zi, intimidazioni, ricaai, ecc., è stato dimostrato poi dalla sua gestione e conduzione. La lunga detenzione preventiva ( è giusto quel che dice Spinella) deriva dal fatto che l'accusa non era chiara, non era esatta nei termini del penale. Deriva da concetti nuovi - secondo me - di giustizia, che non sono degni di una democrazia. Deriva dal sospetto, dalla deduzione arbitraria, da una serie di argomentazioni che sono fuori della norma penale - che deve esseremolto pulita, precisa e concreta, e basarsi sui fatti e sulla prova. E infatti la lunga detenzione preventiva è stata sostenuta da una serie di «rilanci»... A carico degli imputati ci sono indizi, che cadono su tutti senza distinguere le persone. Ora, alcuni reati possono essere stati commessi da tre-quattro, altri anche da trenta o quaranta: ma sono sempre delle selezioni, delle numerazioni, -delle misure che in termini penali vanno assolutamente tenute presenti. Ogni singolo cittadino di questa Repubblica è colpevole ed è punibile per quel che fa. Se lo fa con altri, bisogna provare la sua presenza con altri, non che questapresenza si deduce dal fatto che due una volta hqnno fatto insieme una gita, o si sono incontrati, o si sono scambiati delle lettere, o appartenevano allo stesso gruppo, o allo stesso partito, o avevano qualche idea in comune. Tutto è avvenuto come se la detenzione fosse già l'esecuzione di una sentenza. E infatti l'opinione pubblica - secondo me - ha ricevuto esattamente questo. Non è rimasta indifferente, vo"ei dire a Spinella, ma è rimasta in soggezione rispetto a questa vicenda: l'ha sofferta, l'ha capita e se ne è intimidita. È una lezione che è servita a tutti, pesantemente. Noi stessi qui di Alfabeta, possiamo dire come ci siamo trovati all'inizio del «caso»: le paure, i timori, gli scambi che abbiamo avuto, le intimidazioni che in qualche modo personalmente, e anche in gruppo, ci siamo sentiti arrivare da certe ricerche, da quel che stava avvenendo, da un clima che veniva inserito da questo grande caso. E la sentenza in qualche modo c'è sempre stata, perché è servita a una certa politica. Pensiamo a cos'era l'opposizione ai governi del Paese a/l'inizio o a metà degli anni settanta, e a cosa è stata l'opposizione dopo. La sentenza c'è stata, e ha cessato di esistere ogni spontaneismo sociale, di novità culturale, di novità politica, di opposizione al governo e a un certo tipo di società. Ogni piccolo spontaneismo che dopo si è potuto verificare, in genere è stato presto criminalizzato, isolato, ecc. Le lotte politiche praticamente sono rimaste quelle parlamentari, oppure quelle sindacali, ma anch'esse ricondotte all'interno di una compatibilità di sistema. Non c'era più lo slancio e la possibilità di muoversi al di fuori con un'idea culturale diversa. Questo ha prodotto il caso 7 aprile. La grande gabbia che vediamo alla televisione ha ingabbiato praticamente non solo il 7 aprile ma anche tutta una idea di politica e di cultura nuova, e dà l'idea, in sostanza, di un apparato di guerra civile. Hanno ragione quelli del 7 °' aprile quando dicono: «Toglieteci - queste gabbie»: ~ Tutti e troppi imputati, tutti insieme, e troppe volte insieme per la stessa cosa: questo è un punto che meriterebbe di esserestudiato e magari - ha ragione Spinella - rivisto; ma soprattutto dovrebbero intervenire e vedere anche gruppi di studi, dell'università, istituti giuridici. Perché, in termini penali, la realtà >: e la reitàdi un fatto vanno distinte e ~ precisamente attribuite a ogni sin- -e :g. gola persona. Vedere un processo dove ci sono cento persone insieme dentro una gabbia mette un po' paura, già allarma: è già un processo di regime. Tutto è troppo speciale nella giustizia sul 7 aprile e su tanti altri casi simili; troppo specialeper essere la buona giustizia di una repubblica democratica e parlamentare. Il terrorismo abbattutosi sul nostro Paese da piazza Fontana in poi è per-· fettamente riuscito a diffondere e a istituire terrore. Le istituzioni democratiche si sono fatte risucchiare nel suo perfido giro. I principi e i soggetti non contano più: conta solo il disordine o l'ordine. Machiavelli è ancora il padre del nostro potere statale, certo più degli i/luministi, dei socialisti, dei libera/- democratici, dei cattolici-popolari. Non è tanto il 7 aprile che dobbiamo salvare, mantenendolo nella legalità repubblicana anche con quei reati che potranno essereprovati a