Saul Kripke Nmae~ Torino, Boringhieri, 1982 pp. 162, lire 20.000 Hilary Putnam Verità e dica Milano, Il Saggiatore, 1982 pp. 165, lire 18.~ PossibiliJà/Neassilà in F.n-1LPpellla, voi. X, pp. 976-95 Torino, Einaudi, 1980 Referenza/Verità in F'.adclopedla, voi. XI, pp. 726-41 T9rino, Einaudi, 1980 "'Poeopblcal Papers vol. II: Mùul,.1.Anguage and Reality Cambridge University Press, 1975 I J atteggiamento dominante nella I. filosofia del linguaggio è stato, l in parte è tuttora, quello che ha preso le mosse dall'opera di Frege e, anoor più, di Russell; solo dall'inizio degli anni settanta alcuni filosofi, in particolare Saul A. Kripke e Hilary Putnam, hanno affrontato i problemi classicida punti di vista radicalmente di~ersi, giungendo da un lato alla rivalutazione di concetti della filosofia tradizionale, dall'altro a un netto rifiuto delle posizioni che stanno alla base del pensiero di Russell come di Wrttgenstein, di Frege come di Carnap. Ma, per comprendere meglio l'importanza delle critiche cui, da origini diverse, sono giunti pressocM contemporaneamente Kripk:e, Putnam, Kaplan e altri, convenà riassumere i punti fondamentali della visione russelliana del linguaggio, e in particolare dei nomi propri, cosi come è sintetiz7.atadallo stesso Putnam (cfr. Referenza!Verilà). Per Putnam la teoria di Russellpuò essere ricondotta a tre asL'assunto fondamentale di Nome e necessità è che non ha senso voler trattare i nomi propri come espressioni linguistiche significanti: essi non hanno significalo, ma solo riferimenlo (rispettivamente connotazione e denotazione in termini milliani). e ome Kripk:e stesso osserva, le idee centrali difese nel testo gli sono servite per uscire da un triangolo di tesi filosofiche le quali, prese singolarmente, sembrano tutte inoppugnabili, ma si contraddicono in modo che la verità di due di esse implica la falsità della terza. La prima tesi è una diretta conseguenza del principio di indiscernibilità degli identici, vale a dire del principio per cui due oggetti identici hanno esattamente le stesse proprietà. Essa afferma che se due oggetti sono identici lo sono necessariamente: non esistono coppie di oggetti «contingentemente identici». Questa affen,nazione sembra estremamente naturale, e - anche se è stata messa in dubbio in varie occasioni nel corso del dibattito filosofico- il grande sviluppodella logica modale nei primi anni sessanta, di cui Kripke è stato uno degli artefici, ha permesso di dimostrarne la verità in modo definitivo. L'enunciazione della seconda tesi serzioni: comporta l'uso di un termine tecnico, 1. Vi sono due tipi di termini: pri- quello di «designatore rigido». In bremitivi e definiti. ve, un designatore rigido è un'espres2. I termini definiti sono sinonimidi sione che si riferisce sempre allo stesdescrizioni definite (per esempio: so oggetto, in qualsiasi situazione pre- «Walter Scott» è sinonimo di «l'auto- sente Ò passata, reale o controfattuare di Waver/ey»),ovverodiespressioni le, laddove un designatore non rigido riconducibili alla forma: «Quell'unico cambia il proprio riferimento secondo x tale che P (x)», dove P è una pro- la situazione (ad esempio, «il presiprietà. dente degli Stati Uniti,. oggi si riferi3. I termini primitivi sono quelli del sce a Ronald Reagan, ma in passato si cui riferimento abbiamo esperienza è riferito, e presumibilmente in futuro diretta. Russell li chiamò «nomi logi- si riferirà, ad altre persone). Ora. camente propri», e ritenne che si po- questa seconda tesi dice che i nomi tesse eliminare qualsiasi termine defi- propri sono designatori rigidi. Ciò nito a favore di descrizionicontenenti può sembrare ovvio, eppure delle tre solo nomi logicamente propri. tesi proprio questa è stata sacrificata Da un altro punto di vista quanto con più frequenza. sopra esposto si può riformulare come L'ultima tesi sostiene che esistono