Critica Sociale - Anno XV - n. 5 - 1 marzo 1905

68 CRITICA SOCIALE sostanza sulla stessa direttiva di quelle da noi ripetuta.– mente propugnate - ed ancho nell'ultimo fascicolo (/ ferrovieri e il Governo) - non tutte le tesi da esso so– stenute ci sembrano ugualm13nte impcccal>i\i ed esau– rienti. In particolare la critica fatta all'arbitrato e gli accenni generici alle Sftnzioni civili del contratto di la– voro merita.noi a nostro avviso, qualche discussione e qualche chiarimento. :Ma sul tema dovremo presto ritor– nare, e allora risponderemo anche ad altre obiezioni che ci vennero mosse. LA Cnl'rtcA SoCIAJ,E. GIORGIO SOREù e rivoluzionari di casa nosLra Senza dubbio, Giorgio Sorel ò una delle menti più acute e più profonde dei giorni nostri; sociologo dalla coltura straordinariamente vasta, dall'ingegno facile e brillante, egli s'impone al rispetto di tutti, amici e av– versart. È però ingegno essenzia,lmente critico: nei suoi libri, nelle sue conferenze, negli innumerevoli scritti sparsi per le Riviste, adopera con vera voluttà il pic– cone demolitore della critica j di esm egli si nutre, per essa egli vive 1 ad essa, infine, regalò i fiori più superbi del suo intelletto. A Giorgio Sorel è capitata anche la fortuna, grazie alla sua nota teorica sull'onnipotenza del Sindacalismo, d'essere, di punto in bianco, divenuto Pidolo dei rivolu– zìonari di casa nostra: come il fatalismo musulmano a Maometto chiede la parola redentrice, così i nostri ri– voluzionari da Giorgio Sornl attendono l'inno squillante della rivoluzione .... di là da venire. Eppure, quale abisso profondo non separa la conce– zione scientifica e posith,a, per quel che riguarda le teoriche marxiste, di Giorgio Sorel, e la concezione - come chiamarla? - dei nostri rivoluzionari! li socio– logo francese ripudia sdegnosamente i semplicismi o le viete teoriche catastrofiche; i rivoluzionari di casa no• stra, di esse invece superbamente si ammantano: per Giorgio Sorel il marxismo è solo qualche cosa di eva– nescente - vedasi in pi;opo'Sito le sue polemiche con il defunto Antonio Labriola - per i nostri rivoluzionari invece un dogma tanto sacro quanto quello dell'imrna– colata concezione: Giorgio Sorel afferma -- vedasi la prefazione ai suoi Saggi di critica del marxismo, editi nel 1903 da Remo Sandro11 - che nell'opera di tllarx, u non bisogna cercare una dottrina, ma pi1'1 assai la spiegazione della vita pratici\ lii i rivoluzionari <li·casa nostra giudicano invece tutto I'opposto 1 e 1>ere~si chi non giura su tutte le affermazioni del grl\nde tedesco, e principalmente su quelle che lo stesso ~'ederico E!!gels, nella celebre prefazione alla Storia delle lotte rli classi in /i',wu:ia, ebbe a dimostrare non pili rispondenti allo condizioni dei tempi nuovi, è un reprobo, un traditore della causa proletaria, e.... chi pili ne ha pili ne metta. Dove però, fra Giorgio Sorel e i nostri rivoluzionari, l'abisso diviene addirittura profondissimo 1 è nel di\'erso modo di giudicare I'o1>erndi 1·evisionc critica. dol mar– xismo, operata, in questi ultimi tempi, clai migliori cam– pioni del Socialismo internazionale, ed in iilpeciid modo da Edoardo Bernstein : qui 1 fra il sociologo francese e i rivoluzionari di casa nostra, non ésistono nemmeno i rapporti di buon vicinato cosl comuni fra gli uomini civili. Per convincersene, basta leggere, nei suoi Saggi di cri– tica del marxismo, la parte declicata ai due noti lilJri cli Ilernstein e di Kautsky: Sociltlisme théorique et sociaMl– mocratie praUque; Le 11W1'J'isme et son critique Benisteiu. In quel suo scritto, mirabile per chiarez.za e preci– sione, Giorgio Sorel rias•mme pe1· sommi capi le ragioni dei due contenòenti, pas.