guerra mondiale. Questa la terribile «profezia,. del raa:onto Nyarlatothep: «Dove egli giungeva, la quiete era infranta, e le ore notturne erano lacerate dalle urla degli incubi ( ... ) e gli uomini quasi avrebbero desiderato che si potesse vietare il sonno, perché le urla della città non turbassero oltre, in modo tanto orribile, la bianca e malinconica luna splendente( ... ) sulle antiche torri che si innalzavano verso il cielo malato». I valore allegorico dell'opera di Lo- I vecraft si dispiega interamente in quello che potremmo definire quasi il suo raa:onto-manifesto: / ratti nel muro. L'iconografia dei ratti è da sempre simbolo del disfacimento urbano e sociale, per quel carattere di minaccia sotterranea, di caos ribollente e repellente, che si agita al di sotto della sfera cosciente. Infatti gli abitatori della fogna rappresentano un mondo complesso e infernale, vero e proprio budello interiore dell'organismo metropolitano, residuo-detrito degradato e inconscio della campagna. Le mucillagini, il liquame, l'inconsistenza degli dèi-mostri nascondono uno scheletro di roditore avvolt_onel suo elemento abituale: il fango. Come non riconoscere, nei dementi flauti che inondano di suoni striduli l'inferno lovecraftiano, lo squittire dei topi? Il contrasto, interno al capitale, tra razionalità liberista e oscurantismo reazionario è legato alla crisi della forma-città e del rapporto tra una comunità ormai estinta e una società in pieno sviluppo. Lovecraft è ossessionato dalla decadenza da lui individuata nella razza e nel paese. La minaccia che sale dal profondo per lui può essere arginata solo con un testardo attestarsi su posizioni di difesa della purezza della stirpe, e quindi dello stile artistico. La sua è una difesa disperata e inutile, che si aggrappa a elementi accessori, vissuti come essenziali solo per la superficialità di analisi. L'attrazione che il nazifascismo esercitò su di lui è perciò spiegabile senza anatemi isterici. I ratti in fuga dai sotterranei del castello equivalgono all'erompere della folla, del pubblico, e contemporaneamente alla follia che ne consegue per l'autore-protagonista. La dannazione si è perfezionata. Dalla semplicità di un racconto come Dagon, ancora legato alle forme esteriori dei prototipi ottocenteschi, a un racconto con più livelli di lettura - da una dannazione singola a una dannazione collettiva. li tema dei ratti è strettamente collegato a quello della degenerazione, che non è un semplice dato culturale o morale, ma è riportato in Lovecraft allo strato Ufo, cielo alto nubi chiare... più superficiale e «facile»: il dato razziale. E qui torniamo alle ragioni del suo razzismo, che è repulsione per le mescolanze e soprattutto paura di una contaminazione del suo mito razziale, il coraggioso e intraprendente wasp («white-anglosaxon-protestant» ): un mito posto a difesa da quella che avverte come una crisi universale. «Alcune strade e vicoletti hanno conservato quel tipico sentore 'dickensiano'. La popolazione è un misterioso groviglio senza speranza di siriani, spagnoli, italiani, negri, continuamente in lotta fra loro, oltre ad alcuni elementi scandinavi e feccia americana» (Orrore a Red Hook). In quest'immaginario quartiere newyorkese si ripropongono temi ottocenteschi, lo slum, il bassofondo dickensiano, la feccia descritta da Sue nei Misteri di Parigi. Mentre nel romanzo di Sue l'ideologia «progressista» di fondo porta all'identificazione dell'autore con uno degli abitanti di tale universo, in Orrore a Red Hook Lovecraft è l'autentico osservatore spaventato da un mondo di mostri, da questo «groviglio di putrescenza» materiale e «spirituale». Il racconto non ha veri personaggi. Benché il racconto sia in terza persona, il protagonista è un io narrante che discende lentamente in un inferno popolato di' intrusioni esoteriche, accenni demoniaci