Fine secolo - 16 marzo 1985

FINE SECOLO * SABATO 16 MARZO 28 ·•1o ti dico che non c'è per l'uomo preoccupazio– ne più tormentosa di quella di trovare qualcuno al quale re::tituire, il più presto possibile, quel dono della libertà che il disgraziato ha avuto al momento di nascere". Sono parole che la russa, contorta ·intelligenza di Ivan Karamazov suggerisce al suo Grande Inquisitore (F. Dostoev!llcij,I fratelli Karama– zov). E forse Dostoevskij è ancora oggi così male aecetto in Unione Sovietica perchè un let– tore troppo attento potrebbe scoprire lì, nel ge– niale Inquisitore, l'ispiratore primo, il fantasti- · co teorizzatore della futura macchina del potere, certo lei poco fantastica ma concreta e irriducibile. Penso all'emigrazione. L'Europa e l'America sono piene di emigrati russi, pronti a restituire in fretta quel "dono della libertà" che la vita aveva concesso loro· sotto forma di un passa-' porto per un viaggio, via dalla Russia, senza ritorno. La Russia e la non~Russia Scriveva Marina Cvetaeva, poetessa russa emi– grata: "Per tutto ciò che è non-Russia la Rus– sia è sempre stata un altro mondo -con i suoi orsi bianchi o con i suoi bolscevichi, poco imi... porta -sempre altro". All'intelligenza occiden– tale questo altro mondo è difficile da decifrare; ci stiamo idealmente· di fronte, noi, titolari di ironica razionalità, e loro, portatori di un'ani– ma tragica e ingombrante. Anni fa, dopo i primi soggiorni in Russia, io che venivo dalla non-Russia avrei consigliato, stimolato, spinto ogni amico russo ad ·andarse– ne, a cominciare a vivere davvero, perchè in· Russia _nonc'era vita, ma lotta per sopravvive– re. Oggi però l'emigrazione dal paese degli orsi bianchi e dei bolscevichi è troppo spesso un re– bus triste e oscuro. Tonia in Russia Svetlana Stalin, Zinov'ev forse tornerebbe, e poi ho vi– sto in questi anni tanti russi in Europa che pa– revano "cani lanosi ai tropici", e ho letto tante pagine in cui Europa e America si piegavano sotto i colpi velenosi di emigrati carichi di no– stalgia e di rancore. Potrebbe perfino preten– dere, lo Stato Sovietico Grande Inquisitore, che negare alla grande maggioranza dej citta– dini di uscire, di conoscere il mondo, non sia che un atto di amore e di sollecitudine: non ti lascio uscire dalla Russia perchè non voglio che tu soffra in un mondo che non fa per te; ti incateno qui perchè la libertà ti farebbe pian– gere, smaniare, impazzire, per poi solo farti in– vocare il ritorno. Certo, l'URSS non è lo stato madre e padre, sollecito della salute dei suoi figli, anche i più ingrati. Ma altrettanto certamente nè l'Ameri– ca, nè l'Europa hanno trovato un padre e una madre che placasserro l'«orfanità» dei russi emigrati. Allora,' invece di promettere a chi se ne va dalla Russia chili di democrazia in più, perchè non rileggere l'emigrazione anche come una riflessione su noi stessi - quelli che ospita– no, i dispensatori di sole e libertà, passaporti e patrie nuove di zecca? Alja, emigrante a 10 anni .,,..,.•:•:•.· .-.t:·:_;-:_:_:_{\·'.· ,.::;:;,::>;.·:. ;:::: :·:::·;mtihX·::·%•·· -_. -:. ,~;}.f.'::',::• :, ..·. ..-: ~ ·._, . ::.: .:_::,( ':'.:;;'.~~~~i::1:;~~;;\~~t.'.!~)::~:f t.\~ ;:~~::r;~r:~:::~!:,;· _·:: .· ....... ::_ ..- . IL RUSSO FUORI POSTO « Un uomo dal modo russo di comp!)rtarsi è ridicolo in Europa, come un cane lanoso ai tropici». ( V.Sklovskij). Quanti sono i russi in occidente che hanno «riacquistato la li– bertà», e sognano di-darla indietro? . Svetlana Stalin torna in URSS. Zinoviev dice che desiderebbe tornare. E noi ci restiamo male, come se dei nostri OSJ)itianticipassero bruscamente la loro partenza. Solo allora sentiamo di averli tra– scu~ati,forse di non av~r{i.capiti. Forse di non poter cap1rl1. · Sergej Efrol\ è scomparso in circostanze oscu– re, nè madre, Marina si è impiccatà nel '41, di nuovo in Russia, nè fratello, Mur è-caduto al fronte, nè sorella, Irina era morta a 2 anni, di denutrizione, nella Russia amata-odiata-ab– bandonata-sognata da Alja. Alja ha lasciato, dell'emigrazione, pagine