- ll,llere PID-k:he di gruppo 2 Cara Fiora, cominciando a scrivere questa risposta alla tua lettera ( Alfabeta n. 45), mi sono accorto che avrei potuto usare due forme discorsive pronominali: il .-tu» («Cara Fiora Pirri Ardizzone, tento di riassumere e rispondere alle tue critiche») o l' "egli» ("Tento di riassumere e rispondere alle critichedi Fiora Pirri Ardizzone»). Nel primo casopongo la distanza confidenziale delJ' ,,io-tu», nell'altro quella «esclusiva» de/1',,egli». Nel primo caso è chi legge che assume il ruolo di «egli», in qualche modo di intruso in un dialogo a due; nel secondo chi legge è il "tu» dell'altro polo della comunicazione a cui mi rivolgo, mentre il vero destinatore della missiva diventa un «egli». Questo per dire che l'«esclusione» come l' «inclusione»è spesso in atto linguisticamente nelle forme grammaticali, ben al di là di qualsiasi «io» o «soggettività»precostituita. Se in linguistica c'è qualcosa che si sottraealle opposizioni binarie, ebbene tra queste ci sono senz'altro i pronomi (questo spiega il ricorso al triangolo quale relazione ternaria). Ma lungi dal trattare questi pronomi come soggettività piene, l'articolo tende a dare uno schematismo strutturale chepuò essere interpretato dinamicamente - è un caso se una teoria delle trasformazioni morfologiche come la teoria delle catastrofi si serve di grafi geometrici per schematizzare queste trasformazioni? "annientamento estremo», come mi rioce strana la tua domanda: «C'è da chiedersi: come mai non si formò un'identità di gruppo ai fini di una lotta per la sopravvivenza?» Almeno per due motivi. Anzitutto, perché il testofornisce una risposta che è .-perchéi singoli venivano contrapposti nella lotta per la sopravvivenza»,- creando cioè disgregazione, facendo in modo che l'altro venisse vissuto come un costante avversario a cui contendere il cibo e la sopravvivenza quotidiana, impedendo il formarsi di una volontà collettiva (da qui l'"egoismo senza ego» di Blanchot). E questo è annichilimento, nella misura in cui è togliere qualsiasi «volontà di vivere», qualsiasi «volontà di lottare». La seconda ragione per cui mi riesce strana è più sottile. Chiedendoti: «Come mai non si formò un'identità di gruppo aifini di una lotta per la sopravvivenza», mi ribadisci implicitamente che un'identità di gruppo sufficientemente sicura è possibile - anche se questo non toglie che l'"io», questa posizione vuota, possa assumere contemporaneamente o successivamente identità diverse e corJtraddittorie, possa entrare a far parte di gruppi diversi o opposti apartire da «saperi» e «pratiche»differenti. E questo il grafo non lo nega, poiché, a ben guardare, non vi è marcata alcuna relazione statica di appartenenza - e questa identità di gruppo, che a volte non possiamo fare a meno di riconoscere, è possibile quando insieme si riesce ad identificare l'altro contro cui rivolgere la lotta, quando per un'azione più volontà singole divengono una volontà collettiva, un «noi», quando il limite ritorna a essere marcato con il muro di una prigione, quando, come tu scrivi, la comunicazione tra carceri viene impedita, e si lotta affinché non lo sia. Cordiali saluti Alessandro Zinna Milano, febbraio 1983 stanzialmente anche le considerazioni di Almansi. Ma il presupposto di tutto questo sforzo è che sulla piazza del mercato si continui a vendere e acquistare cose, oggetti. Altrimenti, è inutile disputare sulla moralità della presentazione delle loro qualità nel rapporto tra venditore e acquirente. Purtroppo, però, si sa che da tempo ormai le cose sono sparite, travolte da un'onda di sogni che, rotti gli argini della realtàe del suo principio, ha invaso tutta la nostra struttura desiderante. Le convulse tele/onate notturne -ai banditori di aste televisive non servono assolutamente ad acquistaretappeti, quadri o vasi