Critica Sociale - Anno XXI - n. 4 - 16 febbraio 1911

CRITICA SòéiALE MfllADRIA f BRA[[IAHTATO INROMAfiHA II. I problsmi dsllamszzadria. (Contim,taz-ione) l'evoluzione della concezione s cialista neirapporti colla mezzadria eve essere p rfettamente analoga a quella nei rapporti colla piccola pro– prietà lavoratrice. Bisogna premettere che, dal punto di vista usuale .dell'azione socialista, i mezzadri sono più interes– santi dei piccoli proprietarì. I piccoli proprietarì, appunto perchè possiedono la terra su cui lavorano, non devono cedere alcuna parte del prodotto ad alcun proprietario del capitale– teqa. Invece i mezzadri puri, non possedendo ancora la terra, eà essendo perciò obbligati a lavorare la terra altrui, devono dividere il prodotto coi proprie– tarì di questa. Mentre dunque non si concepisce una azione di resistenza economica dei piccoli proprietari, si concepisce - entroi certi limiti - una azione di resistenza economica dei mezzadri. Essa presenterà caratteri. ed userà armi diverse che non la resistenza dei braccianti e dei salariati in genere; ma darà sempre luogo a situazioni, che risulteranno meno ·1ontane dalla vecchia tradizione socialista di quanto : non lo siano quelle che conseguono all'azione dei piccoli proprietarì. Se, dunqùe, la concezione socialista si è già tra– sformata rispetto ai piccoli proprietarì lavoratori, fino al punto da considerarli ormai come veri e pro_pri alleati, a maggior ragione dovrà subire un analogo orientamento rispetto ai mezzadri. Sarebbe del resto, oltrechè ingiusto, profondamente 'illogico, se queste evoluzioni del pensiero socialista non procedessero parallelamente. Abbiamo visto i motivi pei quali la concezione socialista si è andata trasformando relativamente alla piccola proprietà rurale. Orbene, basta confrontare tali motivi coile consi– derazioni che abbiamo esposte a suo tempo in rap– porto alla mezzadria, per constatne che i due pro– cessi di adattameuto alla realtà procedono da cause simili, e non possono quindi non µresentare sviluppi e conseguenze perfettamente analoghe. Se, in alcune regioni, i piccoli proprietarì rappre– sentano una enorme forza sociale, che non si po– trebbe combattere od anche soltanto trascurare Senza renderla nemica, in altre regioni, e special– mente nella Toscana, nella H.omagua e nelle Marche, altrettanto si può dire della mezzadria. I motivi morali ed economici per cui sarehbe pro– fondamente ingiusta, ed in ogni caso d-i impossibile attuazione, la pretesa che i piccoli proprietari abban– donassero, sic et simpliciter, la loro piccola proprietà sono quelli stessi che fanno apparire non meno in– giusta la pretesa che i mezzadri divengano senz'altro braccianti. Le medesime cause, per le quali l'accentramento puramente tecnico dei capitali trova nell'agricolturn una sfera tanto più ristretta che non nell'jndustria, . per le quali l'interessenza al prodotto - che è mas– sima nel caso del piccolo prop,·ietario in quanto esso, non deve dividere con altri il frutto del proprio lavoro - dà risultati di cosl grande importanza, e per le quali, quindi, la· piccola proprietà, non solo non si indebolisce, ma si rafforza, valgono anche per la mezzadria, quando questa si svolga nelle condi– zioni che le sono adatte. Infine, se è vero che i piccoli proprietari possono acquistare le attitudini ad una attività economica BibliotecaGino Bianco associata, ed avvicinarsi con ciò al socialismo, per il tramite della cooperazione, è evidente che, collo stesso procedimento, potranno fare altrettanto i mezl!adri. . Vedremo in nn prossimo capitolo più minutamente i moct: e i Jimiti dell'azione di questi ultimi, così sul terreno· della resistenza, come su quel10 1 per 0ssi ben più importante, della cooperazione. Marxismo e Mazzinia Tali criteri, mentre implicano tutto un diverso orientamento del pensiero socialista corrente in rap– porto alla mezza<lria, valgono praticamente ad ap• µrossirnarlo a quella parte della idealità economica mazziniana, la quale, perchè meglio consona alla reale situazione dei mezzadri, spiega come, presso questi ultimi, i repubblicani abbiano potuto ottenere tanta maggior forttina dei socialisti. Secondo Mazzini, come secondo Marx, i lavoratori dovrebbero godere intero il prodotto del proprio lavoro. Opponendosi a tale scopo il fatto che il ca– pitale è posseduto da altri, entrambi si sono proposti di trovare la via per cui il capitale e .il lavoro po– , tessero riunirsi nelle medesime mani. .Marx ha cre- duto di additarla esclusivamente nel passaggio de– finitivo alla collettività di un capitale privato, che, in base alle sue previsioni, si sarebbe andato ridu– cendo in proprietà di un numero sempre più ristretto di privilegiati. Mazzini, invece, ha creduto di sco– pril'la in un processo inverso; in un processo di democratizr.azione della proprietà del capitale, per cui anche i lavoratori avrebbero potuto, nel pieno della società presente, formarsi e gestire il capitale occorrente al loro lavoro. La cooperazione sarebbe stato il grande mezzo a tale fine. Ora, dopo quanto abl.,iamo osservato a suo tempo, è facile riconoscere che i due procedimenti non si esci udono, ma coesistono. Il primo si verifica specialmeute io quei rami della produzione che soddisfano a servizi pubblici veri e proprì, e che costituiscono monopolì di fatto; op– pure in quelle lr1dustrie, in cui si effettua il con– centramento tecnico dei capitali, e che raccolgono intorno a sè grandi masse di Javoratori salariati. Il secondo, invece, si verifica prevalentemente in quei rami della produzione, in cui il concentramento tecnico dei capitali non si riscontra, ed in cui molte volte i lavoratori, anzichè essere salariati, sono i11- teressati al prodotto (artigiani, piccoli proprietari, lavoratori, mezzadri, ecc.). La concezione economica di :Marx e quella di Mazzini appaiono così come d.ue verità parziali, che trovano contemporaneamente la loro applicazione e si riconciliano nella enorme complessità e varietà della vita reale. Ce ne dispiace pel settarismo di quei repubblicani e di quei socialisti, che presumono rispettivamente che Mazzini e Marx non abbiano la· sciato nulla di duraturo alle nuove generazioni. Del resto, i meno impreparati fra g·li organizzatori dei braccianti romagnoli hanno compreso da tempo che, anche per questi, la pnra azione della resistenza, non soltanto non può bastare da sola, ma, oltre un certo punto, non può dare se non risultati molto modesti. Perciò hanno cercato di avviarli verso la cooperazione, diretta tanto alla assunzione di lavori pubblici, quanto alla conduzione agricola; affermando più volte, molto giustamente, che, ai fini della edu– cazione morale, intellettuale ed economica dei lavo•• ratori, la cooperazione giova più della resistenza. Ora, se la cooperazione serve all'elevamento dei braccianti e al loro avviamento verso forme di atti– vità economica associate e quindi anche socialiste, come si potrebbe negare che le medesime cause non debbano produ~-re i medesimi effetti anche per i

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