fra le più vive. Ha detto sommessamente che cosa si prova, a 10 anni, a<;labbandonare il proprio paese, senza i motivi ideologici, politici, morali che spingono un adulto a emigrare, ma solo con il proprio piccolo dispiacere, con la consa– pevolezza dell'infanzia finita d'un tratto, con il dolore del distacco dalle cose. Perchè a quell'età sono ancora le cose, gli og– getti, che valgono più di ogni grande idea: "Ed ora le cose che fino a poco fa possedevano la qualità e i difetti del peso, della forma, del vo– lume, del colore, le cose-necessità e-le cose-ca– pricci, le cose-abitudine e le cose-fardello, ere– ditate, acquistate, regalate (...) tutte queste cose, abbandonate da noi, improvvisamente. avevano perso in qualche modo la loro carat– teristica di oggetti e quel calore usuale, che ve– niva loro dal legame vivo con le persone, dal servir loro". La mano di bambina-già-vecchia ha compilato anche un elenco di cose personali, "preziose", che non si possono abbandonare mai, che han– no scaldato la miseria di Mosca e sono desti- Marina, dalla Francia, a Boris, in· Russia "Scrivimi della Mosca estiva - Mia - fino alla passione -la prefe– rita fra tutte~'. _ · Partita nel '22 per l'Europa (perché è davvero difficile ricordare ·che la Russia è anche Euro– pa), Marina ripercorrerà nel '39 la strada che porta a Mosca. E' l'ultimo tentativo di ritrova– re una patria; ancora due anrii di Russia, e poi la scelta definitiva. Nel '41 Marina si impicca. Dal '22 al '39 c'è stata però una parentesi lun– ghissima, 17 anni di emigrazione, strati diversi di solitudine che si sovrappongono, solitudine in Unione Sovietica, poi in occidente tra gli oc– cidentali e in occidente tra i russi emigrati, quando Marina scrive: "Comprendetemi nella mia posizione solitaria (alcuni mi reputano "bolscevica", altri "monarchica", altri ancora una cosa e l'altra, e tutti fuori bersaglio) -il mondo va avanti e deve andare avanti, ma io non voglio, non MI PIACE, ho il diritto di non essere mia contemporanea, giacché se Gu– milev dice: Sono gentile con la vita contemporanea Alja è emigrante per •forza a l O anni al seguito di Marina (Cvetaeva), poetessa-madre che "non assomiglia affatto a una mamma", ma che "si arrabbia e ama. Ha sempre fretta. Ha un'anima grande". L'anima grande di Marina, la sua incapacità di adattarsi alle cose piccole, alle miserie del dopo rivoluzione, spingono lei· e Alja a salire su un treno elfo le sradicherà da Mosca e le ab– bandonerà, più sole che mai, a Berlino. -. nate a portare un po'. di calore nel freddo di una Berlino-non patria: "I miei valenki (stivali di feltro) - Gli stivali di Marina - La caffettiera rossa -Il bicchiere azzurro nuovo (...) -Il leone di velluto". Si può crescere anche in fretta nel– l'emigrazione ma a dieci anni un leone di vellu– to e un bicchiere azzurro, nuovo per giunta, contano ancora, eccome. io con lei sono scortese, non la faccio entrare oltre la mia soglia, sempllcemente, la getto giù dalle .scale". Un pezzo di lettera che è un programma di vita, sgradito in Urss ma sgradito anche nel nostro mondo europeo. In URSS, perché lì era obbligatorio essere gentili con la vita contem– poranea, una vita nuova obbligatoriamente bella, positiva, rivoluzionaria; ma sgradita an– che in Europa, dove non è facile vivere senza allinearsi, senza_schierarsi, e se non lo fai lo fanno gli altri per te, e ti chiamano «monarchi– ca» o «bolscevica», perché non sanno vivere senza mettere etichette su cose e persone. Sen– za schedarti nel loro catalogo mentale. Marina costringe invece anche i pigri a pensa– re, i paurosi a venire fuori dai loro nascondigli. Una vita di trasferimenti, quella di Alja: da Mosca a Berlino, in Boemia, a Parigi. Poi, nel '37, il ritorno. (É davvero possibile allora stare lontani dalla Russia?). Poi l'arresto nel '39~ot– toanni di lager, e ancora la Siberia, e i ghiacci della politica che si sciolgono e riabilitano infi– ne. anno 1955, anche lei. Lei non ha più padre, Di Mosca, "la preferita fra tutte", Marina può