cinesi, ma a delivrarepatenti di benessere finanziario o di capacità di giudizio in cose d'arte. Ed anche in questefrenesie si gettano milioni e milioni per il fantasma di una cosa. Possiamo senz'altro dispiacerci di questo, ma allora siano le nostre polemiche più ampie e le nostre inquisizioni più fonde; chissà, forse alla conclusione di una ricercaben condotta riusciremo a scoprire dove sono andate a finire le cose, verso quali civiltàhanno eventualmente migrato, se pure sono ancora in hoc mundo. Anche perché ci si dice che, per lo meno, nomina nuda tenemus, ma ho paura che anche questa sia un'illusione in via di sgretolamento. Cordialmente, Luigi G. Colombo Milano, 15 marzo 1983 Alla Redazione di Alfabeta. Io la Uno non la compro. Questo dovrebbe guadagnarmi la benevolenza di Guido Almansi, a cui dedico la presente. Sono però proprietario, mi duole ammetterlo, di una Renault 5 TL. A mio parziale discapito, aggiungo che l'acquisto dell'auto risale al 1978, cioè molto prima che la Renault 5 divenisse la «rubacuori» del recente carosello televisivo. Probabilmente anche Almansi possiede un'auto, ma qui Lo schematismo non va certo a discapito delle trasformazioni dinamiche, il problema è semmai nell'interpretazione dinamica dei grafi. Dunque l'«io» presente nel diagramma è una pura posizione vuota che intrattienedelle relazioni (per Habermas di appartenenza e di non appartenenza) col gruppo proprio e col gruppo estraneo. Ma tu dici che "ai gruppi di appartenenza stabili ci credono solo più i marxisti-leninisti», e io credo che l'articolo non dica nulla di diverso quando, in una citazione dello stesso Habermas, si può leggere che «la relazione di appartenenza/non appartenenza non hapiù valore... » 1----------------l finiscono i punti di contatto tra me Si insinuavaperò che, un valore, questa relazione lo ha pure avuto, altrimenti è inspiegabile perché un emigrato che ha vissuto vent'anni in Germaniapensi ancora di tornare tra la sua gente, nella sua terra. E si insinuava pure che, col diminuire delle «differenze» (la lingua, per l'emigrante spesso il dialetto, gli usi, i costumi, che fondano identità e alterità) a causadella velocità di comunicazione della società dei modelli, l'appartenenza, come tu dici, diventa un «orlo», e l'identità "dinamica», «fluttuante» e «instabile», ma proprio perché è il limite che da certo diventa labile e fluttuante, la differenza da netta a rarefatta. Per finire ribadisci, contro l'imposizione di un regime di visibilità che vuole la trasparenza nei luoghi di segregazione, una possibilità di costruire altri luoghi di inaccessibilità. Se lo spazio di impaginazione lo avesse permesso, nel resto dell'articolo non pubblicato, avresti potuto cogliere la medesima posizione nei riguardi del segreto: la sua benigna irriducibilità, il suo essere come un "lenzuolo corto» che svela qualcosa per nascondere qualcos'altro, il suo essere spostabile ma non sopprimibile. Ma quanto dici avvalora la relazione tra identità e segreto, come spazio di esclusione, come intimità possibile. Non capisco, invece, perché dici di sentirti offesa dall'articoloquando riconosci che la situazione degli ebrei da me accennata è un caso di Due su «Fiatosa» Cara Alfabeta, a volte fa piacere constatare che c'è ancora qualcuno che ha il coraggio di riesumare vecchie polemiche e di riproporle con l'ardire e la freschezza di un gioco nuovo. È il caso di «Fiatosa» di Guido Almansi (Alfabeta n. 46). Lungo le tappe di uno spericolato percorso argomentativo, in verità non sempre agevole da seguire, si trova di tutto: scorribande linguistiche, richiami a buon senso e prudenza, sussulti psicologici, occhiate in tralicealle droghe leggere, la 2 cv (da annoverarsi tra gli oggettisimbolo di una, ahinoi, lost generation), pauperismo q.b., insomma: l'abstract di un trattatello