Alfabeta - anno V - n. 48 - maggio 1983

i:! "' .<) ;,':, ::s di mediazione non avevano alcuna efficacia. Ricordo solo l'esempio più clamoroso: la cieca ottusità che conduce Lama alla drammatica esperienza del/' Università di Roma, nel '77. Così nasce la famosa teoria delle due società, cosi nasce una spaccatura che dura ancora oggi. lo non vedo, come ·vedono nella loro amarezza gli amici del 7 aprile, una sinistra che manovra la magistratura; vedo però una sinistra che si compiace ingenuamente del fatto che le motivazioni politiche di cui si ammantano le varie sentenze istruttorie via via depositate sui casi in corso utilizzino linguaggi pseudoteorici che si rifanno alla cultura storica del marxismo internazionale e nazionale (allucinanti le riletture di Amato e compagni di Marx, Lenin, Luxemburg, Gramsci in chiave giudiziaria!). Ci si illude che ciò ribadisca la legittimazione della sinistra ufficiale quale unica garante della mediazione politica del conflitto sociale. La verità è, invece, che certi settori della magistratura hanno ottenuto dalla sinistra, al modico prezzo di qualche concessione linguistica, una -legittimazionea sperimentare liberamente nuove forme di regolamentazione del conflitto sociale, forme che sfuggono a qualsiasi controllo politico da parte della sinistra stessa. La magistratura ha istruito il processo alla «banda» del 7 aprileper mettere apunto le regole che dovranno governare una società che usa la guerra per bande come il dispositivo di regolazione più adeguato dei rapporti di forza corporativi. La spregiudicatezza con cui si è fatto uso politico del diritto nel caso 7 aprile, corrisponde alla spregiudicatezza con cui abbiamo visto fare uso politico del diritto nelle vicende della P2, e al clima politico generale in cui viviamo ormai da tempo, caratterizzato dà una regolazione dei rapporti di forza fondata sullo scandalismo dei mezzi di comunicazione di massa, sull'avvertimento mafioso, sulla comunicazione giudiziaria e sull'arresto ridotti a pure forme di intimidazione messe in atto dai vari gruppi di pressione. Mentre la sinistrastorica Lettera di Maria Corti I movimenti politici e i relativi «campi di tensioni» agiscono, e quindi si offrono come oggetto di riflessioni, a due livelli: lo strettamente politico in cui nascono e il culturale su cui si proiettano. Preferisco richiamarmi al secondo: è trascorso un quindicennio dal non dimenticabile_'68, da cui molto nel bene e nel male è venuto poi fuori. Entrato ormai nellastoria, il '68 ha lasciatosegni di sé a volte indelebili negli individui che vi hanno preso parte e sperimentato positivamente come il disordine e un nuovo stato di fatto debbano in alcune circostanze riapparire a spese de/l'ordine. La fiducia utopica nella rivoluzione e la lotta a quello che allora, con vocabolo polisemico e pregnante, si diceva «il sistema» diedero impulso nei primi anni settantaa collane presso l'alta editoria di testi «irregolari», di letteratura «selvaggia» come allora si chiamava, presso Feltrinellie persino Mondadori, testi che si portavano appresso più o meno consciamente le laboriose crisi del '68. La frequente disattenzione a tali prodotti si è proiettata anche più oltre, cioè alla letteratura «alternativa• degli anni '77-79, nata più o meno nell'area di Autonomia e della quale molti ricorderanno la mostra piacentina. Chi scrive qui si è occupata del corpus su Alfabeta n. 5 (settembre /979), mettendo in luce nei vari testi il carattere di rifiuto sociale e di ansia verso una libertà nuova intesa come libesi impegna per ottenere una legittimazione definitiva agestire lo Stato come strumento di mediazione dei rapporti di forza tra le classi, lo Stato si è già trasformato in un'agenzia di intermediazione degli interessi corporativi. Solo se sapremo collocare il caso 7 aprile in questo contesto, mettendolo finalmente in relazione con il processo di radicale trasformazione delle modalità di gestione della lotta politica in Italia, diventerà possibile tentare un bilancio storico dell'esperienza dell'Autonomia che non si riduca, nel migliore dei casi, alla ricostruzione più o meno attendibile di alcuni percorsi politicobiografici, ma sappia coglierne la natura di fenomeno emergente di una nuova modalità dello scontro sociale in Italia. Maurizio Ferraris: I fatti e i contesti