suo carico, quanto proprio tale legalità all'interno dell'armonia costituzionale. Ho visto ieri un filmato della Terza rete Rai girato sul carcere femminile di sicurezza che funziona a Voghera. Ciò che se ne vedeva metteva paura. Le detenute vi debbono essere trattate e considerate nemmeno più come animali pericolosi, ma come veri e propri esseri alieni e nocivi, per specie, come virus o come materiali radioattivi. Il processo 7 aprile deve essere la fine di tutti gli strumenti, i mezzi, i provvedimenti, gli organi, leprocedure, i termini che si dicono speciali e che sono stati istituiti contro la Costituzione. Ogni temporaneità e deroga deve cessare. La nostra Repubblica popolare antifascista si comporta straordinariamente, specialmente, temporaneamente come una dura tirannide politica, e corre il rischiodi abituarsi con cattivacoscienza e con gusto a queste indulgenze tranquillanti e stupefacenti. I Umberto Eco: . La saggezza delle democrazie Per quattro anni abbiamo chiesto che si facesse il processo e abbiamo affermato - come sottolineava in particolare Spinella - che non era lecito tenere in galera dei cittadini in attesa di giudizio. Ora che il processo è iniziato, in teoria si dovrebbe tacereperché, se il processo avviene su dei fatti, bisogna attendere che questi fatti vengano provati. Ma il processo coinvolge atteggiamenti, errori, speranze, ingenuità, fiducie, che sono state di masse molto più vaste di cittadini, dal '68 in poi. Quindi si tratta ora di discutere non come se si dovessero dare istruzioni ai giudici - che devono fare il loro mestiere, - ma come se, improvvisamente, ci trovassimo a essere noi giudici di un processo analogo. E allora vanno ricordate alcune cose. C'è una legge non scritta, ovvero una saggezza segreta delle democrazie liberali, che abbiamo visto in atto dai tempi de/l'habeas corpus ai giorni nostri, e che si compone di tre principi fondamentali: 1. chiunque può parlare di rivoluzione e di sovvertimento del/'ordine democratico per instaurare un nuovo ordine. Si può anche definirla «tolleranza repressiva», ma è statofondamentale per le democrazie permettere agli altri di parlare anche contro le democrazie, e di stabilireprogrammi generali e talora anche particolari di rivoluzione; 2. non sono tuttavia consentite azioni di gue"a effettiva contro le istituzioni; quando avvengono azioni di gue"a effettiva (attacco di una caserma, uccisione di un pubblico funzionario, ecc.), le democrazie si spostano dall'ambito della fdosofia politica a quello del codice penale e intervengono; 3. sono tuttavia consentiteprove ridotte di simulazione di guerra B"6 10 ecag i ob1anco contro le istituzioni, purché statisticamente abbiano una partecipazione che si possa definire di massa e una tolleranza sufficiente da parte di una porzione dell'opinione pubblica. Per questo le democrazie hanno consentito il moto di piazza, le pietre tirate contro i vetri, la bagarre, la guerriglia urbana, da alcune centinaia di anni, e questo appuntofinché c'era una parte dell'opinione pubblica che vedeva queste cose, se non con indulgenza, almeno con interesse, e come storicamente giustificabili. Ritorniamo ora sui tre punti per vedere che problemi pongono nell'ambito della nostra discussione. Si può parlare di rivoluzione. Perciò non si possono fare processi che penalizzino tutti gli assertinon solo teorici ma anche pratici sulla rivoluzione. Su questi si possono pronunciare solo giudizi politici, giudizi morali. Si può dire: il tipo di rivoluzione di cui tu parli non mi piace, o non ottiene il mio consenso. Si possono pronunciare giudizi politico-morali, come in parte ne ha pronunciati Leonetti, nel senso che non solo ognuno può scrivere di rivoluzione, ma nemmeno è responsabile del modo in cui altri può leggere o interpretare i suoi scritti. Io posso fare uno scritto sulla libertà sessuale e non sono responsabile del fatto che un fanatico lo interpreti nel senso che lui poi va a sodomizzare dei ragazzini indi/es i. Però - e questo è il giudizio morale - si può rimproverare a ciascuno di non aver reagito alle cattive letture che sono state date dei propri scritti. E questo, vorrei dire, vale per il politico come valeper il critico, che può elaborare una teoria estetica e non è responsabile delle cattive conseguenze che un pittore o un drammaturgo possono trarne; ma se, dopo queste conseguenze, non riscriveper correggerela cattiva interpretazione