Fine secolo - 16 marzo 1985

~- • • • r• • •••• ••• ••••• • • • •• • •• •••••• •••••••••••••••••• •• • •••• •• •• • ••: •• • ••••• I Le fotografiesono di RobertoKoch, dell'agenziaContrasto. "europei" e non sovietici, candidi e profondi, svagati e arruffoni: un "diverso" né aggressivo ~é violento, dunque, ma non per questo meno· graffiante e ironico. A lui spetta tra l'altro il merito di aver messo di fronte, allo specchio, in modo non ideologico, America e Unione Sovietica, e di aver visto balenare qua e là peri– colose somiglianze, profili stranamente coinci– denti: "Non è altro che un specie di microco– smo del comunismo ... tutta questa psichiatria - borbottò Pnin rispondendo a Chateau. - Perché non lasciare agli individui le loro soffe– renze private? La sofferenza non è forse, vien fatto di domandarsi, la sola cosa al mondo che la gente possegga davvero?-" Una campagna per il diritto al dolore, la sua, contro una società come quella sovietica, che organizza felicità di massa, proibito quindi di– chiararsi infelici, ma anche contro l'America, modello più duttile di paese della felicità ad qgni costo, con sedute dallo psicanalista più frequenti che dal par.rucchiere, capelli in pace con se stessi, anime ben pettinate. Il poeta russo preferisce i grandi negri E' il titolo di un romanzo, scritto nel 1980, uscito ora in Italia (ed. Frassinelli) di Edward Limonov, poeta,rqsso emigrato a New York; i , • grandi negtj nel titolo perché J un negro l'uni- • co a offr-ireamore a Edward. . Se qualcuno· ha· davvero voglia di éapir_ecos'è l'çmigraziqp.e oggi, nella sua faccia ~eno intel– }e~t~~le,n;\~n?r~ff!~ata, men~·~~~itataJ allor~ . ·ed caso che affronti. questo Ect'w~rd,all'amen· '\ana, Eç.'ièka'pe'r'i russi, uno .çh~;~·sbarcatoin -------------, America,' dévè·-aver fàtto indigestfoìie-di Buko– wski e di Miller, per poi riversare nel suo libro tutto quel sesso che le autorità sovietiche, ca– stità e riserbo innanzi tutto, gli avevano impe– dito perfino di immaginare. Edicka dunque presenta provocatoriamente se stesso, quello di prima, in Russia: "Bè, ero poeta, sì, poeta, visto che ci tenete a saperlo, non un poeta ufficiale, ma poeta clandestino, ma adesso è finita"; e poi ci fa fare la cono– scenza con il nuovo Edward, l'americano: "or– mai sono dei vostri, un poveraccio (.,.) quello che vi disprezza comunque. Non proprio tutti, ma la maggioranza. Perché la vostra vita è una noia, vi vendete come schiavi, indossate panta– loni volgarissimi a scacchettoni e fate soldi senza avere mai visto la luce. Che schifo!" Lui non è un professor Pnin, non ha la serenità e il sostegno della sua cultura, e non è neppure un ebreo russo, che negli Stati Uniti può trova– re l'appoggio di una solida comunità. Lui è ap– prodato in America, convinto come tanti russi che la libertà. in occidente sia a portata di mano, allunghi un braccio e ne prendi quanta te ne serve. E ha scoperto l'amara, elementare verità di una vita difficile dappertutto, anche nel paese "più strano del paradiso". Ci sono stati, tra l'altro, in questi ultimi mesi due film americani che sono storie di emigrati, Stranger than paradise appunto e Mosca a New York, parziali per ragioni opposte. Il primo che pretende che qua o là è lo stesso, lo stesso . vuoto assurdo; il secondo a ricordarci: signori, l'America è pur sempre un gran bel paese, si canta, si ~pende e si ama in libertà. · ' Non è lo stesso l'Occidente e l'Unione Sovieti– ca. Ma per andarsene da lì bisogna essere pre– parati, avvertiti dei rischi e dei trabocchetti che un mondo così complicato nasconde per gente come i russi, abituati invece a una realtà relati– vamente semplicè: un unico potere, nessuna possibilità di scelta, stessi prezzi in cambio di una stessa assenza di merci, stessa tranquilla mediocrità, se ti adegui. Edicka Limonov ha un torto e un merito: il torto di incolpare l'America perché lui non ha · amore a sufficienza, perché la moglie lo