Alfabeta - anno V - n. 48 - maggio 1983

• CésarMoro, unsurrealistaperuviano a cura di Maria Bonatti, con una nota di Antonio Porta N el leggere La ciudad y Los perros di Mario Vargas Uosa sospetto che a molti sia sfuggito un personaggio del tutto secondario che lo scrittore caratterizza in poche righe: il professor Fontana, insegnante di francese del collegio Leoncio Prado. «Fontana è tutto a mezzo; mezzo basso, mezzo biondo, mezzo uomo. Ha gli occhi più azzurri di quelli del Giaguaro, ma lo sguardo è diverso, mezzo serio, mezzo scherzoso. Dicono che non è francese ma peruviano e che si fa passare per francese, (... ) certe volte fa pena, non è cattivo, solo un po' strano»'. Costui non è altro che César Moro, che anni più tardi lo stesso Vargas Uosa ricorderà con simpatia e ammirazione cercando di situarlo nell'ambito della poesia peruviana. Con il poeta e critico francese André Coyné, editore dell'opera postuma di Moro, Vargas Uosa coincide nel sostenere che César Moro fu soprattutto un poeta puro, perché mai commercializzò la sua arte né falsificò i suoi sentimenti. Inoltre, insiste Coyné, Moro figura tra i poeti «mas desesperados de la vida, y a un tiempo los mas exasperados por vivir»'. Proprio in questa idea di purezza ed esasperazione o meglio purezza esasperata si può sintetizzare la poesia di Moro. Nato a Lima nel 1903, occulta il suo vero nome Alfredo Quispez Asln, preferendo quello di César Moro con cui si stabilisce a Parigi tra il 1925 e il 1933. Qui partecipa attivamente al movimento surrealista tanto che ritroviamo la sua firma in Le surréalisme au service de la Révolution, rivista fondata da Breton che si pubblicò dal luglio 1930 al maggio 1933 in sei numeri. Nel frattempo il francese è diventato l'idioma naturale di Moro per esprimere la sua poesia, tanto che le uniche tre brevi collezioni pubblicate in vita sono appunto in questa lingua: Le chateau de Grisou (1943), Lettre d'Amour (1944), Trafalgar Square (1954). L'approccio di Moro al surrealismo diventa per lui un'avventura vitale entusiastica, un'esperienza chiave con cui può dare libero sfogo alla sua grande forza immaginativa. Moro era naturalmente surrealista - afferma Coyné - nel senso più esistenziale del termine. Si diede al surrealismo come a un vizio spirituale, un vizio a cui era, fin dall'inizio, predestinato e a cui aderisce completamente. «Bisogna portare i propri vizi come un mantello reale, senza fretta, come un'aureola che si ignora, che si finge di non percepire» scrive Moro in un poema'. li vizio è per lui passione estrema, energia assoluta, e tale è il suo atteggiamento nei confronti del surrealismo, soprattutto quando ritorna sul continente americano nel 1934. A Lima il surrealismo aveva proprio in quegli anni iniziato a esercitare il suo fascino sui poeti più giovani quali Emilio Adolfo Westphalen, che pubblica nel 1933 il suo primo libro Las insulas extraiias, dove già si può percepire un certo fervore surrealista. Con lui Moro fonda nel 1939 la rivista El Uso de la palabra, che raccoglie gli scritti, oltre che dei due editori, di Augustìn Lazo, Alice Paalen, Rafo Mendez, Juan Luis Velasquez insieme a traduzioni di Éluard e di Breton. Due anni dopo il suo ritorno a Lima, Moro continua l'attività surrealista in patria, organizzando una Mostra di pittura, disegni, collages, dove tre quarti delle opere sono sue. La sua tensione mira a rivalutare l'arte in una nuova accezione più profonda e provocatoria: «L'arte comincia dove termina la tranquillità. Viva l'arte che toglie il sonno, contro l'arte soporifera»'. Si rivede con Breton a Città del Messico, dove risiede nel 19381946, e con lui e Wolfgang Paalen organizza nel 1940 l'Esposizione internazionale del Surrealismo, che Moro stesso prologa, ribadendo la novità, l'importanza, la rivoluzione di questa «parola magica del nuovo secolo: Surrealismo», la cui «granata fantastica illumina, malgrado il fantasma della guerra, la brillante notte precolombiana»'. Nelle composizioni di questo periodo