~andole, mru1co <t dirlo, sotto le forche caudine della sua J)rofonda e forte critica; indi, affermato che Bernstein II contro le formule antiche e le interpretazioni false fa appello allo stesso spirito di Marx 111 mentre invece con Kautsky " il marxismo ap– pare come una cosa molto vecchia, una compilÌlzione di te.si disparate, che i discepoli si peritano di esporre troppo chiaramente,,, conclude il suo studio cou queste parole assai chiare e assai precise: u Se la democrazia sociale fosse stata composta di uo– mini sufficientemente emcmci-pati dalle snperstiiioni, non è dubbio che l3ernstein avreblie raccolto intorno a sè la. grande maggioranza, e il suo libro sarebbe accolto come una liberazione; ma non mi sembra che lo spirito delle masse tedesche sia già molto libero. Il conservatore dei vecchi simboli, il difensore delle vecchie astrazioni, il maestro delle ve~chiesentenze, potrebbe ben riuscir vin– citore1 e non bisogna. diisimularci che il trionfo di. Krmtsky significherebbe la 1·ovina definitiva del ma,·xismo, spogliato ormai di ogni interesse scientifico. ,, Ed ora. quale, da parte nostra, la conclusione? Semplicis.~ima: cioè, non si può tralasciar di notare la stranezza, chiamiamola così, per cui i rivoluzionari di casa nostra brn ·iano oggi tanto incenso in onore di colui che, ad onta della sua teorica sull'onnipotenza del sindacalismo, assestò i pili fleri colpi della sua critica demolitrice proprio su quelle teoriche catastrofiche ad essi tanto care, da essi così dolcemente accarezzate. LUIGI FAcoro. LA DEMOCRAZIA E GLIIMPIEGA Della questione degli impiegati, la democrazia (adopero questa parola nel senso più largo, inclu– dendovi, s'i□tende, la democrazia socialista) si è oc• cuptt-ta solo in qualche discorso e in qualche arti– colo. Sul 'l'em1Jo ne scrisse, con molta acutezza, il Bonomi. J\fa la democrazia non ha ancora ca.pita che la questione della burocrazia è per essa cli capitale importanza. Se n"è occupata soltanto per strapaz– zarla, chiamarla succhiona, gridarJe la croce addosso, presentarla, come nemica del popolo) all'odio e al disprezzo delle masse operaie. E in questa campagna si son trovati d'accordo tutti: liberisti, economisti 1 socialisti, repubblicani. l~ra una crociata santa! Poi si ritornò un po 1 sui propri passi. La democrazia e una parte dei socialisti si commossero ai pietosi casi degli impiegati di Stato, e una volta ancora nei co– mizì la facile parola italiana scosse Je genti nostre, rilevando le tri:sti concli;doni cli tanti proletari' ciel calamaio. E per un po' cli tempo si scatenarono ter– ribili battàglic incruente su per i giornali fra chi difendeva questa o quella classe di scdbflcchini e gli altri che, tanto per fare J1opposto 1 ne clicevan corna. Un po' alla volta tutto si cnlmò e tutto restò co– me prima. L'Ltalia, che è un paese di persone di spirito e ben educate, non ama che il bel gesto e la bella frase, la forma. Fatta una bella parlata, tutto si calma. Pcrchè nessuno crede veramente ali~ serietà. della cosa. '.l'anto, tutto si trasforma e tutto va come deve anclnre ! J+j ht burocrn.zia restò quello che era e che resterà ancora per molto tempo. Dem?cratici e socialisti entrarono nei Comuni, nelle Opere Pie, si cacciarono un po 1 clctppertutto; lo orga– niL.zazioni operaio crebbero d'importanza, proponen– dosi sempre nuovi e pii'1 vasti còmpiti. Il numero

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