a culture che minano alle basi una civiltà fondata sulla ragione. La stessa «discesa» l'abbiamo incontrata nel castello invaso dai ratti: lo schema è identico, identici i significati. li castello, raffigurazione simbolica, diventa città', nucleo sociale che subisce in pieno l'attacco dei mostri. La città comincia a crollare corrosa dalle sue stesse fogne, diventa metropoli. Q ualcuno ha definito Lovecraft il «grande estraneo». Ma è un gioco di specchi, una mistificazione condotta sul filo di una serie di abili immagini retoriche. La poslZlone di questo scrittore corrisponde alla revanche classica del piccolo borghese/ massa, irritato dall'intrusione di nuovi soggetti all'interno della sua comoda nicchia. Lovecraft si atteggia a estraneo, in un tentativo di convincere se stesso e gli altri. In una società mostruosa chi è il mostro? Nel racconto L'estraneo, il mostro scopre solo alla fine - dopo le urla e la fuga della gente che lo circondava - di essere tale, vedendo la propria immagine riflessa in uno specchio. I mostri sono i nuovi abitanti di una città in declino. Con un gioco di rimandi potremmo arrivare a uno dei più recenti, e atipici, «horror-movies»: Un lupo mannaro americano a Londra di Landis. Anche qui accenni (musicali) a un'epoca trascorsa, gli anni cinquanta, che non trovano riscontro in una Londra degradata (dal traffico, dagli ingorghi, dai cinema «hard-core»: altro rimando inevitabile a L'ululato di Dante e, perché no?, al «gotico» Cruising di Friedkin). Uno straniamento che porta il giovane protagonista in un vicolo cieco, al suicidio. li mostro è lui o l'esercito di zombies, non-morti, personaggi comunissimi al limite della macchietta (come l'amico che pensa alle vacanze esclusivamente come a un momento privilegiato per scopare) in progressiva decomposizione? Per chi avesse ancora dei dubbi sull'identità delle «informi cose» di Lovecraft, costituite da uomini degenerati, citiamo Lui: «La folla di gente che si agitava per le strade come torrenti erano estranei, tarchiati e bruni, dai volti induriti e gli occhi socchiusi, accorti estranei senza sogni e senza affinità per l'ambiente circostante, che niente potevano mai significare per un uomo dagli occhi azzurri della vecchia razza, innamorato dei bei sentieri verdi e dei bianchi campanili del New England». Gli estranei sono gli immigrati, il cancro che secondo Lovecraft comincia a invadere la purezza della Nuova Inghilterra, capri espiatori per un progetto sociale che lo scrittore avverte solo istintivamente. L'operazione che Lovercraft compie, è ancora una volta l'immissione della mostruosità del reale in un tessuto narrativo tradizionale, con l'identificazione MetropolisBabilonia, città-peccato, di langiana memoria. L'elemento «profetico» è inserito fra le immagini di una città in disfacimento. Il racconto risale al periodo del suo soggiorno a New York, il periodo che potremmo definire, parafrasando Praz, di «la carne e il diavolo». Lovecraft sessuofobo e puritano si era sposato trasferendosi a vivere nell'odiata città. L'esperienza si rivelerà un fallimento in tutti i sensi accentuando il suo rifiuto dell'altro sesso e della società di massa: «Ripeto che la città è morta e piena di insospettati orrori» (Lui). Dinamic~~tg~riuppo Eric Landowski «Jeux optiques, une dimension figurative de la communication» in Documenls IU, 22 Paris, Ehess-Cnrs, 1981 pp. 27, ff. 6 Jiirgen Habermas Cultura e critica Torino, Einaudi, 1980 pp. 294, lire 10.000 Erving Goffman Modelli di interazione Bologna, il Mulino, 1971 ~ pp. 480, lire 14.000 Maurice Blanchot L'infinito intrattenimento Torino, Einaudi, 1977 pp. 577, lire 18.000 S e è vero che «trasudiamo informazioni» - affermazione, a quanto pare, sostenuta da non ~ pochi tra semiologi, sociologi e lingui- :: sti, - allora lo spazio (la forma dell'e- ~ stensione) e la sua