Fine secolo - 16 marzo 1985

FINE SECOLO* SABATO 16 MARZO 24 . ~ M•~~~h,.,~ ~:~r,,~t~{lf1111t~11~i1~it~~i~1~1rrr1~riiw!~~tltt~ta~j1i,.~?;~--~:~~-: ~= . . ·✓ La serieià tragica di quei momenti in cui un diritto tramonta e il nuovo si manifesta solo per segni, indizi, deboli. tracce. La responsabilità' atroce del giudicare e la lacerante situazione che obbli!(a a decidere.. O!(nitempo può essere quello in cui siamo chiamati a «partire» dal– le vecchie norme e dai vecchi modelli: così è stato per la nostra ge– nerazione e per il _nostropaese negli ultimi vent'anni. Sta per uscire il primo numero di una nuova. rirjsta, « Antigone», diretta da. Rossana Rossanda e Luigi M anconi. « Bimestrale di critica dell'emergenza», così si definisce, aggiungendo l'impegnativo slogan «per li– herarsi dalla necessità del carcere e delle istitu:::ioni totali». Dal primo numero ospitiamo volentieri un tc>stodi Massimo Cacciari che presenta il programma possibile di un ritorno di Anti– gone. É tragica, nell'assenza, la situazion_e che obbliga a decidere, che divide, lacera, spezza, nella quale: «dysmacha d'esti kri– nai» (Eschilo, Agamennone, v.1561), «una lotta tremenda è giudicare». Per quanto· l'uomo si ostini a rinviare o a non ricono– scere questi momenti decisivi, essi alla fine - sempre lo raggiungono e colpiscono. Essi rapprésentano il tempo degli dèi, il tempo di Apollo: «Apollon, Apollon, apollon emos» grida Cassandra (e Oreste lo ripete nelle Coefore,,..v.1057), «Apollo, Apollo, o tu sei davvero colui che mi distrugge». Le parole degli uomionì, tutti i ·loro• logoi, sono «dissoi», «doppi», non si dà perma– nenza in loro, e «loxios», doppio ed eni– gmatico; ~ -anche il dio, l'Apollo tragico; perciò ogni loro· prodotto è destinato _a morte, ogni loro «stato» è soltanto appa– rente: come è nato dal nulla, nel nulla · dovrà finire. Ma tragico 'è· quell'istante in . cui il vecchio logos raggiunge il punto estremo del suo tramoonto e si annuncia da lontano l'aurora del nuovo, che sarà doppio, enigmatico, inquieto e insedabile come il precedente. Anzi: tragica è la si- . tuazione in cui più nulla effettivamente può la vecchia Legge, ma ancora debole, «athetos», non fondato, appare il nuovo dio (così è chiamato Zeus dal Prometeo eschileo). Serietà tragica hanno perciò, in di'~erse forme, sempre quei momenti in cui uh Di– ritto ti:amonta e'il nuovo non si dà ad in– tendere che per segni, indizi, deboli tracce. Questi momenti tendono sempre ad assu~ mere la lacerante violènza, il «deinon», il «tremendo», del tempo degli dèi. E di fronte ad essi l'uomo è strappato ad ogni «domestica» quiete; per quanto riluttante, «amletico», è chiamto a decidere, a fare - nel senso eminentemente tragico del «dran». Di fronte al seno nudo della ma– dre, è Oreste che lo evoca (v.899); un «dran» è anche quello di Antigone, la sua suprema décisione di seppellire il fratello: «kai phemi drasai»: st lo dico, lo affermo, così io ho fatto, ho deciso (v.443). Trage– dia è il periculosum per eccellenza, l'istante del massimo arrischio, sospeso tra due mondi, tra i quali l'uomo deve decidersi e decidendosi soffrire, lacerarsi. É vero - pullula in ogni epoca la chiac– chiera di chi ha idolatrica fede nell'onni– potenza del compromesso e della media– zione, ma la freccia di Apollo ssopraggiunge da lontano e la lotta tra i «nomoi»,. tra le Leggi, diventa, allora, ne– cessaria. Questi «nomoi» cambiano