segue, dando vita a una teoria della enunciati di identità la cui verità è un verità come corrispondenza: fatto contingente; e vedremo quale 1. Un'asserzione corrisponde a uno doppia rivoluzione comporti la scelta stato di cose, ed è vera se, e solo se, si di Kripke di contestare questa posidà il corrispondente stato di cose (per zione. usare un celebre esempio di Tarsk:i, In difesa della seconda tesi Kripke «La neve è bianca» è vero se e solo se inizia col discutere una teoria descritla neve è bianca). tivista del riferimento quale si può 2. Comprendere un'asserzione si- trovare ad esempio negli scritti di J .R. gnifica sapere come sarebbe il mondo Searle - teoria senz'altro più sofisticase quell'asserzione fosse vera. ta e soddisfacente di quella russellia3. Ciò che rende possibile la corri- na, ma che ne condivide lo spirito e, spondenza tra asserzioni e stati di co- secondo il nostro autore, l'errore di se è il fatto che abbiamo un qualche fondo: quello di ritenere che i nomi accesso immediato al riferimento dei propri abbiano, come altre espressiotermini primitivi. ni del linguaggio, non solo un riferiva sottolineato che questo è uno mento ma anche un significato, dato schema concettuale nel cui àmbito, da una o più descrizioni definite. oltre a Russell, si sono mossi di fatto Non interessa qui più di tanto che tutti i filosofi del linguaggio, almeno cosa Kripke proponga in alternativa fino agli anni sessanta: ad esempio, la alle posizioni che critica, considerato teoria della verità sopra enunciata si anche che egli si limita a presentare trova, molto più esplicitamente che una «immaginepiù soddisfacente,.del nei lavori di Russell, nel Tractatus funzionamento dei nomi propri. Ba- °' wittgensteiniano. sterà dire che egli ritiene necessario ';; Dalla formulazione di Russell si distinguere tra il modo in cui si fissa il .5 giunse, a partire dalle Ricerche filoso- riferimento di un nome proprio (una ~ fiche di Wittgenstein, a una posizione volta per tutte, mediante un «battesi- ~ più articolata secondo la quale il signi- mo iniziale,. che dà, eventualmente ~ ficato di un nome proprio è detemii- per mezzo di descrizioni definite, il f nato da un duster (un «agglomerato,.) nome a un oggetto), e il modo in cui -<> di descrizioni definite, e non già da se ne dà il significato, di volta in volta, j una sola di esse. nell'uso comune (non già utilizzando ~ Kripk:e, al contrario, non si propo- le descrizioni definite «sinonime,.,ma ~ ne un miglioramento delle posizioni richiamandosi a una catena causale ,i descrittiviste, ma le abbandona a fa- che collega ogni uso del nome a usi ~ vore di una concezione radicalmente precedenti, fino a risalire al battesimo -,g diversa, che si rifà piuttosto, mutatis iniziale); ed è questa distinzione l'~- B ib1io te èeoaegdi1 nso bia ncoù rivoluzionario dell'analisi k:ripkeanadei nomi propri. A questo punto Kripke ha fatto piò di quanto gli servisse per salvare la tesi della rigidità dei nomi: sarebbe stato sufficiente rifiutare l'equivalenza tra nomi propri e descrizionidefinite nel dare il significato, attestandosi su posizioni meno clamorose e più facilmente difendibili. Ma, compiuto il primo passo, il secondo segue naturalmente dall'avversione di Kripke per qualsiasi descrizione che voglia porsi come criterio qualitativo di individuazione di oggetti che già ci sono dati direttamente, e che non abbiamo perciò bisogno di descrivere. S e, come Kripke può ritenere d'aver dimostrato, i nomi propri sono designatori rigidi, e, come la logicamodale conferma, non ha senso parlare di oggetti contingentemente identici, segue direttamente - come accennavaino- che non possono darsi enunciati di identità, contenenti nomi propri, la cui verità sia contingente. oro o per essere un limone. A stabili0 re ciò che il termine 'oro' denota (l'estensione di 'oro 1) «concorre la natura , ' /. 