solo chiedere a Boris Pasternak notizie, come acqua per un assetato con la gola che brucia: lei, emigrata in Germania, Cecoslovacchia, Francia, lui, abitante a Mosca, ma non meno sradicato, emigrato nella Russia sovietica da un suo ry-iondopoetico lontano. Scrive per esempiò a Rilke della sua solitudine e non nasconde niente di sé. Non finge, come faranno poi anche tanti russi, di essere solo . un'anima russa superiore alla materia~ità euro– pea. Lei confessa invece spietatamente di esse– re gelosa della carne, invidiosa di corpi che sanno catturare l'amore: "Pura gelosia, Rai– ner. La stessa che l'anima prova per la carne. E io sono sempre stata gelosa della carne, tan– to· celebrata( ...) Non riusciranno mai ad ama– re l'anima quanto la carne. Nel migliore dei casi potranno cantarne le lodi. La carne sarà sempre amata da migliaia di anime". Questa donna mette sotto processo due mondi ugualmente incapaci di accoglierla. Dall'Occi– dente scrive nel '31: "Tutto mi_spinge verso la Russia, dove non posso andare. Qui sono inu– tile. L'ì impossibile". Il Professor Pnin e l'America j Nabokov lo conosciamo tutti come autore di Lolita. Ma anche Nabokov era russo, emigra– to, abituato a vivere con· la nostalgia come "folle compagna di tutta una vita", autore di storie di emigrati come questo Pnin, recente– mente ristampat9 in Italia (ed. Longanesi). A conoscere il professor Pnin dalle prime pagi– ne del romanzo, sembrerebbe di aver a che fare con un perfetto nuovo americano, sbarcato nel Nuovo Mondo e integrato senza traumi: "Or– mai, a cinquantadue anni, il professore era un patito dell'elioterapia, portava camicie e calzo– ni sportivi, e quando accavallava le gambe ostentava con cura,. volutamente e sfacciata– mente, un'estensione enorme di riudo polpac– cio". Già tre elementi non russi, dunque: abbronza– tura accentuata, aria attivamente sportiva, pel– le nuda esposta con disinvoltura. Ma bastano poche righe maliziose a disintegrare la perfe– zione dell'immagine del nuovo americano: "A questo punto occorre rivelare un segreto. Il professor Pnin aveva sbagliato treno": niente américana efficienza, quindi, niente ordine perfetto, anzi fa già capolino quel filo di pazzia così russa, e quella incapacità di adeguarsi alle regole, di prendere il treno giusto e partire per, la destinazione giusta, che fanno di Pnin un viaggiator.e solitario, candido e meravigliato, in una America animata da extraterrestri, in– tellettuali impegnati a discutére di EDS "Evo– luzione del Senso", che "è, in un certo senso, l'evoluzione del nonsenso". Russo approdato in Europa e poi sbarcato in America, Pnin è stato pure abbandonato dalla moglie, russa anche lei, ma volitiva, organizza– ta e pratica come un'americana. Lei gli dice, mentre lui, pasticciando, la aiuta ad.infilarsi la pelliccia : "Tra parentesi (...) sai, Timofej, que– sto tuo vestito marrone è uno sbaglio: un gen– tleman non porta il marrone". E qui Pnin diventa sempre più russo, mi sem– bra, in questa idea che l'uomo possiede un'ani– ma salda·, la donna invece è elastica, sa adat– tarsi al vuoto, sa dirti quando ti devi mettere un vestito marrone e quando uno blu, e quindi può anche diventare in fretta americana, cioè sventata e leggera più di una farfalla. Su questa America Nabokov è feroce: il suo professore insegna russo a 5 studenti, di cui una, Eileen Lane, pare una piccola America in carne ed ossa, tanto lui riesce a infonderle di ironica malignità nei confronti di questa non– patria dominata da assenza di cultura, igno– ranza, falsi miti e falsi valori: " ...e la languida Eileen Lane, alla quale qualcuno aveva detto che, una volta padroneggiato l'alfabeto russo, si poteva leggere in pratica "Anna Karama– zov" nel testo originale.". Povera, languida Eileen Lane, che pensa che la lingua russa sia solo un inglese scritto in alfa– beto cirillico e che Tolstoj e Dostoevskij possa– no leggersi in una volta sola. Il professor Pnin appartiene certo alla vecchia emigrazione, di russi ancora profondamente I

RkJQdWJsaXNoZXIy