Non ho molto da dire. Vorrei solo ricollegarmi, brevemente, a una osservazione che è ricorsa spesso negli interventi di chi mi ha preceduto. Mi riferisco al rilevamento del carattere molto astratto che ha caratterizzato le analisi condotte sul decennio trascorso - non solo in sede processuale (sarebbe più spiegabile), ma anche nei mass-media, nei dibattiti, nella opinione pubblica. I fatti, in quelle analisi, risultano isolati dai loro contesti storici; ci si affida semplicemente ali'esame positivo delle prove, mentre il contorno, l'alone che le circonda, è costituito da slogan letterari o mitologici. Gli anni settanta in Italia si potrebbero considerare (in una prospettiva persino ovvia) come il tentativo di costituzione di un nuovo ceto medio, adattato alle trasformazioni dei costumi, dei modi di produzione, e via dicendo. Un tentativo evidentemente conflittuale, e sotto molti punti di vista fallito. Ma come vengono 'letti' questi anni? Con degli slogan, appunto: 'anni di piombo', il 'militare', il 'potere', il 'pentito' - non è certo solo Negri ad averefatto della letteratura. E certo quell'altra letteratura non è innocua. Si tratta anzi di slogan o di parole d'ordine tanto razione: i protagonisti dei libretti finivano o liberi dall'organizzazione capitalistico-tecnologica o drogati o in carcere. Gli ultimi due esiti si fanno maledettamente presenti anche oggi, il primo mantiene la sua carica utopica o la perde, a seconda delle menti. Il punto di vista dell'alterità, cioè di qualcosa che è trasgressivo e alternativo insieme, collega tutta questa letteratura minore ai movimenti politici della seconda metà degli anni settanta: bisogna quindi fare attenzione a capire bene allorché i meccanismi di una società si ingombrano di molle così indirette. Con gli anni ottanta la produzione alternativaè scomparsa lasciando il posto a rare documentazioni narrative di clandestini: dalla stampa «selvaggia» dei grandi editori nel '70-73 alla produzione alternativa «povera» nel '77-79, alla circolazione dattiloscritta negli anni '8082. Ora tutto tace. Mirabile la corrispondenza con le tappe evolutive della lotta politica. Tace anche, o meglio non dà più prodotti legati in qualche modo a protesta, il rock italiano, nato ufficialmente a Bologna nel '77 ali'epoca ruggente della morte di Francesco Lorusso, di Radio Alice e del «movimento». Proprio al convegno sulla repressione e il dissenso il movimento si spaccò in due, l'ala politica e quella «creativa», nella seconda delle quali si sviluppò il rock con le sue fasi di rifiuto e aderenza ai movimenti politici: cfr. il divario fra Skiantos e Kaos Rock, descritto da chi scrive qui in AlfaB1bliotecaginobianco irrealistici quanto profondamente funzionali: sostituiscono la storia, fanno da contorno allaanalisipositiva dei fatti, li straniano, li decontestualizzano. (Aristotele sosteneva che la tragedia è più istruttiva della storia, perché spiega l'universale e non il particolare; ma si riferiva a una buona letteratura, e non mi pare che il folklore degli anni di piombo, o del militare, o del pentito, abbia grandi qualità letterarie). Qual è lo scopo di tanta astrattezza e letterarietà? Mi pare che consista nel fare apparire i vari fenomeni e attori degli anni settanta, che ora vengono processati, come l'emanazione di un corpo separato, di una minoranza estraneaal Paese e al suo sviluppo. Qualcosa come una minoranza etnica o linguistica, o come una mafia. Si giudicano dall'esterno 'corpi sociali' (in concreto, un gran numero di persone) come se provenissero da un altro pianeta. Con tutti i distinguo del caso, mi viene in mente la vicenda di Martin Heidegger, il quale è stato sospeso dall'insegnamento per vari anni, dopo la guerra, perché per sei mesi aveva aderito al partito nazista, perché aveva pronunciato il discorso di rettorato con toni filonazisti, ecc. È vero che vi sono elementi palesemente 'nazisti' nel pensiero di Heidegger (come nel pensiero di Nietzsche, lo sappiamo), è certo che il nazismo non aveva bisogno di Heidegger, casomai aveva bisogno della Germania. Ma non è questo il punto: il punto è che la sospensione dall'insegnamento è stata voluta da una commissione interalleata; cioè dai vincitori che, estranei alla Germania e alla sua storia, potevano tranquillamente far valere il diritto del più