1teale dei paradigmi e non semplicemente i concetti nella nostra testa» (Referenza/Verità, p. 730). I paradigmi, come li intende Putnam, sono «esempi standard» c,hevengonp eletti cosl sorprendente. Citiamo l'esempio più controverso, quello del «metro campione». Polemizzando con il Wittgenste'indelle Ricerclre·filosofie/re, Kripke considera l'enunciato «S è lunga un·metro», dove S è un nome della sbarra depositata a Parigi come metro campione, e afferma che, da un lato, ne conosciamo a priori la verità, dal momento che è una questione puramente convenzionale di definizione («dico 'un metro' la lunghezza di quella sbarra,.), mentre, dall'altro, è un fatto contingente che S abbia la lunghezza che ha, in quanto qualsiasi accidente, anche una semplicevariazione di temperatura, ne avrebbe potuto modificare la lunghezza. L'argomento sembra corretto, e si ha l'impressione che, le cose stiano proprio cosi. Eppure si può sostenere che Kripke cambi a un certo punto l'oggetto della propria analisi, ed esamini quindi in realtà due diversi enunciati: l'uno, relativo a Sin quanto mea modelli della specie - limo iii reali, esemplari di gatti, campioni di oro: oggetti, dunque, e non concetti o definizioni o, ancora, criteri di individuazione. I paradigmi stessi, per cosi dire, fungono da modelli l'uno dell'al- . tro, e, se un pezzo di pirite è stato incluso tra i campioni di oro, esso decadrà da «esempio standard» non appena l'analisi metterà in luce la discrepanza tra la sua natura e quella degli altri campioni. • • Come essere Aristotele non significa per Kripke' essere il maestro di Alessandro Magno, bensi essere ·quelrovulo fecondato da quello spermatozoo, cosl per Putnam essere oro o essere un limone non significa essere giallo e duttile o di sapore agro e di buccia spessa, bensl avere la stessa natura dei paradigmi reali di oro o di limone. Riprendono vita, cosl, concetti ve- • nerabili come «essenza», «natura", «necessità (metafisica)» mai, ovviamente, abbandonati dai filosofi, ma raramente assunti in un'accezione cosl prossima a quella aristotelica; e l'apparato leibniziano dei «mondi possibili,. rivendica, nell'esplicazione formale che ne ha fornito lo stesso Kripke, la propria potenza gnoseologica. Inoltre, sempre nell'àmbito della cosiddetta «nuova teoria del riferimento», approfondire una distinzione tra «specie naturali» da una parte e «artefatti» dall'altra può condurre alla rivalutazione di una ulteriore nozione aristotelica, quella di «sostanza», come nell'opera di David Wiggins. Di notevole interesse, non solo semantico-filosofico, è l'evoluzione di certi aspetti del pensiero putnamiano che concernono, più in generale·, la filosofia della scienza. Carta serio-comica di guerrll di Frt·derick Rmw f/H77) Il realismo di Putnam è venuto progressivamente raffinandosi in ciò che egli chiama realismo interno, una posizione filosofica, cioè, profondamente alternativa rispetto al modello realista metafisico ( cfr. Realismo e ragione, in Verità e etica). li realismo, in questa seconda accezione, pretende di essere un modello «della relazione di qualsiasi teoria corretta con tutto o una parte de il mondo»» (pp. 141-42). Ma proprio in questa pretesa globalizMa gli enunciati di identità, come «Zico è Artur Antunes Coimbra», «L'Everest e il Gaurisanker sono la stessa montagna», e cosi via, hanno indiscutibilmente un valore conoscitivo: sono, in una terminologia consolidata da secoli,conoscenze a posteriori. Ora, tradizionalmente le coppie «necessario/a priori,. e «contingente/a posteriori» sono state considerate indissolubili, e sembra difficilesostenere il contrario: se «necessario»significa «vero in tutti i mondi possibili»e «a priori» significa «indipendentemente da come è fatto il mondo», come non identificare le due nozioni? È chiaro che, laddove la necessità è nozione metafisica, l'apriorità