limitazione attraÌ verso l'agire umano (modificazioni ar- -;:; tificiali della forma dell'estensione) b ....,_. "'e'-"~ I ,_L a sono di importanza straordinaria per la circolazione delle «informazioni trasudate». Una storia dell'architettura intesa come studio dell'evoluzione delle forme di manipolazione operate dall'uomo sullo spazio potrebbe anche avere le medesime premesse, ma l'angolo o la funzione sotto cui verrà osservato tale fenomeno sarà solamente «comunicativo». Cosi lo spazio o la sua limitazione a mezzo dell'uomo corrispondono in quest'ottica a una limitazione delle capacità di percezione dei soggetti per la loro disposizione nello spazio; a una sorta di regolamentazione del sapere, attraverso una limitazione del «visibile»e dell'«udibile»: in breve, alla costruzione di luoghi di inclusione o di esclusione tra singoli e gruppi, tra gruppi e altri gruppi. Questa relazione, tra luoghi da una parte, e individui o gruppi dall'altra, ricorda molto la vecchia distinzione tra privato/pubblico e individuale/collettivo. Ma l'idea è che queste opposizioni, cariche di tutte le connotazioni politiche degli ultimi vent'anni, vadano riviste: la binarietà delle coppie privato/pubblico, individuale/collettivo, comincia a incrinarsi, e insieme a essa le supposte connotazioni politiche. L'opposizione individuale/collettivo è puramente quantitativa e non CoomL<T"race) • POR"'""' DARTMOOR••OC"°""'~c PaRfSOJ" (jM,WP(N. T'1()ft54,.[Y "-N0Hl(;t4 e,t,AAQIIII PAR!SHCS fl You v..tlk' :,our hfl.' orJt.u.rr,:-..&011ktt'P :i,w:i.J{rorfl \bt')"Ctl Una mappa di Sherlock Holmes serve a spiegare la coppia privato/ pubblico (che da questo punto di vista sembrerebbe qualitativa): !'_individuale non è il privato, cosi come il collettivo non è il pubblico: un gruppo in una stanza (collettivo) può dirsi privato nella misura in cui esclude un esterno pubblico. Da qualche parte continua però ad avvertirsi questa relazione tra individuale e privato, tra collettivo e pubblico, si avverte quasi il bisogno di quello che Thom chiama «l'approccio fechneriano» dell'introduzione della quantità nella qualità. D'altra parte la coppia pubblico/ privato - di cui si esclude qui volutamente l'accezione giuridico-politica - è puramente relativa: lo spazio della strada è pubblico in opposizione allo spazio della mia casa, ma allo stesso modo il salotto della mia casa pieno di gente diventa uno spazio pubblico rispetto alla camera in cui, non visto, posso prepararmi all'entrata in scena. Sembra proprio che lo spazio si definisca pubblico o privato in rapporto a hi da questo spazio viene incluso e escluso (e il «chi» è qualitativo). L'esclusione (come l'inclusione) è esclusione di qualcuno da un sapere o da una pratica: in casa mia posso stare disinvoltamente in pantofole con la gocciolina di sugo sulla camicia, poiché per mia moglie non ho segreti (almeno non questi), non egualmente per l'elegante segretaria del mio ufficio. Spesso, come in questo caso, il segreto è soltanto «confidenza», sono quei piccoli segreti che ci traumatizzano quando trapassano da un gruppo con cui li condividiamo a un altro con cui non vorremmo condividerli; ma si può fare gruppo proprio iniziando un qualche contratto fiduciario con la messa in comune di «confidenze». Forse su questo sapere, o meglio su questo segreto su un sapere, si regge parte stessa della logica dei gruppi, poiché un segreto si definisce tale se è possibile escludere qualcuno da un sapere («segreto» è sempre segreto per qualcuno), cosi come ci si definisce gruppo solo in relazione a qualcuno che è possibile escludere dal gruppo, che è possibile considerare come nongruppo. Sicuramente i gruppi costituiti in società segrete rispondono a questa affermazione, non a caso l'inclusione al gruppo, l'iniziazione, è per l'appun-
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