che è stata data dei suoi scritti, è in fondo moralmente e culturalmente responsabile. Per quanto riguarda il primo punto - «si possono esprimere opinioni rivoluzionarie» - non si può andare al di là di questo, della polemica politica, morale, culturale; non vi è materia di giudizio penale. Veniamo al secondo punto: le democrazie non consentono, e puniscono, azioni di guerra effettiva contro le istituzioni. Su questo non possiamo dire nulla: si deve attendere il processo per vedere se dei fatti sono stati commessi. Terzo punto: le democrazie hanno sempre consentito simulazioni di azioni rivoluzionarie. Qui I'opinione pubblica non riescepiù a dominare il fascino delle parole e a riportarle alla normalità dei fatti. In questi giorni sono stati arrestati da~'autorità giudiziaria degli amministratori di Torino. Non so se abbiano commesso o meno ciò di cui li si accusa, né mi interessa: questo riguarda l'autorità giudiziaria. Ma sui giornali si dice che non solo sono andati in viaggio a spese del denaro pubblico, ma che, quando erano a New York, alla sera andavano a vedere lo spogliarello. Si dimentica che a qualsiasi cittadino normale che si trovi a New York per turismo, con la modica spesa di 10.000 lire e non sapendo cosa fare alla sera, può capitare di assisterea uno spettacolo originale. Quegli stessi lettori che avrebbero, o hanno, fatto queste cose, nel momento in cui le leggono sul giornale intravvedono ne~'amministratore accusato un mostro di perversione. Esiste una iru:apacild a riconoscere, dietro la formulazione che, ne viene data, atti che in certe circostanze sono del tutto normali. Ci ricordiamo tutti, nel processo Braibanti, quali toni oscuri e tremendi abbia assunto il fatto che egli allevava formiche, tanto da usarlo per gettare un'ombra di gravissimo sospetto su questo personaggio. lo credo che nel giudicare, non solo del processo 7 aprile, ma di tanti casi che magari non saranno oggetto di giudizio penale, si debba stare molto attenti a fare delle scansioni storiche. Non c'è un atto, un fatto e, a maggior ragione, una parola che avvenuti nel '67 o nel '77 abbiano lo stesso valore. Intuitivamente sappiamo che nel 1970qualcuno poteva dire in un momento di rabbia, durante una discussione politica: «Per me a Moro bisognerebbe sparargli subito», e che questa espressionepoteva rappresentare semplicemente una figura retorica; ma è ovvio che la stessa frase pronunciata il giorno dopo il rapimento di Moro dev'essere valutata in un altro modo. Mi viene in mente che nell'istruttoria concernente Balestrini c'era una deposizione, non ricordo se di Fioroni, che diceva: «Nel 1969 fummo a Roma e tele/onammo a Balestrini per sapere dove potevamo trovare Feltrinelli». Letto oggi, un fatto del genere si colora di sospetto, dimenticando che nel '69 Feltrinelli non era entrato in clandestinità, Balestrini era uno stipendiato della casa editrice Feltrinellie che se qualcuno avesse telefonato a me o a un redattore de/l'Osservatore Romano a quell'epoca, avrebbe ottenuto senza problemi informazioni su come trovare Feltrinelli. Il fatto è minimo, ma il modo in cui i giornali lo riportano e il lettore lo leggeproduce immediatamente delle connotazioni a catena. Ecco perché nel giudicare parole e fatti occorre sapere quando sono stati compiuti. Non saremo ora così ipocriti da dimenticare che nel '68 sono state fatte delle cose che, praticate oggi, sarebbero altamente illegali: è illegale l'occupazione di suolo pubblico o di una università. Quella che chiamavo la saggezza delle democrazie permetteva, dato che c'era un certo movimento di massa, un'indulgenza curiosa, un'indulgenza che andava dal Corriere della Sera a giornali cosiddetti indipendenti di altro genere. C'era un atteggiamento de~'opinione pubblica per cui queste cose erano sentite come vagamente accettabili. Sono entrate in suolo pubblico occupato (a discutere in assemblea con gli occupanti) persone che non condividevano le idee degli occupanti, e che oggi giudicherebbero illegale compiere un atto del genere. Certe frasi e certe azioni erano possibili nel '68 grazie a un clima che le rendeva molto diverse da quelle che sarebbero oggi. Certo, un uomo ucciso nel '68 vale un uomo ucciso nel '78 o nel/'88 (anche se il codice penale distingue fra un uomo ucciso in una rissa e un uomo ucciso premeditatamente e a freddo), ma io non sto parlando di fatti duri, sto parlando di mezzi fatti, come