è invece epistes mica; l'una riguarda il mondo, l'altra la nostra conoscenza del mondo. Ma noi possiamo sapere una cosa indipendentemente dall'esperienza, dal mondo, solo se essa è vera comunque sia fatto il mondo, o almeno cosi sembra. Kripke al contrario, pur riconoscendo a enunciati come «Zico è Artur Antunes Coimbra» lo,statuto epistemico di conoscenze a posteriori, nega che da ciò segua la loro contingenza, e afferma che possono darsi verità necessarie conoscibilisolo a posteriori (come appunto sarebbero gli enunciati di identità) e anche verità contingenti conoscibili a priori. La sua argomentazione è senz'altro interessante, e ricca di esempi discussi in dettaglio; ma parecchi di questi sembrano affetti da un'ambiguità nell'uso di un termine chiave, e non riescono a dare l'adeguato sostegno a una tesi tro campione, necessario e a priori; l'altro, relativo a S in quanto quella sbarra, contingente e a posteriori. Ciò si vede ancor meglio se si considera che un'argomentazione analoga ma opposta a quella di Kripke, tesa a mostrare che l'enunciato in questione è necessario a posteriori, sarebbe prima facie altrettanto sostenibile. È ovvio che, mentre accettare l'esempio proposto da Kripke significherebbe dargli ragione, col rifiutarlo non si dimostra affatto che egli abbia torto; e il dibattito sulla correttezza delle sue posizioni rimane aperto anche se si confutano tutti gli esempi da lui citati - impresa, per altro, piuttosto impegnativa. L a tesi kripkeana che i nomi propri non siano sinonimi di descrizioni definite trova il proprio complemento nelle posizioni filosofiche as- • sunte da Putnam riguardo ai termini di sostanza e di specie naturale (cfr. ad esempio, The Meaning of 'Meaning', in Philosophical Papers, voi. Il). Entrambi gli autori concordano esplicitamente nel ritenere conver- •genti le proprie tesi, almeno su alcuni aspetti importanti. Le idee di Putnam sui problemi filosoficidel significatoe del riferimento sono riassunte nello slogan «I significati non sono nella testa». Ciò significa che per le sostanze e per le specie naturali, ad esempio l'oro e i limoni, non è possibile fornire definizioni analitiche, ovvero non si può stabilire a priori quali e quante condizioni qualcosa debba soddisfare per essere zante va ricercata l'incoerenza del modello: esso infatti deve 1) trascendere le teorie particolari di cui è modello, e 2) assumere che il mondo sia indipendente da ciascuna teoria che lo rappresenti. Da ciò consegue che potremmo non essere in grado di fornire alcuna immagine corretta del mondo stesso. «È questa una versione moderna dell'ipotesi cartesiana secondo cui potremmo essere menti senza corpo sistematicamente ingannate da un demone con poteri magici» (p. 143), osserva Putnam. Il realismo interno, a differenza di quello metafisico, «non afferma che è il linguaggio a rispecchiare il mondo, bensl che siano i parlanti a rispecchiarlo» (p. 141)- afferma cioè che all'interno delle nostre rappresentazioni simbolichedel mondo esistono verità a priori, ma si tratta di apriorità contestuale, relativa alla teoria. Come abbiamo visto, Putnam rifiuta la teoria della verità come corrispondenza; ma rifiuta allo stesso modo l'idea che un enunciato sia vero se la sua asserzione è giustificata e se le condizioni per tale giustificazione sono fissate stabilmente in modo ricorsivo: infatti non è legittimo ritenere che queste condizioni permangano immutate nell'evolversi del «corpo totale delle nostre conoscenze,. (Putnam è, qui come altrove, preciso nel riconoscere i propri debiti nei confronti di Quine). «Esattamente come la natura oggettiva dell'ambiente contribuisce a stabilire il riferimento dei termini, cosl essa contribuisce anche a fissare le condizioni oggettive di verità di un enunciato» (Referenza/Verità, p. 740).
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