Critica Sociale - anno XXXVI - n. 5 - 1-15 marzo 1926

68 CRITICA SOCIALE ' Tuttavia anche da questo semplice punto di vista s'impone una distinzione. E bensì vero che il re– gno della produzione, è il regno della necessità, e ciò per tutti i sistemi sociali; ma per il comunismo la cosa va intesa con ·una r,e,striziione. Noi siamo liberi sempre che siamo padroni delle nostre azio– ni, e possiamo regolarle o direttamente o i.ndiretla– menie. Il produttore, nella società · capilalistica, non è mai padrone delle sue azioni; non lo è il capilalista (imprenditore) perchè·è dominato dal mercalo, cioè dall'insieme _ditutte le relazioni che agiscono nella società economica, e che non solo gli sono sconosciute, ma non sono nemmeno cal– colabili ( 4); non lo è il" lavoratore, perchè egli dipende strettamente dall'imprenditore e da tutti i suoi agenti ( 5) ; dunque nessuno. Ma nella fab– brica comunista non è così. Imprenditori e lavo– ralori fanno una persona sola; quindi cessa la particolare dipendenza del lavoratore, che sorge nella fabbrica capitalistica; ma poi la pr-0duzione è condotta secondo un piano che è nella mente e nelle carie dei dirigenti della stessa sodetà comu– nistica, i;q'.ualisono scelti da tutti i «compagni». eo~ munisti; è cessa quindi quella dipendenza dalle forze sc0nosciute della società capitalistica, che noi chiamiamo « mercato ». Appare perciò una particolare libei·tà del sistema di produzione· co– munistico, che la società capitalistica perfetta– mente ignora. Ma non bisogna equivocare sul valore di que– sta libertà nella fabbrica. Si tratta di una libertà lutta soggettiva, tutta intima, nascente dalla sen– sazione personale, che prova l'inqividuo econo– mico, di un rapporto colla società comunistica. È un fatto della sfora morale privata, non della sfe– ra sociale. Il rapporto oggettivo è sempre di di– pendenza. Tanto il « compagno >> della fabbrica comunistica, quanto il « salariato » della fabbri– ca capitalistica sono costretti a dare tante ore di lavoro al giorno, a sottostare a que~la specie di controlli, a subire quei determinati ordini, e ad obbedire- a quel1e determinate autorità gerarchi– che. E non è nemmeno sicuro che questo sistema di limitazioni e di subordinazipni sarà meno rigo– roso nella _fabbrjca comunistica che nella fabbrica capitalistica. Tutto quello che noi sappiamo del modo come procedono le cose in Russia - dove esi– ste una forma economica che, limitatamente a cer– li ambienti e per certi rami della produzione, e con molte restrizioni, può in una maniera piu.ttosto vaga dirsi comunista - il vincolo gerarchico e l'ordine disciplinare sono.fors'anche più rigorosi lettuali della_ produzione, che -essa trasforma in mezzi di po– tere del capitale sul lavoro ... La subordinazione tecnica del– l'operaio all'uniforme movimento dello strumento del lavoro e la particolare composizione del lavorato1·e coilettivo creaI10 una disciplina di caserma, perl'eltamenle elaborala nel sistema di fabbrica». :.._ C. Marx: ti Capila/e, traci. ital., 1915,. voi. I, pag. 381-·383). (4) • Bien loin de pouvoir prenclre, ainsi que- sé l'imaainenl · certains éconornistes littéraires, la valeur comme le fait élé– mentaire, dont on déduit !es lois des autres phénomènes économiques, on est obligé, au contraire, de reconna'ìlre que la valeur est un phénomène extrèmement complexe, clépen– dant de tous les autres phénomènes éconon1icrt1es ». - Pareto: Cours d'Econ. Politique, voi. II, § 973. (5) « Il nostro antico possessore cl.idanaro s'avvia innanzi e nel!