Fine secolo - 16 marzo 1985

FINE SECOLO* SABATO 16 MARZO 26 SULL'AMMANETTAMENTO - -TEMPESTIVO DEI MORENTI Come é potuta avvenire la sequenza di Trieste, dal fuoco di fila contro _uninerme all'amma– nettamento del moribondo che· invocava aiu– to? Si sono ascoltate alcune risposte. Una 'ri– solve per definizione il problema, proclamando che la polizia é assassina. E' una risposta inconfutabile, come ogni proiezione psicologica. Chi se ne contenti, può immagi~a– re, se non una riparazione, almeno una reazio– ne: un ammazzamtmto uguale e contrario, per cscmp10. Una più diffusa risposta ha insistito sulla "ca– renza cli professionalità" delle forze dell'ordi– ne. E' una opinione al passo con tempi più at– tenti all'adeguatezza dei mezzi che alla disputa sui fini. Mentre alla prima risposta non si può credere, e se ne é perduta la voglia, alla secon– da si crederebbe volentieri, come a ciò che tra– duce in un circoscritto problema tecnico una oscura e mortificante tragedia. Però c'é, nel "fatto dell'autonomo a Trieste", più che un di– letto. un di più di professionalità, un eccesso di /Clo culminato in quell'ammanettamento al suolo. che evoca piuttosto un meticoloso rego– Jamcnto sull'immobilizzamento dell'avversario in una lotta sportiva che non la normativa dei casi di arresto per ragioni di sicurezza pubbli– ca. No, la sequenza di Trieste non denuncia un'inadeguatezza professionale: non ha niente da invidiare, in questo senso, a certi fulminei sceneggiati çlel tardo pomeriggio. Dunque, la risposta andrà cercata anche altrove. Gli indizi di cui dispone il lettore di giornali sono. inevitabilmente, linguistici. Essi tradisco– no gli avvenimenti, e se ne allontanano, alla di– stanza incolmabile con cui é giusto che le paro– le tornino a essere separate dai fatti. Non possono rimediare al fatto, ma neanche spie– garlo: possono parlare delle circostanze, del contesto. Le parole dette prima, le parole dette poi, sono il canovaccio necessario per girare e proiettare quella sequenza. Con le parole, intanto, si può scherzare: purché si tenga quella distanza. Si può dire, per esempio, che "il terrorismo non é morto del tutto". A condizione di non far scattare le manette regolamentari. intorno ai polsi di un uomo che sta, lui sì, morendo del tutto. Si può dire che il terrorismo ha sette vite, finché non si piantano sette colpi- più uno finale, che chiameremo di grazia- addosso a un· "perso- di Adriano ·soFRI . . naggio minore". Sette fori di uscita dagli anni di 'piombo. ' ..... .,,.. ~- . ·- -· - - _., ·---- .. Dopo che la sequenza é stata girata, come in tutti gli-incidenti stradali, e le azioni da gol, ar– riva qualcuno e congiunge con una matita, o un gessetto, i punti di una catastrofe impr:,eve– dibile fino a poco prima, e ora geometricamen– te inevitabile. Ciò che é assurdo, e magari grot– tesco -un gesto con un ombrello seguito dai primi. spari nell'androne, cui seguono i nuovi spari sulla strada- si compone in una traietto– ria lineare evidente e rigorosa: A-B, B-C, C-D, fino 'al punto in cui l'azione si ferma, e il dise– gno torna a deformarsi nell'irregolarità di. un contorno umano fuori posto. .,.. Il magistrato Calogero non ha inventato nien– te. Altri, prima di lui, furono attratti dalla· "geometrica potenza" di un accidente stradale. Non so nemmeno se sia stato lui a concepìre come un "t<"orema" la consequenzialità ferrea delle sue deduzioni. Con una analoga geome– tria, la vita di Pietro Greco può essere ricavata congiungendo con semplici tratti di penna po– chi punti successivi: la Calabria con Padova, Padova con la Francia, la Francia con Trieste, via Giulia 39, dove l'«autonomo» aveva un ap-. puntamento inevitabile. In uno dei puntini di questo percorso obbligato sta anche, non invi– diabilmente, la solerzia del magistrato Caloge– ro. Il resto é dettaglio casuale, ininfluente per le ri– levazioni, cui si applica senz'altro la normativa prevista per gli altri incidenti stradali. (Nel·dettaglio sta, fuori dalla contesa sµlle col– pe, il senso unico della cosa. Per esempio, la strana assenza di vanità -o forse non aveva al- tra possibilità?