La Difesa delle Lavoratrici - anno IV - n. 5 - 7 marzo 1915

ROSETTfl " Ti · ricordi di Rosetta ? mi disse la mia amica. • Un POCO,risp osi. La domanda dell 'ami – ca mi rievocava una donna conosciuta qualc_he anno prima , una delle cosidett~ donnine all egre, fors e perchè nella vita hann o il compi to di pro curar e agli altri fu– gac i attimi di piacere, di ridere e di scher– zare, di portar e eternam ente la masc hera della gio ia, anc he quando l'anima si rip ie– ga su sè stessa, e pensa, e soffr e e rim• _pian ge. La mia ami ca mi disse : • Si è suicid ala stanotte; l'ho vista por– tare all' ospeda le, con un viso spauril o e morent e, di povera cr eatu ra abband onata. " Ma per ché s'è suicidala ? ((Chi lo sa? m i disse l'a mìca. È torn ata tardi, come al solito. e nessuno l'ha vista ri entrar e, e i suoi vicini di casa non ha nn o sentito nè un passo, nè il più lieve rumore. null a ch'e tradi sse i l proposito dispera lo del– l'infelic e. Vers o matt ina il por tinai o ha sen– lito un gemito , ha trovalo la porta aperta , è entrato ; la donna era sul letto morent e. " Fors e, dissi io, ha ,·oluto mo rire per la stan chezza e l'avvilimento della vita che conduceva . Non tulle le donne che si mel · liono su quella Yia, riescono a soffocar e il senso della dignit à, a crearsi , interiormen – te, quello stato d'a llegria, di leggerezza, d i incos cienza, tr oppo spesso di sfrontatezza che ostentan o. Ind ub biame nte anche la lo– ro vita ha dei dolori. Ma noi non li e-0no– sciamo e consi deri amo tu tte queste poveret– te cadut e, con lo stesso senso di disi stim a superfici ale. Se riuscissimo a penet rar e nel– le loro ani me qua nte volte troveremm o il dramma ! Parlando, la figura di Rosetta mi si affac– ciava più ch iar amente, si presenta-vano nella mia mem oria tanti part icolari : la sua an datura un po' lenta , i capelli mollo chia– ri , gli occhi miop i, dolci. Guard an dola uscire si sar ebbe detto che era una buona ragazza , che vesti\·a in un modo un po' ec– centrico , che accentu ava col carminio il ros– so delle labbra e, col neretto , ,il livi do de– gli occhi . E veniva quasi voglia di dirl e : « Se non ti conciassi così , avresti l'esp res– sione carina d'una stu dentessa un po' sca– piglia la, molto lieta, e che ama più il riso che lo studio •. Del resto era una casigliana , tranq uilla. prud ente , timida . Parla va poco perchè te– meva una risposta ostile . e slava alla fine– stra or e ed ore a guar da re i bambini che grid avano. Domandai ancora : • Non ha detto a nessuno il motivo del su o suicid io, non ha lasciato una lett era , nulla ? • Nulla . Qua nd o il portinaio l'ha trovala non parlava più , si guardava att orno , sola – mente , come una besti a inseguita e spau– rita. Non era catt iva, povera creatu ra! Da– va con facilità quel poco che aveva, e pas– sav a giornate nella più grande strette zza . ~on era un a di quelle don nine che fan– no fortu na. Ci sono anche, fra d i loro, quel– le che ha nno poca fortu na ; fors e perchè. po verelle, hanno sbaglialo strada. E quan– do son mort e chi le rimpiange ? Chi se ne accorge? Qualche ,·olla è come se scom pa– risse un pi ccolo uccello , con fuso nella mol– ii ludine dei suoi fraleJli. Sono povere crea- tu re che ness uno ama profon damente e sinceram ente. Guar davamo io e la mia amica la fine– st ra chiusa della came ra di Rosetta e guai– che vas o di fiori sul davan zale , che il sole illuminava , pigram ente. E ci prend eva quel senso di tristezza e d i sgomento, che lascia- APPENDICE 3'; Pagin e di vita Mio marito mi