de omni re scibili et de aliquibus aliis. Ciò che però, in tanta dovizia testuale, l'autore sembra non ricordare è che, appunto, la sua polemica riecheggiadiscussioni e veemenze già viste tanto tempo fa. Da millenni si sa che il cavallo di Aulo è, molto probabilmente, adatto a trainare carretti quanto il cavallo di Numerio ma, chissàperché e come, sullapiazza del mercato Aulo riescea vendere il suo quadrupede e Numerio no. Si sospetta che Aulo abbia detto delle bugie al potenziale acquirente, raccontando del cavallo cose non veritiere, o comunque non attenendosi a una descrizione tecnicadel/'animale e delle sue capacità. Qualche millennio fa, secolo più secolo meno, si è cominciato apo"e la questione se esista - e, in caso affermativo, quali siano i confini di - un eventuale diritto a mentire del commerciante. Giuristi e teologi hanno fatto la loro parte per chiarire il problema, un qualsiasi detersivo») e uno bianco (.-lavatocon Dash»), il tutto condito con le esclamazioni en- • tusiaste di una massaia-tipo. Il fatB1bliotecaginobianco e l'articolista. Non mi capitava da anni di leggere un pezzo tanto vibrante di civile indignazione, quanto disinformato e pasticcione. Almansi sostiene che «la campagna per la Uno è uno dei punti più infimi a cui sia mai scesa lapubblicità in Italia». E il motivo di tanta bassezza? Continuiamo a leggere «Fiatosa», ed ecco la tremenda accusache inchioda Agnelli alle sue responsabilità: «la campagna della Uno non vende statistiche, specificazioni tecniche, ma vende parole e immagini». Come corollario, il pubblico italiano verrebbe trattatocome un minorato mentale, quindi trascinato in menzogneri paradisi artificiali, infine costretto a bere la cicuta. Evidente~nte Almansi non è un esperto di comunicazioni di massa, non conosce il settore pubblicitario: non è un delitto. Ma l'impressione che si ricavadalla lettura dellesue sentenze è disperante. Possibileche l'articolistanon conosca le leggibasilari di un messaggio pubblicitario? Possibile che non gli sia mai capitato di guardare la tivù? La pubblicità (mi spiace ripetere ovvie considerazioni) è fatta di parole e immagini e suggestioni. Non solo, ma il meccanismo o i meccanismi pubblicitari hanno da tempo «contaminato» altri e più alti campi. Agnelli non è il diabolico inventore e Almansi non è Nick Carter che smaschera il colpevole. E poi: nessuno prende per fesso nessuno. Un esempio per tutti. Da decenni Paolo Ferrari ed Enza Sampò ripetono che «Dash lava così bianco che più bianco non si può». Come dimostrazione, due lenzuoli: uno grigio («lavato con che ha così avuto sistemazioni più o meno definitive nelle speculazioni giuridiche e morali, perimetro all'interno del quale si aggiranosoto incontestabile che un certo numero di persone comprino Dash non è dovuto alla verità del/'affermazione di Paolo Ferrari, e nemmeno allageneralecredenza che talefa/sa affermazione sia vera. Non è vero che la gente crede veramente al famosissimo slogan. E lo slogan non è fatto per essere creduto. Deve solo essere ricordato, completare la fisionomia di un prodotto che vuole imporsi tra cento prodotti con caratteristicheefinalità equivalenti. Ultimamente il signor Dash ha inventato una nuova pubblicità, una variazione sul tema. Il lenzuolo grigio è lavato con Dash, quello bianco con Nuovo Dash; ma nessuno si è sognato di smentire lo slogan precedente, e nessuno si è sentito turlupinato dal signor Dash. Ma alloranon ci sono novità nella campagna per la Fiat Uno? Certo, ma non hanno niente a che fare con «Fiatosa»di Almansi. La Fiat ha puntato un oceano di soldi nell'operazione Uno. È uno sforzo senza precedenti in Italia. Questo consente unapresenza costante, ossessiva del prodotto su tutti i media possibili. Le desinenze in «osa», che Almansi liquida come perfide rime per lavare il cervello dei futuri compratori, esprimono invece un pezzo importante della strategiadi vendita della Fiat. Agnelli lo ha dichiarato ai giornali di mezza Europa già nel/'82. Cercaredi personalizzare il rapporto uomo-automobile, di più: personificare l'auto, aggettivarla, renderla sempre più una simpatica compagna di strada. Mentre Almansi si scagliacontro la macchina che fa sognare al compratore uno status socfale altrimenti irraggiungibile, le industrie automobilistiche si sono accorte da un pezzo che non è più .