possono essere stati un'affermazione pubblica o lapartecipazione a una riunione. Io spero che nel corso di questo processo - come nel corso di qualsiasi processopenale o culturale si faccia in futuro, - si stia molto attenti a distinguere un gesto o una parola f atti o detti nel '68, nel '69, nel '70, nel '71 e così via, perché queste differenze storiche, la scansione di anno in anno, in un decennio caldo e ricco di avvenimenti e mutamenti di rotta come quello che abbiamo vissuto hanno un valore enorme. Og~ gi siamo abituati a sentire citare nei resoconti della stampa affermazioni, atti, partecipazioni a riunioni, avvenuti in anni diversi, come se tutto fosse avvenuto ieri. Credo che questo sia un problema molto importante per discriminare tra le posizioni di variepersone, e anche tra le posizioni di una stessa persona, per quanto riguarda in particolare le parole e i mezzi fatti. Quanto ai fatti duri non possiamo ~he rimetterci alla dialetticadella prova e del giudizio. Gianni Sassi: Una intensa radicalità critica 1 compagni del 7 aprile. Perché compagni? Forseperché si tratta di persone che, assieme a molti altri, hanno vissuto nel grande crogiuo/o che, dal '68 in poi, ha fermentato la situazione politica, sociale e culturale italiana. Devo dire che, nel/'area politica e teorica che oggi viene identificata col 7 aprile, io riconoscevo una grande frescheiza, una intensa radicalitàcritica, malgrado le forti differenze rispetto al mio modo di pensare la politica. È una freschezza culturale ed elaborativa che caratterizza i momenti storici importanti. Questa valutazione personale mi ha spinto a condividere, attraverso contrasti anche drammatici, un lavoro culturale. Verso la metà degli anni settanta, ero particolarmente attivo nel settore musicale e posso dire che il confronto con l'area di movimento proveniente dall'esperienza di Potere operaio è stato di grande stimolo per me, per gli artisti e gli intellettuali che con me collaboravano. Se questo era dunque il mio rapporto con un'area di movimento, questo era anche il rapporto con alcunefigure intellettuali, poi identificate dalla magistratura con il 7 aprile. Da un lato un intenso scambio di idee, dall'altro forti tensioni pratiche, culturali e politiche. Il '77 ha rappresentato un apparente successo di quest'area politica, ma lo slogan della «creatività al potere» ha anche fatto esplodere contraddizioni e infantilismi, in una specie di orgasmo poi degradato in delusioni e impotenze, che hanno messo a nudo la pericolosità delle ambigue teorizzazioni della «violenza diffusa». Si avvia così la schizofrenia fra una sinistra ufficiale avviata al compromesso storico e il rifiuto di massa di una generazione verso la politica, ormai guardata alla stregua di una gestione burocratica del potere. Le conseguenze di questa schizofrenia restano insana/e e ce le portiamo dietro come una eredità in negativo che ha già incrinato l'idea stessa di «sinistra». Un discorso a sé, naturalmente, meriterebbe in questo quadro il ruolo svolto dai gruppi terroristici come le Brigate rosse, che hanno ben pochi denominatori comuni con il movimento sviluppatosi attorno al '77. Come comunista, ho provato meraviglia e imbarazzo verificando che la sinistra storica e, più in generale, l'opinione pubblica di sinistra si schieravano a favo re della pura cancellazione di un intero settore di idee e dell'intera esperienza di diverse generazioni. Emergeva la tendenza a «normalizzare» la situazione sociale con ogni mezzo, il fastidio e la difficoltà di continuare i rapporti con un'area politica intemperante, le cui ambiguità non potevano però essere addossate solo al «movimento», ma erano dovute anche alle dimissioni di responsabilità della sinistra storica nel distinguere fra protesta, lotta armata e uso strumentale del terrorismo a fini di controllo sociale. . Schierandosi contro questi fermenti, la sinistra ne determinava automaticamente la criminalizzazione. La situazione si è così ulteriormente aggravata, con la schizofrenia di cui ho detto. E qui c'è da osservare anche la passività di una grossaparte degli intellettuali,poco consapevoli delle insidie che I'«operazione riflusso» comportava e comporterà per l'autonomia della cultura. Non scendo nel merito de/l'atteggiamento della magistratura, la quale ritiene che siano stati commessi reati; per me, resta fonda-
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