dice un mondo di benP ~i voi dissi, ed io sa rò lieta se i miei bambi– ni ' tr overanno in voi' più che una custode, un'amica. ~1a io non posso consegnarli che al loro padre : ho molte coc:e a dirgli in riguar– do alle loro abitudini, alla loro salute . Non posso lasciarli cosi sui due piedi: vo' vederP se si abituano, ~e soffro no della ~i~ as:e ~za, se pot ranno star bf".'ne: ho alcu ni giorni libe– ri e conto passarli presso di l~ro per ved~re come c:j 13;datta no al nuovo ambiente e parhr P trfa~~!a ne donna rimase imbarazzatissima ; il suo contPgno na cosi st~ano ch'io. no!l sa– pevo comprenderf questo mistero. I b1mb1 era– no stanchi del viaggio; chiamai una carrozz: 1 e, visto che la d?nna dicev~ non sapere ove abitasse mio marito, o rnegli~ '!10.nvoler c?n– du.rrni da lui, non avere ordrn1 m proposito , m i feci condurre da mio fratello. Mia _cognata mi venne incontro festosa. eon bre vi pa role la misi al corre nte di ciò .che accad.eva. Inter– ogò essa JJUre la sconosciuta, ma 11 suo con- [egno er a sempre più inesplic'.1bile. Sembra'? · conv u lsa. Jnfine :i pers ,~ase .d1 f!ortare un ~1- r etto a mio mar1to, ov 10 gh chiedevo ~a chta– ~e1dell'enigma. Mi rispose che non d~s!de~a v~ vedermi. che non poteva ; consegnass1 1 b1mb1 e.... buona notte ! LA DI FESA DRLLE LAV-O&A'fRICI no nell 'ani mo ,i tr isti dramm i della vita, imp enetrabi li. Perchè si era uccisa? Rosetta doveva ave– re poco più di ven t'anni e la vita poteva darle ancora soddisfazio ni e gioie e forse la riabilitazione. Pcrchè si era ucc isa ? La r isposta ce la diede il, giorn o dopo uno stelloncino di crona ca. (< Ieri notte una mond ana , conosciuta sotto il nome di Rosetta, fu ferm ala per la strad a da due guard ie che l'in vitar ono a segui rla. La donna fece qua lche rimostran – za e volle proseguite il suo cammino ; allo– ra le guard ie J"ins ulta rono e la ma lmenaro– no. F u condotta in questura , ment re un grup po di curi osi. rideva . Torn an do nella notte a casa sua, si su icidò. li corpo della sventurata era cope rto di lividure"· Rosetta dorm e in pace , e non d irà a nes– su no mai il suo avvilim ento atroce. Perch è vivere e pa rlare? forse la piet à umana si este nd e anc he alle misere che il mond o considera come creature perdut e, per cui la vita non è che piacere vendut o e la cui anima non ha più vibrazioni d i bontà, d'a– mor e, di dignit à? La nonna . del sole splend e la luna . Cara mia se la cont essa Giacinta e la marchesa ~ava non avesse ro comand alo alla propr ietari a a i questo labo ra torio gli abiti per la festa da ballo di sabato grasso, noi in q uesta setti– ma na non si facevano più d i due o tre giorn i d i lavo ro. Pensa: que i due vest iti valgono alme no L. 700 ciascu no ! 1Jllaria . Già il vitto nostro di lutto un an– no non costa tanto.. neppure come uno so– lo di qu ei lussuo si abili. Ar mid a. Vedi d unque che ragi onando vieni con me? Dunque se non ci fosse ro qu elle ri cche signore nessun a delle nost re comp agne operaie ci avrebbe pot uto dar e un 'ord inazione simi le ed allora non veni– vano in tasca a noi lavorato ri i denari che costan o qu egl i abbigliamenti . Maria. Ada gio a noi lavoratori, ti facc io osservar e che pri ma di lutt o il grosso gua– dagno è stato dell'indu stri ale che ha ven– duto i drappi di seta con cui si sono con– fezionali gli abili, poi ha gu adagnato la nost ra padr ona che ha fatto pagare per ciascuno di que i rnst ili L. 100 di man o d'o– pel'a, mentre ognu na di noi non porterà a casa alla fine della seLtiman a che 10 o i2 lire. ~~:·,,--- \\ \ \ ·., \ Ai ~ - ~ Avete f'anie? Ecco dei pani di piombo. Il lusso dei ricchi Armida. Ho da darti una bella notizia, Mar ia, questa sett imana faremo tutte e sei le giorn ale di lavoro . Maria . Pazie nza, con due giorni solo di lavoro alla settimana , si mangia dav vero tropp o di magro. Armida . Siamo in un momento terribi– le... Ch i sa come and rà a finir e! Neppur e il carn evale ha portalo un guadagno pos– sibil e. Oh Ylaria que sto è il mome nto nel quale dovresti capir e l'a ssur dità delle tue teorie socialiste I Ricordi qual che anno fa in qu esti tempi quanti abiti da ballo , da serata c'erano da fare ? Si doveva perfino star e alzale a lavorare fino a mezzanotte , all a fine del carn evale si raggran ellava u– na som metta che ci permetteva di passar e una qu aresima meno mag ra del carneval e di quest'a nno . La conclus ione? eccola: chi ci dà da mangiar e sono propr io i signori e non il tuo prol eta riato .. Guai se non ci fossero loro! adesso ne hai una prova che spero ti av rà convi nta. Ma ria. Pr oprio no. Ar mid a. Cara mia lo fai per progetto al– lora. Collo stesso sistema potresti allor a so– ste nere che adesso a mezzogiorno , invece Gli risposi ch'io non l'avre i fatto asso lut a– mente in quel modo, a costo di ritorna rmene con essi, nonostante il lungo viaggio e la mancanza dj mezzL Quella donna era tornata cogli occhi rossi di pianto. - C~e avete? le chiesi. - Ditemi, spiegatevi. - M, . sento_poco bene, signora, rispose; la prego an zi dispensa rmi dal rit orn a re questa sera. Tor nerò domattina . - Come sei ingenua! rni disse ridendo mi a cognata, quand'ella uscì. Quella donna è I'a- 1 mante di tuo marito ed è cosi terribilmente gelosa di te, che non vuol permettergli cli ve– derti. Io ero lontana le mill e mig1ia dal pensare una cosa simile e rim asi perplessa. - Non è possibile, replicai; egli mi scrive che questa Signora, era cameriera in casa d'una famiglia pat rizia di qui, fino a qualche giorno fa. - EppurP, giurerei di non aver preso abba– g1io, ripeté ~Ila. Il mattino seguente dopo molte tergiversa– zioni assurde e risibili, il mio signor conso rt e si degnò farmi sape re che ci attendeva all'a l– bergo della Pace e ci man dò la carroz za. La colazione era pronta ed egli ci fece servire ir, modo ina,,puntabile. Baciò i bimbi e par lò sempre di lorn. Egli era con rne deferentissi– mo: i ragazzi colla loro grazia spontanea ru– bavano i baci. - Mamm etta, diceva Arturo, scuseme se (IO spant o el vin; scuseme, mamet– ta cara , non lo farò più, e mi copriva di bari CimtenP la str,ria mamma , adesso. E mi veni– nrno c;ulle ~inorhia, ~ri, seri , attenti. - Be-p- Armida. Ma e le spese che hanno i pa– droni non le conti? Maria. Ti facc io osservare una cosa sola che noi che lav oriamo a giorn ata la tiria– mo sempre coi dent i mentre i propri eta ri o arr ichiscono o alm eno raggranellano qual – che risparmio per ,la vecchiaia o alla peg– gior ipotesi se ia passano molto meglio di noi. Armida, Non ti do tor lo del tutto , ma non sviamo il discorso. Ciò ti prova ancor me– glio che è appu nto il lusso dei ricchi quel– lo che ci fa guadag nare, senza di qu ello .. Maria . Senza quello ci farebbe vivere il necessario di tutti i lavoratori. Mi spiego. Se invece di quelle du e dame, che tra tutte e due spesero L. 14.00 per il loro abito , una ventina circa di nostr e com– pagne lavoratrici avessero potuto far e il vestilo di cui fors e assol utame nt e abbi so– gnano, ecco che noi avremmo potuto lavo– rare non una settimana ma tre o quattr o. E con noi quanti tessitori sarebbero