to iniziazione a un segreto o a una pratica segreta. In questo caso il sapere gioca un ruolo evidente, ma più spesso non c'è alcuna informazione, alcun segreto da svelare (l'iniziato può già conoscere benissimo il «segreto») e la pratica di iniziazione funziona allora come riconoscimento o accettazione da parte degli altri dell'avvenuta inclusione al gruppo del neofita (o di'un suo diverso ruolo all'interno del gruppo). L'inclusione è inclusione alle pratiche, ai giochi: al gioco delle regole del gruppo. Nel bimbo che interroga l'etnologo con l'indovinello ambiguo dalle due risposte possibili, cambiando risposta ogni qualvolta lo ripropone cosl da porre sempre l'etnologo come colui che fornisce la risposta sbagliata, come chi non sa, c'è per eccellenza il gioco linguistico dell'esclusione e della messa in evidenza dello straniero rispetto al gruppo. Ma non c'è alcun sapere da «sapere», l'indovinello diventa pura pratica di esclusione, messa in evidenza del «noi·» (zona contrattuale dell'«io-tu») e del «non-noi» (la non-persona di Benveniste, «egli» o «loro»). 11privato, in quanto spazio esoterico in opposizione a uno spazio pubblico essoterico, è spazio di esclusione di qualcuno da un sapere: dal segreto su un sapere (proposizione), dal segreto su una pratica (percezione). Posso raccontarti «confidenzialmente» con chi o come ho fatto l'amore, ma non necessariamente avrei voluto che tu lo vedessi: se per occultare Qna proposizione basta tacere, per neutralizzare una percezione si impone la necessità di luoghi che si facciano custodi di queste pratiche. Di questo individuale-privato o di questo collettivo-privato? Il semiologo francese Eric Landowski, in uno dei «documents de recherche,. del Groupe de Recherches sémio-linguistiques, ha già tentato una combinatoria delle coppie individuale/collettivo e privato/pubblico, anche se con qualche incertezza nel dare poi altrettante definizioni alle denominazioni ottenute. La rottura delle coppie privato/pubblico e individuale/collettivo porterebbe cosl a quattro nuove depominazioni: individua/e-privato, individuale-pubblico, collettivo-privato e collettivo-pubblico. D'altra parte uno studioso come Habermas, nel suo Cultura e critica, a proposito del concetto di competenza nel ruolo propone uno schema elementare dove diagramma le relazioni (di appartenenza e di non-appartenenza) del singolo col gruppo proprio e col gruppo estraneo. L'imbarazzo di Landowski può risolversi se si prova a opporre tra loro queste coppie sul triangolo di Habermento dell'identità di gruppo; lo stesso stupido che invece viene difeso quando è molestato dal gruppo estraneo). Così, nella relazione io/gruppo proGrwppoproprio---------------------Gruppo _....., Collettivo-priva10/collettivo-pubblico Noi Tu mas, così da ottenere una sorta di opposizione ternaria in cui le denominazioni prendono senso in quanto opposte in un certo lato del triangolo che ha per vertici l'«io», il «gruppo proprio» e il «gruppo estraneo». Q ualche delucidazione sul funzionamento del triangolo. Tre sono le relazioni possibili: io/gruppo proprio, gruppo proprio/gruppo estraneo, e io/gruppo estraneo. Anche se Habermas non sembraporre alcuna relazione tra gruppo proprio e gruppo estraneo, poiché egli è interessato alla sola relazione di appartenenza,ponendo il pronome «noi» accanto al gruppo proprio in verità sta definendolo in opposizione al gruppo estraneo, «loro,.. L'idea è che l'identità singola («io») o di gruppo («noi») si colga proprio dal riconoscimento di un'alterità ( «io,. in opposizione a «tu,. o «voi,., «noi,. in opposizione a «egli,. o «loro»); ed è la vecchia idea della semiotica- che c'è significazione soltanto se si dà òpposizione, altrimenti è l'indistinto, il continuum, l'informe. L'opposizione è per differenza (da qui la necessità del «diverso,. per sentirsi «identico,.: l'esistenza dello «stupido del gruppo» per esempio, del piccolo emarginato, «egli», che in assenza del gruppo estraneo permette il mantenilo Egli Loro Loro Egli prio, si coglie ancora una identità e una alterità: il «noi» come identità è la sfera del contratto, della confidenza fatta, del sapere o della pratica comune (collettivo-pubblico); l'«io,./ «tu» o «voi» (individuale-privato/individuale-pubblico) è la rona conflittuale o di proposizione del contratto, comunque di riconoscimento da parte del singolo di un certo gruppo in cui volersi affermare, in cui dire «io». Mentre nell'ultima relazione, cioè in quella tra «io,. e gruppo estraneo, siamo di fronte a un individuale-privato che si scontra con un collettivopubblico - una sorta di assenza di relazioni, il collettivo-pubblico e l'altro per eccellenza: non si dà identità alcuna. Vale a dire che, se il gruppo proprio si può vivere sia come identità in opposizione a un «altro» che