forte. Marco Leva: L'altrove dell'Autonomia 1. Sono d'accordo sul senso di vertigine che dà il caso 7 aprile, come segnale di un crollo e di una svolta reazionaria. Ma ancora prima del 7 aprile (e del 21 dicembre, e degli altri processi intanto avviati o conclusi a Bergamo, Torino, Milano, ·ecc.), contro l'area dell'Autonomia - individuata come nemibeta n. 34 (marzo 1982). È cosa certa che una grande distanza, quasi secolare, ci separa dal bello e fatale '68, come dire solo da un quindicennio di anni fa. Lettera di Pier Aldo Rovatti Il 7 aprile è uno specchioper tante immagini: questa superficie scabrosa rimanda molti volti che non conoscevamo, alcuni dei quali - poiché si tratta di noi - tentiamo di ·non vedere. È giusto dire che resterà un dato rilevante per lo storico di domàni. Vi scorgiamo l'immagine inusitata di un potere sfacciaio che sposta a piacimento la soglia della propria legalitàfacendoci capire che questa soglia è fittizia, del tutto esposta al gioco delle forze, e che le forze in gioco sono anch'esse inabituali per noi: qui, infatti, non è questione di lotta di classe, né di società giusta o di riduzione della complessità, né di gioco del consenso e del dissenso. Lo storico che verrà, dovrà essere capace di dare unità e sembianza a un corpo eterogeneo, costruito con forme e materiali diversi, ali'apparenza mostruoso: quel corpo che risulta anche solo mettendo uno accanto ali'altro tutti gli atti di potere che dal 7 aprile vanno fino al processo e al suo compimento, atti di forzn pura e semplice accompagnati da atti di estrema debolezza, arbitrio e nuove logiche del controllo, dilettantismo e tecniche avanzate, i cui effetti mettono co, e neppure tanto esterno alla classe, - la sinistra istituzionale aveva già aperto insieme allo Stato un'offensiva assai poco «democratica». A Milano, per esempio, precede e prepara in modo spettacolare gli arresti del '79 la vicenda dei giovani compagni fotografati armi in pugno in via De Amicis, e sono foto che servono istericamente a coprire quelle contemporanee di poliziotti romani, apparse in un libro bianco dei radicali. Giorgiana Masi entra in questo modo (assieme ali'agente Custrà) nel limbo popoloso dei morti ammazzati da «ignoti». Questa offensiva della sinistra si ispira alla «teoria del salame» (riprendo e adatto da Negri, Il dominio e il sabotaggio): ogni azione, espressione, manifestazione dell'Autonomia va isolata e distrutta, fetta dopo fetta appunto, sperando di cancellare così quell'area politica dal proprio fianco. Non bisogna dimenticare che tale teoria era allora superata di fatto, nella sinistra, riguardo ali'ex avversario, a cui si proponeva un compromesso da pari a pari, per cogestirela crisipolitica ed economica del Paese. Con gli arresti del 7 aprile interviene una seconda fase: contro l'Autonomia, in fabbrica e fuori, i riformisti si autolegittimano come potere, anche giudiziario (magistrati «politici») e neoistituzionale (sindacato). Si può definirla lafase del «salesulla coda» - riprendo ancora da Negri: la Fenice-Autonomia vola ormai da ogni parte e non sta in nessun luogo. Ecco allora una sinistra dispostissima a credere a imputazioni di fantasia, ad accettare leggi liberticide e una carcerazione preventiva che va oltre ogni limite di decenza, a giustificare le figure inedite dei «pentiti» e dei loro burattinai, a subire ricostruzioni degli anni recenti ispirate a uno schizofrenico quanto improbabile «dietrismo». Tornerò su questi ultimi due punti. 2. La mia generazione è quella che ha «fatto il '68». Oggi, per molti come me che sono restati piuttosto estranei, ali'epoca, al movimento del '77, è sempre più chiaro che il '68 è stato presto in qualche modo recuperato, e - magari rozin scacco ogni ragionevolezza «democratica» e rivestono di arcaicità i tentativi di distinguervi ancora e soltanto le manovre del capitale a danno della classe operaia. Ma non meno inquietante è la deformazione, che il 7 aprile ci rimanda, di un'immagine politica che per almeno un decennio aveva permesso a/l'opposizione di sinistra di riconoscersi,pur tra tanti distinguo e differenze. Nel volto di una generazione di militanti, quelli dell'area dell'Autonomia ma anche di un cerchio assai più largo, così come ora lo trasfigura il 7 aprile, nessuno più riescea riconoscersi: e il processo ha come