stati occupati a tessere tutta la stoffa occorrent e. Noialtre poi a nostra volta avr emmo potu – to pr ovveder ci, col gu ada gno fatto , di tan– te cosucc1e necessarie e dar e così guada gno ad altri . Vedi dunqu e che non il lusso di pochi , ma Il necessario di tutti sarebbe qu ello che davvero crea il lavoro. E ti faccio osserva - pi era. co~ mosso. La signora gli lan ciava sgua rdi truci. Ell'avea già osserva to che i biro. b_i eran vestit i senza eleganza, e dic eva che lei 11 voleva vestiti di bianco, se no, non li avreb– be, c ?ndot.tì fuo~i; _che faceva n troppo chiasso, eh etano 1rrequ1et1. Io avevo ,; sposto calma e serena. Si parlò della sera .Mi parrebbe opportuno, d·issi a mio marito , di _dormi re per questa notte in una camer a att igua a quella dei bambin i e della signora, per poter acco rr ere se fossero turbat i. Ella. prote.stò energ icamente. - lo non voglio , disse con If!lpeto. Ma si corr esse e spiegò: Allor a non s1_avvezzeranno mai a star senza di lei. .La n sposta sgarba ta fece scatta re mio ma- rito: ~ la ma.dre dei bambini sa, e mi par e n~ abbia tutto il diritto. E giustissimo questo , disse aspr amente. Dopo un po' la signora fu presa da un gran– de ~'.fanno; ~i- sentì ma le. lo l'ass istetti; chia– mai 1/ came riere; la persuadem mo a ritirar si in una stanz a, che avremmo man dato per un me– dico. .Non volle &laccars i asso lutamente da noi; disse che il male era passato. lo incominciai a sospettare che mia cognata avesse rag ione. Pr iva di pregiudizi com'ero ormai, volevo tran. quillarl a, idirl e che per conto mio, no n trova.va a ridire, pur che i miei bambini fossero ben tenut i ne l tempo che si tratte nevano presso i) padr e. Ma ell'era con me cosi scor tese e ge– h<la ch'io non sapevo proprio che dir e. A pas– seggio io avevo preso in braccio la bimb a stan– ta. La signora osservò che que sto non era chir che a .Milano non si usava porta. re i biml>i in brac cio, eh 'ella no n li avrebbe cer- re che il primo dip end e dall a spensieratez– za, dalla prodiga lità di un num ero esiguo , e quindi da un 'occupazi one precaria , men– tre il second o, cioè il necessari o per tutti, d ipend e dai bisogni natu rali di una vita normale e qu ind i sa rebbe font e costant e di lavoro. Armi da. Forse non hai torto .. anzi mi sembra . che ab bi rag ione. GIU SEPPINA MORO LL-1.NDONI. Piccole e grandi verità li bimbo è mal ato: la sua vita è attacca – la ad un filo di speranza. La povera madre accend e il lum icino alla Vergine, alla gra n Mµ.dre di Dio.. raffigurata in un gesso sen– za grazi a e senz'art e. Che imp orta d i ciò alla madr e che spa– sima per la vita del figlio? La scienza ar i– da e fredda non le offre inganni: bisogna trovar e qual che cosa al di fuori del vero, al di là del reale, per aff rontar e l'ora fatale. E, che cosa c'è di più logico, fra tanti fan – tasmi rivivi scenti 1 se non la figura di una donn a, di una madre, in cui pr oiettare il dolore materno ? Non Dio cr eò l' uomo - diss e il somm o fi– losofo Kant .- rna l' uomo creò Di o e lo creò per un bisogno suo, per la sua debolezza di fronte alle forz e della natura . Creò anzi gli dèi dapprima , che corrispondevano a cia– scuno dei suoi bisogni d i difesa - e giun– se per un proc esso evolutivo d'ast razione al- 11 concezione di un solo Dio, principio e fi– ne di tutto ciò che per lui era mistero . Cos'/ allor ché la vita della donna si deline a sull'orizzonte sociale. con suoi car atteri pro– prii dist inti dall'altro sesso, ecco il bisogno di una d ivinit à femminile più atta a rispec– chia re i