~· sua qualità di capitalist_a, ·-cammina per primo; I~ segue_ 11 possessore della forza ·d1 lavo~o,. come suo. operaio; quegh, con lo sguardo sprezzante, ·con· I- aria d'importanza af– faccendalo; q~esli, timido, esitante, restìo,· come chi ha por– Lato la propria pelle al Hl!lrCalo, e non può asp,ettarsi altro che una cosa: essere conciato». - C. Marx: Il Capitale tra- çluzione ital., pag. 142. ' BibliotecaGino Bianco ed assoluti che nella fabbrica capitalistica. Si tratta dunque d'una libertà soggettiva., non di li– bertà te-cnica. III L'ambiente propri,o della libertà è quello che sla fuori della fabbrica, dell'azienda produttiva, della vita economica'. dell'uomo. L',e6onomia è ne– cessità; soltanto l'etica e la politica sono libertà! Ma la politica non è che l'etica collettiva, fetica delle relazioni fra gli uomini. È nella zona della politica che si effettua la libertà. È dunque in questo ambiente che noi andremo ricercandola. ·gli uomini. E nella zona della politica che si ef– fettua la libertà. È dunque in questo ambiente che noi andremo ricercandola. Nel sistema marxista sono concepibili tre gra– di deHe relazioni politiche, due delle quali son re- 1azioni statali, ed una suppone superato lo stes- · so organismo statale ( 6): 1) Lo Stato particolarista; 2) Lo Stato neutralizzato; 3) La Società politica non statale .. Lo Stato che abbiamo definito « particolari– sta » è lo Stato vinoolato in maniera diretta ed im– mediata agli interessi di una classe, di un ceto, di un partito; espressione esclusiva di una teoria, di una opinione, di un culto; lo Stato çhe non pa– trocina se non quel gruppo, quella classe e quel- • la opinione; che-si riduce alla tutela di quel grup– po, di quella classe, di quella opinione; eh~ su– bordina tutto il rimanente della società agli inte– ressi, alle opinioni, al culto che esso professa, e non ne ammette altri, o li tollera nei limiti in cui il suo buon volere e le stesse ragioni parti– colari da esso garantite lo consentano. Lo Stato « neutralizzato >> è anche lo Stato « po– litico >>, iL « vero >> Stato, come lo definisoe Marx, sulle traccie di Hegel (7). Hegel aveva ,detto che la « realtà morale >> dello Stato non - appare se non quando lo Stato è riuscito a « di– stinguersi dalle forme dell'autorità e della fede ». Finchè lo Stato s'immedesima con una classe, cioè non serve che a questa classe- (Stato feudale ed assolutistico) ed è uno Stato « sacramentale >> vin– colato ad un culto (Stato cristiano); il « vero >> Stato non appare ancora. Il «_ vero >> Stato è quello Stato, che è soltanto politico; quindi che non è una cosa sola con la classe, con un culto, e-on una teoria. In questi, ultimi casi lo Stato è un ente so– ciale, un ,e,nte economico, un ente dottrinale; un ente religiosò, ma non soltanto un .ente « poli– tico >> • Il « vero >> Stato, lo Stato esclusivamente « politic9 >> è lo Stato borghese, lo Stato uscito dal– Ja rivoluzfon'e «liberale >>. Scrive Marx: « La rivoluzione politica che rovesciò la regalità, che elevò gli affari dello Stato all'altezza di affari naziouali, e fece, dello Stato politico la cosa di tutti; costituì, nello stesso tempo lo Stato 1Jero; essa distrusse necessaria- (6) .Questi problemi sono esaminai.i in « Zur- ludenfrage » in « Ein Brie/wechsel van 1843 », raccolti nelle Gesamm~lte Schriften van K. Marx und F. Engels, I vol., 1902; e poi nella circolare: Les préten,dues scisszons dans l' Internationale · Genève, Im_primerie Coopérative, 1872. ' (7) « Affinché lo Stato possa manifestarsi come la realtà morale _de~lospir}lo che ha coscienza di se stesso, questo Stato deve d1stmguers1 dalle forme dell'autorità e della fede· ma questa distinzione non può rivelarsi se non nella misura i~ cui l'elemento _eçcl_esiastico si scinde da se stesso: perchè sola– mente al d1 sopra delle Chiese particolari lo Stato può man– ~en~re l'universalità_ dell'idea, 1 del suo principio, della sua nO;ll?ne, ed attuarh ». - Hegel: Filosofia del Diritto 2.• ed1z1one, pag. 346. '

RkJQdWJsaXNoZXIy