «L'incidente -conclude il giornale- dimostra, insieme all'effi– cienza dei mezzi di servizio, che l'imprevedibile può sempre avvenire». E se l'imprevedibile si fosse esteso ulteriormen– te, se ci fosse stata quella séintilla, se avesse in– vestito anche l'ambiente circostante, l'abitato, cosa sarebbe successo? Ci sarebbe stata una uguale efficienza nel provvedere a mettere in salvo la popolazione? «Sicuramente no -risponde senza esitazione Michele Boato di Smog e dintorni-, ammesso che si possa parlare di fatto imprevedibile e di efficienza di intervento, questa c'é solo dentro la fabbrica. I piani di emergenza, che pure esi– stono, si fermano ai cancelli degli~stabilimenti. D'altra parte tutto il problema della pericolo– sità delle lavorazioni, così come quello della nocività, per anni é stato affrontato solo in re– lazione all'interno della fabbrica, alla sicurezza degli operai che ci lavorano. Solo più tardi si é cominciato a pensare all'impatto con l'ambien– te esterno e con la gente che ci vive». C'é voluto tempo perché i problemi venissero riconosciuti, alcuni si é cominciato ad affron– tarli, altri, la maggior parte, no. Atterrare nel fosgene Il primo é stato dunque quello della sicurezza all'interno delle fabbriche. «Con anni di lotte - dicono al Consiglio di fabbrica della Montedi– son- abbiamo sanato la totalità dei problemi della fabbrica. Questo, ovviamente, non vuol dire che ci sono sicurezze assolute. Possiamo dire però che i materiali pericolosi con cui la– voriamo li abbiamo imbrigliati, li teniamo sot– to controllo». Uno di questi materiali, mi ricordano, é il fo– sgene, più noto per essere stato usato come gas velenoso nella prima guerra mondiale e, in se– guito, da Mussolini in Abissinia. Di recente é tornato alla ribalta delle cronache perché indi– qtto come uno dei possibili responsabili della morte di migliaia di indiani a Bhopal. All'inizio degli anni '70, quando si cominciò a produrlo e a usarlo a Marghera, ci furono del– le fughe. Intervenne prima l'Ispettorato del la– voro, imponendo l'uso delle maschere antigas (40.000!); p'oi il sindaco che ordinò la chiusura dell'impianto fino a quando non ne fosse ga– rantita la sicurezza. Ora l'impianto é in funzio– ne, nonostante si sappia da molto tempo' che la stessa produzione é realizzabile usando altri materiali; tant'é vero che in Giappone e negli Stati Uniti il fosgene non si adopera più (anche se società americane, come si é visto, continua– no ad usarlo nel Terzo Mondo). Si può ricordare, con il brivido che accompa– gna i piccoli fatti che potevano diventare gran– di disastri, un episodio di cronaca del 1974: un Un gruppo di ecologi hafatto il censimento delle catastrofi incendiarie e chimiche che minacciano gli abitanti di Mestre, Marghera e ·Venezia, e ha concluso sulla necessità di approntare fin d'ora un piano di evacuazione. Un eccesso di zelo da "contropotere"? Una/orma di allarmismo da vocazione catastrofista? Uno sgambetto alle organizzazitJni operaie, preoccupate di far tornare i conti dell'occupazione con quelli della sicurezza ambientale? E la gente come reagirà? Se le ragioni degli ambientalisti sono fondate, Venezia diventerà il banco di prova della disponibilità psicologica e tecnica della gente alla fuga ordinata da un "terremoto" suscitato dagli uomini stessi. pi~olo aereo precipita in un piazzale della se– conda zona industriale, non lontano dai depo– siti di fosgene. In quel piazzale resta, pro me– moria, un pezzo del velivolo schiantato. Resta anche la causa che rende ancora possibili simili incidenti: il cono di atterraggio dell'aeroRorto passa infatti esattamente sopra la zona indu– striale. A nulla sono valse proteste e proposte per modificare quella traiettoria. Si é però ot– tenuto che cessassero le esercitazioni dell'aero– nàutica militare che si svolgevano nei pressi della stessa aerea. Tutti fumatori per_ conto terzi Solo in un secondo momento si é posto il pro– blema dell'incidenza di quello che si fa dentro le fabbriche, sull'ambiente esterno. Nel '76 il Centro Medicina del Lavoro di Padova svolge un'inchiesta sui bambini di Venezia, Mestre e Marghera. Risultato: é come se i bambini qi Mestre e Marghera fumassero 20 sigarette al giorno. «In quegli anni -ricorda Michele Boa– to- nasce un movimento che si pone il proble– ma della eliminazione dell'inquinamento. Che questo fosse al centro anche della nostra inizia– tivà lo si vede dal nome che ~bbiamo dato alla nostra rivista, "Smog e dintorni", appunto». Il problema principale in _questo caso é l'emis– sione quotidiana di 250-300 tonnellate di ani– dride solforosa e di 150 tonnellate di polveri, solo dalle centrali termoelettriche. Così, men– tre altrove nasceva un movimento contro le centrali nucleari che non escludeva il ricorso a quelle a carbone, a Marghera e Mestre ci si batteva, anticipando una posizione che poi si sarebbe diffusa nel movimento verde, per la sostituzione del carbone con il metano. Il me– tano infatti costa di più del carbone, ma inqui– na molto meno; il suo impiego é in realtà meno costoso che rendere non inquinante il carbone. I Dalla fabbrica alla città? A riproporre recentemente e drammaticamen– te la possibilità di incidenti, con il coinvolgi– mento dell'ambiente esterno, e della gente che ci vive, sono invece due disastri lontani, che si susseguono sul finire del 1984. Negli ultimi giorni di novembre un gigantesco