- per cui nella carta d'identità falsificata Pietro Greco risultava più vecchio di tre anni. E soprattutto quella lamentela di per– sona ferita e braccata, detta in dialetto veneto, "Aiuto, mi vogliono accoppare". E infine, le ultime parole pronunciate, a quanto pare, in ospedale: "Io non c'entro, sono innocente"– dunque, ecco forse un segno di cattiva profes– sionalità degli accoppanti: non gli hanno la– sciato il tempo di pentirsi). Geometriche anche le parole che vengono dopo -la geometria piana é una scienza dell'a– nestesia, in fondo: il suo tracciato di linee ri– scatta la sofferenza e la vergogna. Dichiarazio– ne di un funzionario di polizia: "Se c'era un covo, devono essercene molti altri". Natural– mente, la deduzione non é necessaria, e lo stes– so covo della premessa era una deludente casa di abitaziòne. Tuttavia la moltiplicazione delle sequenze é un regalo prezioso ai titolisti in im– barazzo. Intitola un giornale milanese -non il Corriere, che é stato decisamente onesto- in pagina molto interna: "Setacciato il gjro degli ultrà per far luce sulle protezioni dell'autono– mo ucciso a Trieste". Dunque la notizia é che l'ucciso ha avuto delle_ protezioni -inefficaci, fi– nalmente. Un sindacalista di polizia trova che c'é stata "una certa propensione all'uso delle armi": e se ci fosse stata senz'altro una pro– pensione7 "L'ha tradito un ombrello", intitola un ulteriore quotidiano- colpa della pioggia, I fotogrammisono tratti da «A boot de souffle» (All'ultimo respiro),di Jean-Luc Godard, 1959, con Jean Seberg e Jean Pani Belmondo. insomma. Molti giornali sono stati più "cauti" del ministro Scalfaro, che, in assenza di inizia– tive giudiziarie (ma non c'é stato, in quel tiro incrociato contro un inerme in fuga, un qual– che eccesso colposo di legittima difesa, per così dire?) ha sospeso dal servizio i protagonisti del fatto e il loro capo. Il loro capo ha stilato, a ragionevole distanza dai fatti, un comunicato. A quell'ora, non po– teva avere dubbio alcuno circa l'identità del– l'ammazzato, che per giunta aveva ben tre :nomi propri e un nomignolo, Pietro Maria Walter Greco, detto Pedro. Il comunicato lo menziona ripetutamente e soltanto come "l'in– dividuo": forse per abitudine professionale, forse perché può apparire più naturale che si spari addosso a un individuo, piuttosto che a uno con nome e cognome. "L'individuo che portava un oggetto poi risultato un ombrello compiva gesti tali da intuire /sic/ che volesse reagire con armi", e dunque gli agenti "apriva– no il fuoco nella certezza di trovarsi nella pre– visione giuridica dell'uso legittimo delle armi". Ah, l'attesa e alfine giunta previsione giuridi– ca! Poi c'é la "sparatoria", e i Suoi sette colpi. Dopo, "l'individuo di corsa usciva dallo stabi– le immettendosi nella strada": dunque, già feri– to, l'individuo esce di corsa -invece che, non so, con passo lento e svagato- e "si immette", appunto, come in un diritto di precedenza vio– lato. Inevitabile, qui, che venga "attinto" dal– l'agente_appostato sulla strada -"attingere", -é il verbo usato ripetutamente nel comunicato. Violenza chiama sciaguratamente violenza; stolidi~à di lingua chiama stolidità di lingua. Nel disagio con cui questo piccolo fatto di cro– naca.é stato maneggiato, si sarebbe potuto ve– dere, pochi anni fa, quando più fervida era la catena di ammazzamenti ed efferatezze private e pubbliche, il timore di quel corto circuito fra parole e fatti che coinvolgeva chiunque nella catena. Oggi é più difficile che si tratti di que– sto. A tempi nuovi dovrebbe appartenere an– che una normale possibilità di chiamare le cose col loro nome. Non che, così facendo, ci si avvicini molto di più alla spiegazione dei fatti. Il fatto di Trieste resta, alla fine, ottusamente irriducibile a una "spiegazione". Si può tuttavia muoversi un po' più a lungo, con rispetto, nei suoi dintorni, pri– ma di tornare alle nostre nuove occupazioni.,

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