posta importante, non solo marginale, la riconquista di un'identità, di un'individualità politica, la rettificadei percorsi, la rivendicazione. di un'immagine. Tuttavia questa immagine, anche se potesse essere completamente recuperata e ritrovata - e sarebbe il punto più alto cui Negri e tutti gli altri potrebbero arrivare, - permetterebbe ancora di riconoscersi, sarebbe ancora valida? O sarebbe solo la rettifica sacrosanta di un passato, quando ormai ilpresente non può che avere un a/ero linguaggio e dunque necessariamente un altro volto? Lo specchio del 7 aprile restituisce poi al gran numero di coloro - diciamo gli «intellettuali» - che non hanno cessato di interrogarsi sul potere e sulle lotte, sulla condizione propria e degli altri in questa società, l'immagine generalizzata delto scacco; e dietro questa coloritura ancora accesa, la tinta più grizamente - tradotto in termini «progressivi», mentre il '77 è rimasto un grumo inerte e indigesto: fuori de/- I' area dell'Autonomia non è più patrimonio di nessuno. E quest'area, allora isolata, a mio parere oggi è l'unica che non ha dimenticato il Convegno di Bologna. Tra i brutti fantasmi dell'oggi, l'Autonomia si è perciò dislocata altrove - come prima, più o meno bene di prima, ha conservato la propria estraneità eversiva. Anche rispetto alle accuse che le sono rivolte, resta - non solo politicamente - pulita. Infatti, il processo iniziato a Roma è nei modi del «sale sulla coda», si capisce. Segue obbligatoriamente quello Br (chissà perché? e perché il giudice doveva essere il medesimo?), è stato tempestivamente affiancato da un secondo processo milanese - da qui uno stralcio a Mi/ano degli imputati comuni, giuridicamente legittimo, ma quanto? Un processo che vuole essere l'ingabbiamento e la persecuzione di una generazione, dopo un decennio di lotte generose e dure ma perdenti - proprio perciò è stato possibile, proprio perciò non può essere legittimato. Chiunque allora ha rifiutato Lama ali'Università di Roma (come ha fatto allegramente Balestrini, in una delle Ballate della signorina Richmond), oggi è in aula, dietro le sbarre. Vendetta è fatta. 3. Voglio dire ancora di due fenomeni del caso 7 aprile: i «pentiti» e il «dietrismo». Nella storia della sinistra, i pentiti si incontrano già ai processi staliniani. Sono figure tragiche, lontanissime da questi, prodotto tipico di una congiuntura: la legge sui pentiti. Questa legge, per dirla col Vangelo, non è «fattaper l'uomo», e ne sono nati questi «uomini fatti per la legge». E lo stacco del Paese dalle sue tradizioni cattolico-contadine è ormai avanzato, se può chiamarsi «pentito» chi si pente e non paga (si pente per no,n pagare), ma fa pesantemente pagare questo suo pentimento agli altri. Situazione opposta quella dei «dissociati», e la sinistra non compromessa dovrà offrire loro ogni possibile sostegno - umano, politico, cultugia dell'indifferenza. La rabbia, il disappunto, la reazione a/l'ingiustizia contornano una zona più opaca di disinteresse e silenzio. Visto che si tratta di noi o di chi ci sta molto vicino, la semplice denuncia ha un fondo di capziosità, anche se di nuovo appare sacrosanta. Ma il potere è proprio questa macchina alquanto mostruosa per cui non abbiamo definizioni pronte. E quella generazione di militanti messa sotto accusa in modo assurdo è costrettaa difendere un'immagine che effettivamente è ormai mutata. E l'indifferenza dell'intorno è certo soggezione e impotenza, ma anche effettivo scollamento, distanza e incredulità. Il processo del 7 aprile, con tutte le sue poste in gioco, proprio per ciò appare tragicamente irreale: tragico per il cumulo di ingiustizie che hanno già sotterrato sotto anni di galera una moltitudine di individui per i quali spesso il massimo di imputazione è di non essersi «pentiti». Irreale perché gli anni settanta, con il loro semplificato desiderio di rivoluzione e l'illusione di un potere monolitico e riconoscibile, sono ormai lontani. li distacco da quei modelli è consumato: e /'indifferenza circostante non equivale solo ad apatia, ma è spesso amara riflessione, o anche lavorio personale intorno a una carta da ridisegnare, senza più ottimismi a disposizione e con molti rischi da porre non tra le incognite ma tra i dati conosciuti.

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