incendio scoppia nei depositi di gas e carburante di Città del Messico. Le fiamme vengono domate dopo diversi giorni e a lungo si teme per la sor– te dell'intera gigantesca città; i morti sono al– cune centinaia. Il 3 dicembre inizia in India la tragedia di Bhopal, dove un guasto in una fab– hrica chimica dell'americana Union Carbide. · provoca migliaia di' morti. Va' bene lottare contro la nocività in fabbrica, va bene garantire la sicurezza degli operai che ci lavorano, va bene battersi contro l'inquina– mento dell'ambiente esterno. Ma se succede qualcosa come a Bhopal e a Città del Messico, come lo si frontegg~rà? L'impressione che una così malaugurata ipote– si non si possa esclucrere,non la ricavo solo da– gli ambientalisti di Smog é dintorni. Giovanni Benzoni, assessore al decentramento e alla protezione civile del Comune di Venezia, alla mia domanda, risponde che non é in grado di dire se ci sono rischi di questo tipo e quale pro– babilità hanno di av.verarsi: «Posso dire però che non c'é ancora fra la fabbrica e il territorio un. rapporto tale da garantire l'ambiente ester– no da quello che, eventualmente, potrebbe suc– cedere dentro le fabbriche». Al Consiglio di Fabbrica della Montedison, d'altra parte, riba– discono il concetto di sicurezza come rischio calcolato e controllato. Affermazioni, entram– be, non rassicuranti .. La bomba incendiaria Gianfranco Bettin, consigliere di Quartiere di Porto Marghera, mi- accompagna in un giro turistico particolare, alla ricerca delle ,;bom– be" innescate in questa città, bombe incendia– rie e bombe chimiche. Cominciamo dal Ponte della Libertà, quello che congiunge la terraferma a Venezia. Vene– zia però ci accontentiamo di sbirciarla con l'occhio sinistro, mentre il destro si riempie delle cisterne e dei comignoli di Porto Marghe– ra. Ritagliati su questo doppio scenario, affon– dati fino a mezza gamba in una nera fanghi– glia, uomini e ragazzi cercano vermi per la pe– sca. Qui, affacciati sulla laguna di fronte ai profili di S.Marco, si ammassano in buona parte quei due milioni e mezzo di metri cubi di materiali infiammabili vari (olii greggi, petroli, gas, olii combustibili: benzine) che risultanQ essere pre– senti per ammissione stessa delle imprese che ne fanno uso. Venezia é al sicuro, almeno su questo fronte; c'é l'acqua a fissare una barriera che il fuoco difficilmente potrebbe superare. Ma sul versante della terra ferma, c'é Porto Marghera e, in mezzo, solo una strada. Subito varcato il ponte, venendo da Mestre -il luogo degli appuntamenti di lotta operai più memorabili, ricorda Bettin- la strada corre di– ritta fino all'ingresso principale della Montedi– son. A sinistra la prima zona_ industriale, in parte in abbandono, con dietro appena visibili le cisterne che prima abbiamo guardato dal ponte; a destra le case di Porto Marghera. «E' nata con le fabbriche negli anni '20, doveva es– s.erela città giardino degli operai ... ». Ma molto del verde che c'era, ora é occupato da mucchi di container accatastati fino a tre-quattro pia– ni, che, a tratti, formano muraglioni di colore macchiato di ruggine lungo la strada. La bomba chimica Più avanti é la seconda zona industriale, più recente e in piena funzione. Dall'intrico di ci– miniere, tubi, capannoni, cisterne, la fabbrica espira i.suoi fumi. E' soprattutto qui che si an– nida la seconda possibile bomba, quella chimi– ca. Sono sempre i dati forniti dalle aziende a dircelo: 30 tonnellate di fosgene, 45.000 ton– nellate di ammoniaca, 2.500 tonnellate di cia– nuri e così via, in un lungo elenco di materi-ali . tossici. Anche qui l'abitato é cresciuto sull'al– tro lato della strada, ma attorno a un insedia– mento più antico, che ha al centro una celebre villa del Palladio. Si dice che la villa fosse co– struita da un signore veneziano per segregarvi la bella moglie infedele. Donde il nome della località, Malcontenta. E Malcontenta é oggi, a maggior ragione, per trovarsi di fronte quei fumi "normali", che potrebbero diventare una nube mortale. I fuochi aell' accampamento il giro finisce sulla laguna, all'estremo limite sud della zona industriale. Proprio a ridosso dei muri di cinta della fabbrica é sorto un mo– derno camping che d'estate fa il tutto esaurito. Chissà che effetto fa svegliarsi il mattino qui sotto, poi salire sul traghetto che parte dal molo vicino, trascorrere la giornata a Venezia e tornare beatamente esausti la sera, a dormire sotto le fiamme eterne dei gas di scarico. Da questo confine estremo della grande fab– brica torna a offrirsi ·la .visione d'insieme di quel che si affaccia sulla laguna. E' impressio– nante, il contrasto. Spingendo· lo sguardo più in là, verso Chioggia, si può indovinare un al– tro mondo ancora. La cassa di colmata, predi– sposta per la costruzione della terza zona indu– striale, che la natura però si é ripresa ed é ora meta di specie rare di uccelli migratori. Più in là ancora le lagune quasi intatte, dove ci si può addentrare con barchini e canoe, fra canali e acquitrini, con la possibilità di incontrare airo– ni, cavalieri d'Italia, avocette,.anatre selvatiche e altri animali. Fra questi, ma bisogna essere fortunati, una piccola colonia di bufali. Nessu– no voleva credere ai primi che li avevano avvi– stati: che c'entrano qui i bufali? Poi un'indagi– ne televisiva pare aver messo fine ai dubbi:·

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