dolori della ma dre e le aspirazioni della don na. Ed ecco le dee, dapprima e poi con l'ann unciarsi di religio ni più spiritu ali ecco la donna, la Vergine-madr e. Già nella ·religione buddistica la vergine Maya, dà un salvatore al mondo concepen– do Budda . Anche qu i è Dio stesso che son– carna in essa, come nella leggenda cl'i– stiana. Nella religione egizia la verg ine Isid e con– cepisce il dio Oro pel trami te divino di Ori– side. Nella relig.ione pa gana - caratterizzata dal numero grand e di divinit à, abbi amo Giove che con la forma di piccio ne rende madre la Vergine Ftia, e Leda , Antiope , Europa e A.lcmena . La leggenda di Maria , madr e di Cristo ha eleme nti più elev ati delle precedenti e si ricollega forse di più a quella buddisti ca. Ma la Vergine Mar ia che tanta ri cchezza di simboli riv este e compen dia tutta la teo – ria di dolori mat erni, non è dunque se non la proiezione di que sti dolori di ciascu na donna e di ciascuna madre. Togli ere alla povera donna qu esta cre– denza è du·nque un delitto? Non è delitto dare la verità ov'è l'errore e l'illusion e. Ma con questa verit à bisogna darn e altr e : pri – ma e più gr ande fra tutte , quella che val e a dimo strare come i dolori della vita dipen– dono nella lor quasi totalità dalle ingiu– stizi e su cui poggia la società nostra: la ve- rità delle dott rin e sociali ste . Verilas . Diceva un lup o giov anotto a una vol pe:· - Era un eroe mio padre, di olori osa ·memo– ria: erasi fatto così terribile a tutto il dint or– no! Egli domò via via più che duecent o ne– mic i: l'anim e loro sospinse allo squall ido re– ano deli'Or co. Qual meraviglia se fl,nahn.ente sott 'un o la sciò la vita ? •- - Ecco - r is]}ose la volpe - per un cant o fu nebr e sta bene dir così; in una stor ia si dovr ebbe dir e invece : l auec ento e più nemi ci che domò via via eran o pecore e ciuchi , e quel– l'u:r? che domò ltt i, f n il prim o tor o ch'egli osò assalir e. LES SING. to port at i. E se sono sta nchi , signor a go,·er– nante; che ifa lei? - Pr endo una carrozza rispose. - Mio marito è un impiegato; non è un mar - chese; se sa prà regolarsi e aver il senso della misura, andrà bene pe r tut ti. Eg li è già pro – digo per na tura sua; avrebbe bisogno d' un a donna molto economa e prevident e. - La si– gnora trovò modo di dir e che le don ne che scri – vono sui giorn a li e vann o in bicicletta, sono molto ant ipatic he.... ed altr e piacevolezze di simil genere. Io dur avo assai fatica a contener mi : la sen– tivo ostile, gretta, pettego la, piena cli pregiu– dizi e vana, sopratutto vana. Il pensiero · di lasciarle i miei bimbi, mi faceva rabb ri vidir e. E per essi non rintuz zavo le vii1an ie di qu el– la donna e rispo ndevo dignitosa e ca lma. Vo– levo dire a m io marito tant e cose: in fondo , sapevo ch'eg li voleva bene a i bam bini a mo• cio suo; ma che in ogn i caso non avrebbe tol– lerato si fosse con loro ingiusti; che tante vol– te la sua cattiver ia era più oste nt ata che rea– le, per uno stupido orgog lio maschi le di far senti re ch'era il pad rone. Ma temevo che quel– la donna ast uta sa pesse abbind ola rlo ti ran– neggiar lo; inga nn arlo anche su l trati amento 9ei figli. Volevo d~rgli •di vegliare su loro; che 10. non ~ro _tran9u11la, che io tremavo, che sa~ re1 pa rtita 1nqu1eta, angoscia ta . Quella. donna era semp re fra me e lui. Il ma~tmo seguen te dovev o partir e. - u Devo parl arti ,.de~o pa rl~re.a te solo, di cose che pr e. m.ono, gh ~1ss11dei bimbi, d'interessi. ... , pr ima d1 anda r via. (Con tinu a).

RkJQdWJsaXNoZXIy