Critica Sociale - Anno VI - n. 12 - 16 giugno 1896

CRITICA SOCIALE 101 MORALE PRIVATA E MORALE POLITICA ( Una pttbbllcazloms ,li SclJJIO Slghe~) li. Quali sono le conclusioni del signor Sighele ! A pag. :-,1 ogli, dopo avere constatato che e più si estende la convh·enza. sociale e l'associazione tra gl"individui, e meno rigida si fa la morale», conclude che P.':t'Ciò si devono « giudicare con maggioro seromtà e imparzialità le azioni disoneste che non sono compiute a scopo individuale egoistico». In questa deduzione è ovidento tutta la insurn– cienza scientifica dell'auto1•e. Io dimostrai rapida• mente pii1 addietro come la mo,·ale si estenda a misum che si estende la convivenza sociale. Ciò, d'alt1·ondo, O intuitivo. La morale ò cooperazione, ò armonia di interessi. Man mano che i gruppi sociali si allargano e assorbono in sè quegli cle– menti contro dei quali prima 01--ano in lotta, sol• tentra al rapporto della ostilità il rapporto della solidarietà. Quegli che ieri era il nom1co contro di cui, nell'interesse del vostro gruppo, voi potevate usaro ogni sorta di iognnni e di viole_nze, oggi ò il vosfro socio, il vostro compagno, n cui npn potete recare offes..'lsen1.a oltraggio aJla morale. Il citta– dino del l)iccolo Comune, contro di cui il vostro Comune st trovava -in lotta, era uomo che ~tevato uccidere, certi del plauso dei vostri concittadini; ma oggi e so è diventato un uomo del quale dovete rispettare la vitn. oggi che i due Comuni si sono fusi in una maggiore unità, oggi che la convivenza sociale si è estesa. Lo schiavo, su cui esercitavate legalmente e moralmente il diritlo di vita e di morte quando la classe pad,-ona del potere econo– mico e politico ,,ive,•a dell'opera degli schiavi, è diventato un cittadino di cui non potete violentare la po1'SOnadopo che la distinzione delle classi si è attenuata, dopo che si ò stabilito un sistema, meno barbaro, di cooperazione sociale; dol)O che, in altre parole, la « convivenza sociale> ne l'interno dello Stt\tO ò diventata, coll'abolizione della schiavill'1, pili stretta e più intensa. Il salariato, che oggi voi cnpitnlista potete lasciar morh·e di fame in mezzo alla strada, domani avrà il diritto - e voi avrete il cor1•ispondente dovere - di entrare socio della produzione e del godimento delle vostre ricchezze, pet'Chè al rapporto di antagonismo fra il ~ostro rnteresse od il suo sarà sotteutr•to un rapporto di cooperazione e di vera conviven1.a sociale. r,; qui cade in acconcio di notare come la tesi del Lombi-oso ('), a cui il Sighele si riferisce, della funzione sociale del delitto contraddice all'assunto del signor ighelo. Lo scritto del Lombroso sostan– zialmente si riduce a constatare che le conquiste da popolo a popolo, e i rivolgimenti interni degli Stati - dovuti ad atti di guerra e di ribellione - diedero buoni frutti per la civiltà, e li diedero appunto perchè allargarono o perrezionarono la conviven1.a sociale. L'uso della forza, la esplicazione della lotL, ru- 1'0no infatti una necessit.'.l 11nprescindibile per allar– gare i confini delle !>atrio, non meno che per rompere la cerchia de le caste o superare gli an• tagonlsmi delle classi, fondendole in classi pii1 ampie. Lo violenze, n cui si do,fe la rormaziono dai grandi Stati modo1•ni, come le violenze a cui si devo, pe1·es., se, un secolo fa, la classe borghese poté rormare colla nobiltà e col cle1-o un gruppo unico vivente in un identico ambiente giuridico, sono "iolenze che hanno senza dubbio avuto u11a benenca funzione sociale. Ma do1•eerra il Lombi-oso {1) Rlcuta di •«lOlo,,,la, nonmbre t8t;, è nel chiamare queste ,•ioleo1.ocol nome di «delitti». Pe1·chò il delitto come la immoralit..