ha ab– bandonato, perché anche a New York gli toc– ca. condurre l'eterna lotta per non essere solo. Si è più disposti a tollerare la mancanza di FINE'SEéOLO itr'SA:BAìO 16 MARZO- amore nella propria patria, e in un altro paese invece si preferisce addossare i propri mali al paese stesso che ti ospita, scaricarsene, trovare qualcuno da odiare e da disprezzare. Ma ha il merito di aver messo il dito sulla piaga più profonda dell'emigrazione, il fatto che emigra– re, anche da un paese opprimente, vuol dire pur sempre perdere la propria identità, .la soli– darietà possibile della. miseria, il fatto che a . Mosca, se sei un poeta che vivè ai margini, hai pur sempre una cerchia di gente~cheti ammira, ti stima, ti coccola; in America invece non sei più nessuno: " ...Qui io parto perdente, perché sono uno scrittore russo che scrive in russo, e il fatto è che mi ero abituato alla mia gloria clan– destina, alla attenzione di Mosca clandestina, della Russia creatrice dove un poeta (non un poeta newyorkese ma un poeta della Russia dove da secoli è un onore essere poeti) è in un certo senso una sorta· di capo spirituale, e dove, per esempio, conoscere Ùn poeta è consi– derato un grande privilegio". "Noi non saopiamo e$sere leggeri." "L "Europa ci distrugge, noi vi ci accalor~a,r,o,·.e ,rrendiamo tutto sutser.10 .. ,. Il meglio_ e it'pèggio dell'_Qéci4ente della Rus– sia si potrebbero condensare in queste due fra– si di .sklpjskij,, ,i! fll:~~sim_d : ella_si1;1tesi. per il massimo aefl!i·confusione sotto Il cielo. Facciamb~n §alto ìnd1etro, anni '20, due!russi in Euro~a: 6 c~- lì descrive Sklovskij: <<Quando Roman· s~ n'trandò a Pragai fece venire da'.luj B?gatyr(f _-:B~~~~~rev· ~rri~ò, p~ntaloni, ~orti, scarpe nor( ailacciat~,.nella..vahgi~ solo mapo– scritti e carlè strappate, tutto così in disordine, che non si;'poteva dire' dove fossero i sàggi e dove i pantaloni. Bogatyrev comprava lo zuc– chero, lo teneva nelle tasche e lo mangiava, in una parola, si sforzava di mantenere il modo di vita russo. Ma Roman, con le sue gambe sottili, la testa fulva e occhiazzurra, amava l'Europa. Roman condusse Bogatyrev al risto– rante: Petr sedeva fra pareti non graffiate, fra cibi diversi, vini, donne. Pianse". Uh russo che emigra si sente spesso così, una specie di Bogatyrev: partito da un paese grigio e investito improvvisamente da un mare di-co– lori, inelegante in un 'mondo di eJegàntoni, tri– ste e serio tra gente che se la ride di tutto, scon– troso e schivo a confronto con persone che sanno rovesciare senza pudori la propria vita come un guanto. Si può schierarsi dalla parte della frivolezza, ma è anche una questione di dosi: piccole pillole di frivolezza da ingerire con massicce dosi di riflessività. Si sta male,ed è diffici– le dirlo perché pure da noi suona troppo ro– mantico, di fronte a questo Bogatyrev che · "pianse" o di fronte a un uomo cli più di cin– quant'anni come il professor Pnin che, davanti a una lavatrice, è indifeso e innamorato come un bambino di due anni; un uomo che viene da un mondo dove ti tutelano, ti proteggono, ti difendono, facendoti restare però .eternamente bambino, senza difese tue, senza conoscenze; senza responsabilità. Un russo e la lavatrice, potrebbe essere suffi– ciente per capire cosa vuol dire sbarcare dalla Russia in Occidente oggi, nudi e crudi come neonati: "V'era una tresca appassionata tra lui e la la– vatrice di Joan. Sebbene gli fosse stato vietato di avvicinarla, veniva sorpreso a violare ripetu– tamente il divieto. Gettando alle ortiche ogni decoro e ogni precauzione, metteva nella lava~ trice tutto ciò che avesse a portata di mano, il suo fazzoletto, le salviette da cucina, un mu.c– chio di mutande e camicie portate giù di na– scosto dalla sua stanza, sol~anto per il piacere di guardare attraverso l'ol:>lòquello che sem– brava un capriolare senza·fine di delfini con le vertigini".

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