si avverte la passione intensa e la purezza estrema che caratterizzano il suo linguaggio. La poesia che scaturisce dall'amore, inteso come desiderio e ribellione, crea attraverso una fervida fantasia un mondo verbale assoluto. «Tout le drame se passe dans l'oeil et loin du cerveau», scrive Moro nel 1943 in Le chfiteau de Grisou6, traducendo la sua emotività in immagini visive. Il primo poema de La tortuga ecuestre: «Visi6n de pianos apolillados cayendo en ruinas», in cui si celebra lo sfacelo delle apparenze, dà il tono a tutta la raccolta'. Si ribella alla realtà stabilita e ne esplora un'altra più personale fino a giungere quasi sull'orlo della trasgressione verbale. Tutto quel che concerne l'occhio e la sua funzione visiva diventa una ossessione per César Moro che riesce a visualizzare perfino le sensazioni come in «El olor y la mirada», uno dei suoi poemi più luminosi, dove Moro concretizza non una qualsiasi «mirada» bensì «il tuo sguardo di oloturia di balena di selce di pioggia di giornali di/ suicidi umidi gli occhi del tuo sguardo di piede di madrepora»'. Le sue immagini diventano «cristalizaciones del ver» osserva Guillermo Sucre'; pertanto acquistano una certa staticità, un certo immobilismo provocati dal fascino, dal potere magico che racchiudono; come nel poema «A vista perdida», dove l'insistente ripetizione del termine «estupor» suscita una spirale di molteplici visioni che diventa «La sublime interpretaci6n delirante de la realidad»' 0 • P roprio in ~uesta com~~sizione, come m quasi tutti I poemi di Moro, predomina un certo nominalismo delle frasi. I verbi sono scarsissimi. Dopo l'iniziale «No renunciaré jamas» che riapp_are nell'ultimo verso, i sostantivi si susseguono in una serie di elementi autonomi, all'apparenza caotici, ma che in effetti hanno la funzione di intensificare e cristallizzare la realtà meravigliosa di Moro. li suo universo fantastico è poUna strada di terra in mezzo alla terra Il mondo illustrato Uguale alla tua finestra che non esiste polato da elementi tratti dal mondo animale «come uno spettro di cane di famiglia dinastica violenta e salnitrosa, come un alito di elefante su un muro di pietra fine/ nell'impoverimento progressivo e luminoso di una tigre che diventa traslucida», scrive nel poema intitolato «Vari leoni al crepuscolo leccano il gyscio rugoso della tartaruga equestre». G. Sucre ha osservato che quest'insistenza sul mondo animale implica due cose: il recupero dell'istinto e il manifestarsi di una passione totale". Pure la mitizzazione della tartaruga «musical, divina y cretina», «tortuga de primera magnitud», «divina tortuga ecuestre» raggiunge il suo apice nell'atmosfera sontuosa del poema «Libertad- Igualdad». L'ambiguità di questo essere, metà terrestre e metà acquatico, vuole forse accentuare la duplice capacità di Moro di vivere la realtà concreta e quotidiana e anche di trascenderla per aderire a quella surreale. Poesia della passione, dell'amore puro, erotico, ma mai scabroso. I versi riflettono l'intensità dei suoi sentimenti. il desiderio d'amore, più che il ricordo o l'appagamento dei sensi. «Amo l'amore», «Amo la rabbia di perderti/ la tua assenza nel cavallo dei giorni/ la tua ombra e l'idea della tua ombra». La passione, l'erotismo che traspare dai suoi versi non sono solo esperienza di pienezza ma soprattutto di solitudine, di desid.:rio fine a se stesso. Nella solitudine dell'immaginazione verbale Moro intensifica e acuisce i sensi. Vive il rischio CO· me scelta di avventura quotidiana «nei luoghi pericolosi dove non è possibile né salvezza né ritorno», come scrive a Villarutìa nel 1949". Rischio che diventa gioco pericoloso e affascinante. li linguaggio di Moro è spesso pervaso da tensione ironica, da un uso violento e contraddittorio della parodia che riesce a essere provocatorio e ludico .I tempo stesso. Il gioco come piacere verbale, tipica componente dei poeti d'avanguardia, affascina pure Moro che nel «Juego surrealista del Si» André Breton sfoga la sua fantasia