è il gruppo estraneo, sia come alterità in quanto l'«altro» con cui tento di affermare la mia soggettività (il conflitto a partire dal contratto), il gruppo estraneo è l'«altro» e nella relazione gruppo proprio/gruppo estraneo, e in quella io/ gruppo estraneo: una teoria dell'esule o dello straniero potrebbe prendere piede da quest'ultima considerazione. Ma una teoria dello straniero cosl come una teoria dell'esule (cfr. Omar Calabrese, in Alfabeto n. 29) nascono in fondo dal riconoscimento di gruppi Bibliotecag1nob1anco stabili di appartenenza. Nella dire.zione presa dalle società industriali ad alta velocità di comunicazione, di interscambio di beni, di informazioni, di «persone», questa relazione di appartenenza viene sminuita, annullata; non a caso gli ultimi esuli appartengono a società piuttosto chiuse, capaci di garantire ancora una forte identità di gruppo. Come giustamente osservava Habermas, «la relazione di appartenenza/non-appartenenza non ha più valore: in un certo senso tutti gli altri possono essere considerati come membri dell'astratta comunità di tutte le persone viventi e morte (il regno kantiano degli esseri intelligibili), e insieme come estranei» ( Cultura e critica, p. 172). Quando si comincia a capire meno chi è l'«altro», è segno che anche la propria identità è incerta. rovate queste quattro denomina- ' zioni, tra il qualitativo del pubblico/privato e il quantitativo del collettivo/individuale, vorrei tornare alla disposizione degli spazi nell'interazione umana e al problema della loro acc,essibilità. Per sottolineare l'importanza che riveste, per l'identità, la costruzione di uno spazio di esclusione di cui poi il singolo o il gruppo si fa arbitro quanEmilio lsgrò, Carta lombarda (1974) sono: particolare to all'aa:essibilità, basti ripensare alle analisi di Goffman sulle violazioni delle regole di discrezione subite dai pazienti negli ospedali psichiatrici: «Di solito nei gabinetti non vi sono .porte o se vi sono non possono essere chiuse dall'interno; il dormire in corsie, specialmente per .ipazienti appartenenti alla classe media, costituisce un'altra violazione dell'intimità personale. La cura con cui vengono trattati i pazienti 'affetti da gravi turbe' in molti grandi ospedali pP~ici porta . b ad effetti analoghi: medicazioni fonate, impacchi freddi sul corpo nudo o isolamento del paziente completamente svestito in celle nelle quali possono guardare sia i membri del personale che altri pazienti» (Modelli di interazione, p. 74). La violazione è violazione dell'individuale-privato o del collettivo-privato, spazio in cui un soggetto o un gruppo possono voler compiere pratiche da mantenere del tutto segrete, o segrete a un certo gruppo e non a un altro (caratteristiche, queste, delle «istituzioni totali»). Ancora, l'analisi di Blanchot sulla distruzione dell'identità degli Ebrei nei campi di concentramento: prima una pratica di esclusione e di segregazione, poi di violazione sistematica dell'identità spesso mediante la distruzione di qualsiasi forma d'intimità - del singolo, non concedendogli spazi individuali-privati rispetto all'individuale pubblico del gruppo («la defecazione avveniva di fronte agli altri ... ,.); dell'identità di gruppo, contrapponendo i singoli nella lotta per la sopravvivenza ( « ... ed era sempre uno sperare che fosse l'altro la vittima dei loro crudeli capricci,.). Osserva Blanchot: «indubbiamente si tratta ancora di un tipo di egoismo, anzi del più terribile; ma è un egoismo senza ego, in cui l'uomo che si accanisce a sopravvivere e si aggrappa al vivere, a vivere sempre, in un modo che dovremo definire abbietto, porta in sé un attaccamento che è attaccamento impersonale alla vita, un bisogno che non è più il suo bisogno personale, ma bisogno vuoto e neutro, quello che in un certo senso è virtualmente il bisogno di lt!tti,. (L'infinito inlrattenuMnto, pp. 179-80). Cosl la chiusura dei luoghi di segregazione deve sembrare ultima, definitiva: il lager è la costruzione di uno spazio al limite del mondo, in cui la prima negazione è negazione della speranza stessa di una possibile fuga, poiché questa speranza porte.rebbe già al costituirsi di una volontà, di un desiderio celato, di un segreto. È la medesima costruzione dei luoghi sadiani, che sembrano porre l'evidente insensatezza di un'idea di evasione; ma è anche la medesima degradazione dell'individuo depredato di ogni intimità, di ogni spazio segreto del corpo, di ogni potere conflittuale: fine della reversibilità del potere. Fme della dignità: non c'è più alcun «onore» da difendere, alcuna «faa:ia da salvare,,, nella lotta per la sopravvivenza a~individuale. ..... .,......_..,...,,._,,_,....,_.-:, ' ~ ~ •·.! ~ -~ --~ "'- "' ~ -o -~ ._, ~ ,::
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