-\ sono termini relati\ 1 i a uno stato di società. non a uno stato di lolL,. Tra individui, tra g,·uppi, tra popoli lottanti rra loro, unica leggo ò l'istinto di conservazione, o ciascun d'essi è autorizzato da questo stesso istinto ad aoplicare il e machiavellismo a-. Quando poi gli indiVidui, i gruppi, i popoli si sono fusi in un gruppo omogeneo, la legge morale si forma poi fatto di questa stessa omogeneità d'interessi, e al– lora quegli atti, che pl'Ìma erano giustificati dal– l'istinto ili conservazione dei gruppi, perdono ogni giustinca.zione collo scompal'ire dei gruppi o, J>e1· lo meno, sino al punto in cui l'antagonismo fra i gruppi ò venuto mono. na ciò 8i deve concluder•e che non il e delitto » ma la e violenza :t ha avuto o può !we1·0 una benenca funziono sociale. Non il delitto, che è ribellione a un ,·apporto sociale, ma la violenza, che ha por effetto - contrariamente a ciò che il Sighele sostiene - di allargare o di perrezionare la conviven1.a sociale. Che se, come nota il Lombroso nello scritlo citato, il delitto si vede andare aumentando in &1tensio11e, e pi~liando e in"entando dei nuovi rami di ti·uOà o di rntrigo politico o di peculato•• ciò è dovuto al fatto che la nosfra civiltà conse1·"a o svilupp..'l nel proprio seno una:lotta feroce di classi, od è basata non giil sul principio della coo\>0razione, ma su quello della concorrenza individua e e della lotta pe1· la vita anche fra coloro che formano parte dello stesso gremio sociale. Il Lombroso non vol'l'i\ però soste– nere che le manifestazioni delittuose di questo stato di guerra inter-iodivi<luale abbiano una funzione utile per la civill..1\;mentre certo egli riconosce che, se la classe dei lavoratori assul'la alla coscien1.a dei suoi interessi r•iuscisse a impor1-e, ross·auco mercò la violenza, un nuovo ordine di cose da cui rosso eliminata la necessità della lotta indh·idualo, quella "iolen1.a sai-ebbe rispondente a un'altissima fum:iono di civiltà. Riassumendo: quando il Sighelo dico che le azioni disoneste compiuto non a scopo individuale egoi• stico vanno giudicate con soro11ità, ogli dice giusto se con ciò intendo ripolol'e quanto fu già consta– tato, che lo azioni in cui si estrinseca la lotta rra i gruppi sociali non \'an ~ual'date col criterio della morale già costituita nel\ intel'flo dei gruppi; ma quando questa sua conclusione egli la giustinc.1. con dire che più si estendo la com•i"en1.a e l'asso– ciazione e meno rigida si ra In morale, allora egli non solamente ò in urto colla realtà che ci pre– senta lo spettacolo del contra1·io, ma è anche in urto con sè stMSO. J)'alh'Onde il Sighele stesso non sa bene che cosa concludero. Qui (pag. ::,1) egli vi pal'la di « azioni non compiute n scopo indivicfuale egoistico>, mentre all,-ovo (pa!l· 00) egli vi cambia la lesi e vi pal'la di reggitori che sono delinquenti anche di fronte alla morale del loro gruppo, ossia por scopi egoi– stici. Ma ogli intende condurre a paro le due tesi sostenendo che la coesistenza in uno stesso uomo di due diverse regole di condotta: - quella cioè che si chiama morale politica e che è relativa ai rapporti di ostililo del gruppo ch'egli rappresenta con nitri gruppi - e quella che si chiama mo1·ale privata o che O relativa ni rapporti interni del g1·uppo - questa coesistenza dello duo morali lo pol'la a violare assai facilmente nuche la morale comune o privata. Il che ò vero, ma é vo1'0- Crispi no è la prova - por quegli uomini che rapp1•esentano la politica dei gruppi che vivono di guerra e di rapina. lo non dico certo che sia ine\•ilabilo che codesti gruppi o classi debbano sempre farsi rappresentare da cotali uomini. Hastorebbe infatti considerare con che

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