-unmessaggio che tira». Insomma, la pubblicità sarà spudorata, come l'articolo mette in guardia, ma occorreprima di tutto capirla. Altrimenti il fustigatore di costumi rischia il ridicolo. Non so se Almansi sia mai salito su una Fiat Uno. C'è un particolare molto interessante, rilevatore del grosso studio del/'azienda torinese per modernizzare il rapporto uomo-macchina. Sul tradizionale contagiriè stato montato un indicatore diverso: è una scala taratada O a 1O, mantenendosi sul 5 si ottiene il consumo ottimale di carburante. Insomma, c'è un invito all'automobilista a controllarsi da solo. Una lusinga molto sottile, la promessa anticadell'uomo chepuò dominare la macchina. La nuova filosofia Fiat è una realtà. È noto a tutti che la Uno non ha un motore rivoluzionario, solo alcune piccole modifiche. Ma per vendere non si possono aspettare altri dieci anni. Proprioper questo occorre una filosofia, un'attenzione particolareal messaggiopubblicitario. La macchina degli anni ottanta non sarà tanto diversa da quella degli anni settanta. Ma se gli uomini sono cambiati, l'auto deve presentarsi secondo canoni «filosofici» al passo con i tempi. Questa straordinaria capacità di mutazione genetica della 'specie auto' è un tema tutto da capire - anche attraverso la decodifica dei messaggi pubblicitari. Alfabeta potrebbe almeno provarci. Francesco Monini Ferrara, 23 marzo 1983 Fogazzaro, non Gozzano Alla Direzione di Alfabeta. Cari amici, scusate il lapsus calami, che nel mio articolo (Alfabeta n. 47, pag. 12) ha fatto cadere il nome di Gozzano sugli Idilli spezzati in luogo del nome esatto (con esso in assonanza) che è, ovviamente, quello di Fogazzaro. Cordialmente, Paolo Valesio Roma, 12 aprile 1983 nella collana Classici d~lla sociologia diretta da Pietro Rossi Max Weber Sociologia della religione La prima traduzione organica e completa a cura di Pietro Rossi 2 volumi pagine LVl-564, X-814 in edizione paperback Max Weber Economia e società volume primo Teoria delle categorie sociologiche volume secondo Economia e tipi di comunità volume terzo Sociologia del diritto volume quarto Sociologia politica volume quinto I fondamenti razionali e sociologici della musica William Graham Sumner Costumi di gruppo volume primo Costumi, lotta per l'esistenza e selezione sociale volume secondo Sesso, parentela e codici sociali PENZtOMI EN COMUNff• Maria I. Macioti Ernesto Nathan un sindaco che non hafatto scuola introduzione di F. Ferrarotti pag. 160, lire 10.000, con foto Fabrizio Di Giulio Il nemico interno dialoghi con gli oppressi pag. 176, lire 8.000 Anna Riva La rabbia femminista il neofemminismo italiano dal 1966al 1980 pag. 180, lire 8.000 Jean Duvignaud, Franco Ferrarotti, Alberto Izzo Individuo e società in Durkheim pag. 128, lire 6.500 Franco Ferrarotti Il potere come relazione e come struttura pag. 100, lire 4.000 Tullio Tentori, Luciano Li Causi, Gioia Di Cristofaro Longo, Guido Cantalamessa Carboni, Lucilla Rami Ceci Percezione di clas.,e, modelli di comportamento e valori dei ceti medi: ipotesi di una ricerca a Roma pag. 100, lire 6.000 Piero Di Giorgi Adolescenza e famiglia conflitto giovanile e dipendenza familiare prefazione di Gerard Lutte pag. 108, lire 6.000 ~ltmft via A. Riboty n. 18 00195 Roma telefono 06-3589470
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