pomi ed aspetto, certamente, le scene della l0ro tremenda lotta si trasformano, ma sem– pre, laddove essa si ricrea, emergono di– mensioni tragiche, che è necessario riflet::– tere come tali, con responsabilità e con forza, sottraendole al monopolio della volgarità e del quotidiano commercium delle forme· e delle idee. Così può e deve avvenire, crediamo, anche del nostro tem– po. Poiché ogni tempo può essere quello «tremendo» in cui siamo chiamati al «dran» - in ogni tempo, dobbiamo esser pronti a «partire» dai vecchi «nòmoi» e dai vecchi ·«logoi». Non sappiamo quando giungerà, ma dobbiamo restar pronti al suo possibile irrompere. E ritengo che un «passaggio» del genere sia stato quello che una generazione ed un Paese (i nostri) · hanno attraversato, negli ultimi vent'anni: ina non erano~«pronti» e non hanno deci– so. di MassimoCACCIAR! Questo fallimento non deve; però, far di– menticare che la dimensione· del «passag– gio» era e rimane tragica, e ad éssa occor- . re perciò rivolgersi con l'attenzione, la serietà, la pietqs che ha sempre imposto. - - Perciò Antigone. Non tanto- per i contenu- ti specifici del suo .«dran». Ella sembra stare, infatti, dalla parte della cosmica Dike - in qualche modo, dalla parte di Clitennestra e delle Erinui - in qualche modo, ella ancora difende il Diritto delle Madri, che Apollo aveva spezzato nel suo tremendo discorso in difesa di Oreste sul- 1' Aeropago di Atene: la Madre nulla può, poiché è «ospite» soltanto del seme (e Athena stessa è la figlia di questo nuovo Evo dei Padri, poiché è nata dalla pura potenza del Logos, da Zeus Agoraios, dal- lo Zeus che sta nell'agorà!). · La madre non è madre per gli Olimpi, per la nuova Legge che essi stabiliscono. Ma il ,gesto, il <<dran»,di Antigone è ben lungi dal limitarsi a difendere l'arcaico dominio · di Dike. Ella non è madre; come Oreste, ella difende l'inviolabile priorità del-lega– me diretto di sangue. Invoca, _sì,Dike - ma questa parola allude, in lei, a un No– mos profondamente diverso da quello del Coro delle Erinni. <<Parariomon», fuori . .legge, bandito, chiamano le Erinni Apol– lo, poiché protegge l'assassino Oreste. Ma . Oreste, spiega Apollo. è assassino solo per ,' la vecchia e tramontata Dike: egli dove.va vendicare il padre, per affermare il nuovo diritto che regna nella famiglia e dalla fa– miglia nella polis. Antigone, allora, deve seppellire H fràtello, proprio richiamando– si al nuovo diritto stabilito neì inemorabi– le dibattimento sull' Aeropago. Che ne sarà di. una polis che infrange il /ogos-no- nws pronunciato da Apollo e «sistemato» da Athena? Più che dalla parte di Dike, Antigone sembra difendere ·una conçezio– ne «natu.rale» del diritto (ma ciò che noi riteniamo essere «naturale», a questo pro– posito, altro non è che quanto deciso «quel .giorno» sull'Aeropago, così come ancora poderosamente risuona nel mythos di Eschilo). Di fronte a questo diritto emerge, ora, una. nuova, inquietante figura. Questa fi– gura esprime tragicamente come la comu– nità politica non possa neppure lontana– mente essere pensata sulla base del semplice fondamento del «diritto natura– le». Coh inflessibile statolatria, Creonte afferma la «logica» necessità del valore as- soluto della polis, delle sue leggi, istituite, determinate, nient'affatto originarie, scrit– te (a differenza di quelle che Antigone in- •,,;

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