Fine secolo - 16 marzo 1985

Rebibbia, 26 febbraio 1985. Un momento dell'Antigone inscenata dai detenuti (seduti in prima fila si riconoscono il presidente del Senato, Cossigai,.il ministro della Giustizia, Martinazzoli, e rietro Ingrao ) . Foto di Tano D'Amico. voca). Creonte ha in odio - pro{ondo, sin– cero odio, per nulla «strumentale» o mero instrwnentum regni - l'amore di Antigone «per i morti», il suo legame agli dèi del sangue, il suo invincibile appartenere alla ·memoria, al passato. ·«Logicamente» egli vede in quell'amore e in questa apparte– nenza un sottrarsi per principio ai nomoi della polis, cioè: allo stato della polis, che può valere soltanto per la sua attuale, co– gente effettualità. Al nomos del presente, e del presente che Sefi?'.a sosta si «infutu– ra», di Creonte,· si oppone quello della memoria, del sempre intramontabile della memoria di Antigone. .,., .Antigone lo dice allo soreHa: appartiene da tempo ai mor:ti (vv. 5-59-560) - ma non si era già detto nelle Coefore che i morti · uccidono i vivi (v.886)? E, allora, Creonte, nel suo appello alla scrittura, ai «caldero– ni incisi» della legge (com~ dicevano con sprezzo i saggi 'confuciani), non tenta an– che di difendere la vita dalla morte, la luce del giorno della polis a tutti comune, come a tutti comune è il logos, dall'oscurità del– la donna, del principio materno? (Creonte lo afferma esplicitamente: non punire An– tigone equivarrebbe a sottometterè la città al dominio delle donne). Creonte soffre tragicamente la sua deci– sione, il suo «dran», così come lo soffre Antigone. Antigone sa di compiere un mi– sfatto di fronte alla polis:fa «osia», cose giuste, ma questo stesso gesto è lacerazion– ze del nomos della città. Créonte sa che il suo nomos è ormai fuori di Dike, che le sue leggi nulla manifestano di «origina– rio», ma proprio nella loro «artificiale>> convenzionalità deve tenerle ferme, come se potessero durare in eterno. Antigone stessa parla di «dysbolia» per il suo atto·, lo considera contrario a un retto consi– glio. Creonte rièonosce che il proprio nò– mos è «deinon», terribile, nei confronti del gesto di Antigone. Dissoi, indistricabil– mente doppi, sono i segni degli uomini. E così quelli degli dèi. Solo Ananke, Neces– sità, è diritta e in.flessibile. creonte non pana oa uranno, tutto i-op– posto. Se si creassero varchi nella solida struttura-muraglia della legge della città, regnerebbe ovunque l'anarchia (il Coro· ammette la forza di queste ragioni). Lad– dove non domina l'astratta violenza del– l'uguaglianza formale della legge scritta, tutto è affidato alla contingenza delle sin– go_ledecisioni - di questo giudice, di que- . sto re, di questo sacerdote. Esse possono corrispondere all' «originario», così come possono precipitare nell'assoluto •arbitrio. Grande, di serietà tragica paragonabile a quella del dibattimento delle Eumenidi, è il discorso, il logos, di Creonte contro l'a– narchia. Egli non si batte per la tirannnide (cui, semmai, portano le estreme conse– guenze, l'intrinseca struttura dell'atto di Antigone), ma per la Peitharchia, perché Peitho, la Persuasione, governi: perché go– verni la difficile arte di comunicare e con– vincere comunicando, di conciliare i con– flitti attraverso la parola, di immaginare la scena politica simile a un grande, ine– sauribile dibatdmento giuridico, ad una retorica rigorosamente formalizzata. Ecco FINE SECOLO* SABATO 16 MARZO Creonte «nascere» da quella stessa mente di Zeus Agoraios, che aveva dato i natali_· ad Athena protettrice di Oreste! Ecco Creonte invocare la nuova· dea, Peitho, come le Supplici avevano fatto, profughe figlie di Pelasgo, di fronte all'-incalzare violento dei maschi egizi (piuttosto scom– parire che soggiacere al maschio!). Un im– pegno immenso, una responsabilità atroce è, allora, giudicare (cioé decidere e,decide– re operando), allorché ci si sollevi alla teo– ria tragica degli-eventi e non ci si accon– tenti di galleggiare nella chiacchiera del già-detto e del quotidiano. Come sarebbe «semplice» se Antigone non rappresentas– se che una <<giusta ribellione» e se il suo gesto manifestasse definiti «progetti» in merito al futuro, possibile governo della polis! Come sarebbe «semplice» deciderci, se Creonte non fosse che il tiranno concul– cante ogni «diritto»! Come sarebbe «sem– plice» scegliere-giudicare se l'esistenzd non conoscesse istanti tragici e dissoi lo– goi! Ma questi istanti si danno, ora, da riflette– re, da pensare - -non altri. Perciò Antigone. Quale memoria è per noi un sempre-stato che ci chiama senza sosta ad essere liberi dal nomos della·µolis? E come farla valere nella polis? Quale Peitharchia è possibile instaurare in quest'ultima, diversa da quella che con lacerante disincanto Creonte manifesta radicalmente opposta agli «osia» di Antigone? E ancora: è im– maginabile una polis nella quale non per– manga il «deinon» delle stesse Erinni? Athena aveva ancora una volta pronun– ciata la parola, rivolgendosi alle infuriate figlie della Notte: non temete, continuere– te ad abitare in questa città a me consa– crata, poiché mai del tutto il «deinon», il trèmendo:.. si badi: quello stesso «tremen– do» che abbatte sui figli le colpe dei padri (v.933) - potrà essere gettato fuori dalla polis (v.698). Come dire: dietro la benda della legge «razionale», scritta, formaliz– zata, non può non nascondersi sempre la furente vendetta. Dissos logos _quant'altri mai: Pallade insieme alle Erinni; la parola della figlia di Zeus ha, sì, «incantato» l'o– riginaria vendetta, ma soltanto al prezzo di trovare per essa un «canto>>sacro ac– canto a sé, per sempre: dall'agorà dei commerci e della retorica, all' Aeropago dei giudizi e delle· condanne, su su fino alla perfetta misura, al Numero luminoso del Partenone. É scioglibile il nodo di' questo «simbolo» tremendo? Ma ben prima: come si dà esso a pensare in quest'epoca? Quale l'«origi– nario» nostro e la nostra Peitho, e i loro conflitti? E se la benda della nostra giusti– zia fosse già a pezzi per sempre, come di– fendersi dalla vendetta? Quale Creonte in– vocare? L'atto di Antigone è puramente a– topos nella polis, senza alcun possibile luogo, estraneo e folle aello spazio «a tutti uguale» della città - oppure manifesta una ou-topia, un T_age-traum, un sogno diur– no, \in sogno in qualche modo dicibile e mostrabile,che può resistere e custodirsi in quello spazio, che può anche vivere, e non solo appartenere ai tempo dei morti, al tempo che uccide i vivi? Perciò Antigone. 25

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