creando ipotetiche situazioni di un'assurda originalità: «Se la luce finisse per sempre) Il risveglio ammutolirebbe umiliato./ Se la fiamma e l'acqua si bevessero vicendevolmente./ Il gendarme chiamerebbe i suoi colleghi e scoppierebbe a piangere»". Nella sua piena maturità Moro, sempre fedele al suo istinto di purezza, si stacca da Breton e dal suo gruppo manifestando il proprio dissenso verso coloro che approfittavano del Movimento surrealista solo alla ricerca di una fama immediata. «Cominciò a morire quando tornò a Lima nel 1948», afferma Coyné". «Lima la horrible», come Moro stesso ha datato un testo ludico ormai famoso. «Lima la horrible», definizione ripresa più tardi dal saggista ~ poeta Sebastian Salazar Bondy come titolo di un suo libro di analisi sociale. Solitario, emarginato, circondato solo da pochi amici, muore nel gennaio 1956 lasciando molte opere inedite, apparse più tardi grazie ai critici Julio Ortega, Emilio Westphalen, André Coyné, Guillermo Sucre, che hanno pazientemente raccolto e ordinato i suoi scritti spagnoli e francesi. Maria Bonatti Note (1) M. Vargas Uosa, La cinà e i cani, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 183. (2) A. Coyné, César Moro, Lima, lmprenta Torres Aguirre, 1956. (3) César Moro, La torruga uuestre y otros textos, Monte Avila, Edici6n de Julio Ortega, Caracas, 1976, p. 88. (4) Ibidem, p. 106. (5) Ibidem, p. 108. (6) Ibidem, p. 75. (7) Ibidem, p. 17. (8) Ibidem, p. 18. (9) G. Sucre, La mascara y la transparenda, Monte Avila, p. 400. (10) C. Moro, La Torruga ecuestre y otros tt!JCJOs, cit., p. 20. (11) G. Sucre, op. cit., p. 403. (12) C. Moro, La torruga ecunrre y otros textos, cit., p. 133. (13) Ibidem, p. 50. (14) A. Coyné, .césar Moro: El bilo de Ariadana», in Insula, n. 332-333, luglio-agosto 1974. (15) C. Moro, «Viajc bacia la nochc•, in La torruga ecunrre y otros textos, cii., p. 66. Gli sprazzi di luce attonita che popolano infinite volte la superficie della tua fronte assalita da onde Asfaltata di splendore intessuta di tenera peluria e di lievi orme di fossili di piante delicate Come un'ombra di mano su uno strumento fantasma Uguale alle vene e al percorso intenso del tuo sangue Come un piano a coda di cavallo a strascico di stelle Sopra il firmamento lugubre Pesante di sangue coagulato Ignara del mondo che bagna i tuoi occhi e il volto di verde lava Chi vive! Addormentato appena volgo da lontano al tuo incontro nelle tenebre a passo di sciacallo mostrandoti conchiglie di schiuma di birra e probabili edifici di madreperla infangata Vivere sotto le alghe li sonno nella tormenta sirene come lampi e l'alba incerta una strada di terra in mezzo alla terra e nubi di terra e si erge la tua fronte, come un castello di neve e spegne l'alba e il giorno s'accende e torna la notte e fasci di tuoi capelli s'interpongono e sferzano il volto gelato della notte. Per seminare il mare di luci moribonde E che le piante carnivore non manchino di alimento E crescano occhi sulle spiagge E le selve spettinate gemano come gabbiani Con la stessa uguaglianza con la continuità preziosa che mi assicura idealmente la tua esistenza A una distanza Alla distanza Nonostante la distanza Con la tua fronte e il tuo volto E tutta la tua presenza senza chiudere gli occhi E il paesaggio che sgorga dalla tua presenza quando la cillà non era non poteva essere altro che il riflesso inutile della tua presenza di ecatombe Per bagnare meglio le piume degli uccelli Cade questa pioggia da molto in alto E rinchiude me solitario dentro di te Dentro e lontano da te Come una strada che si perde in un altro continente In un vortice di nubi arcobaleni falangi e pianeti e miriadi di uccelli Il fuoco indelebile avanza I cipressi ardono le tigri le pantere e gli animali nobili diventano incandescenti La cura dell'alba è stata abbandonata E la notte sovrasta la terra desolata La regione dei tesori conserva per sempre il suo nome Messico, aprile 1938 Bib1o cag obiarc

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