Alfabeta - anno IV - n. 41 - ottobre 1982

Roman~l,s.doigno .. .. .. .. :i Italo Svevo La cosdenza di Zeno Milano, Dall'Oglio, 1978 pp. 480, lire 4.500 Northrop Frye Anatomy or Critidsm. Four Essays Priocetoo Uoiversity Press, 1957 trad. it. Anatomia della critica Torino, Einaudi, 1969 pp. 484, lire 14.000 Jean Starobinski L'(Eil vivant Paris, Gallimard, 1961 trad. it. L'occhio vivente Torino, Einaudi, 1975 pp. 345, lire 7.000 Giuseppe Berto D male osc:aro Milano, Rizzoli, 1964 pp. 416, lire 3.000 Ottiero Ottieri D campo di concentrazione Milano, Bompiani, 1972 pp. 266, lire 4.000 Luigi Malerba Diario di DD sognatore Torino, Einaudi, 198I pp. 137, lire 8.000 11 Diario di un sognatore di Luigi Malerba mantiene, alla lettera, le promesse del titolo. L'autore vi descrive, io cronaca sintetica, i propri sogni del 1979, annotati giorno per giorno. La forma diaristica e il metodo di lavoro che le corrisponde offrono un impegno di aderenza ai dati quotidiani dell'esistenza individuale che evita programmaticamente ogni interpretazione globale del viaggio onirico: i rari e brevi commenti con cui l'autore completa la descrizione di alcuni sogni non sono ~he riflessioni estemporanee o collegamenti tra i fatti della vita diurna e quelli sognati. La scrittura mantiene, io questo romanzo, al di fuori di ogni omologazione di tipo surrealistico col sogno, la propria tradizionale funzione oggettivante, che la radica, per il desiderio stesso della precisione descrittiva, non solo nel tempo, ma anche nelle prerogative di razionalità della veglia. Malerba, nel «Prologo di un sognatore• che apre il testo, riconosce che un tale tentativo di descrizione, che rifiuta ogni mimesi rievocativa o espressiva del caos onirico, è insidiato, nella propria volontà di esattezza, dal problema degli scarti fra sogno, memoria e linguaggio verbale- problema largamente discusso dalla psicoanalisi, ma già conosciuto nella tradizione della letteratura mistica della visio in somniis motivazione della scelta malerbiana del diario onirico come romanzo: il sogno vi appare come un analogo e, di più, come un sostitutivo dell'invenzione letteraria; il resoconto del viaggio notturno nel «limbo meraviglioso delle cose non accadute• diventa una specie di estrema difesa delle prerogative fantastiche della letteratura, ma segna anche la rinuncia della letteratura alla produzione attiva dei mondi irreali: -l'invenzione è ormai affidata a un'attività mentale involontaria, di cui la scrittura è solo registratrice. Accanto a questa prima motivazione del Diario, ne esiste una seconda, del tutto eterogenea, che Malerba stesso indica esplicitamente quando attribuisce al proprio testo un valore documentario: «Questo libro alla fine non si propone niente di più che offrire del materiale di prima mano su una a11ività della mente che si svolge nel buio e che, da Artemidoro a Freud, è stata oggetto di innumerevoli interpretazioni per simboli, associazioni, opposizioni, analogie e vagabonde fantasie». L'autore non offre preliminarmente una chiave interpretativa dei propri sogni, ma li considera già come materiale di interpretazione; un materiale che sfugge a ogni cattura ermeneutica totale, per la sua connaturata ricchezza (e vaghezza), che le molte letture hanno preteso invano di esaurire. (nel Paradiso dantesco, per citare l'e- Più che un atto di modestia teorica, sempio maggiore). la sospensione del giudizio riafferma Condannato quindi a inevitabili la- qui l'indipendenza e l'irriducibilità cunosità e approssimazioni descrittive, della letteratura (e del sogno, suo il «giornale di bordo notturno» fonda omologo) alle ragioni epistemologile proprie ragioni letterarie non sul- che, in opposizione a quella che Mal'integralità della descrizione (come (erba definisce l'odierna «nevrosi setrasportando un canone realistico nel- miologica» della decifrazione totale. li l'area dell'immaginario), ma, all'op- primo e il secondo movente del Diario posto, sull'irrealtà del proprio ogget- appaiono, in questa prospettiva, più to: il sogno - afferma lo scrittore nel vicini. Da un lato, c'è la difesa delle «Prologo• - è lo spazio, strano e im- prerogative «originarie», fantastiche, probabile, ambiguo e illogico, di un della letteratura; dall'altro, la sfida che non-accaduto che intrattiene rapporti l'invenzione letteraria, naturalizzata continui, sebbene imprevedibili, con il nel mentale, lancia all'episteme delreale; è un fantastico a cui attribuia- l'immaginario. Non è una sfida recenmo, per il modo stesso con cui ci lega e te, ma nemmeno è assimilabile ai ter- -ci colpisce, una sfumatura di possibili- mini ottocenteschi del rapporto fra tà che lo colloca «a metà strada fra scienza e letteratura . preistoria e fantascienza», in un pro- Nel discorso entra in gioco la parti- ~ lungamento inesauribile del presente. colarità stessa della relazione che si è l Da queste, non inedite, definizioni del instaurata, sin dall'origine, fra psicoa- - I o e f evè;:,\f n òotta ntsid letteratura: non di antagonismo aperto, ma di ricerca di egemonie interpretative; non di dialettica delle visioni diverse sul mondo, ma di assimilazione e di inglobamento reciproci. Fra psicoanalisi e letteratura non vige una cqmplementarietà pacifica, nella chiarezza delle funzioni e degli spazi di competenza, ma una tensione di sfida, uno sforzo, quasi, di reciproco divoramento, che possiede - rispetto alla «lotta• fra filosofia e letteratura di cui parlava Italo Calvino in un articolo del 1967 - un grado maggiore di_ambiguità e di incertezza, a causa della labilità dei confini lungo i quali si svolge. 'L'aggressione è, in questo scontro, reciproca, anche se è stata quasi sempre raccontata in una direzione soltanto; non si esaurisce cioè nell'ipoteca scientifica che la psicoanalisi ha offerto, nel Novecento, alla critica letteraria, nell'analisi delle strutture profonde dei tl.!sti I.! dei loro legami con soggetti produttori. L e risposte del versante letterario alla psicoanalisi sono numerose e riguardano da tempo, in modo diverso, scrittori e critici. Questi ultimi hanno innanzitutto cercato di°sottrarre la letteratura alla reificazione epistemologica. Argomento ricorrente è stato, in proposito, il diritto di maternità della letteratura sulla psicoanalisi, esposto sinteticamente da Frye in Anatomia della critica: «Si ha l'impressione oggi che la visione freudiana del complesso di Edipo sia una concezione psicologica capace di illuminare la critica letteraria. Forse dovremmo dcciderci a riconoscere che abbiamo visto tale rapporto alla rovescia: che in realtà è avvenuto che il mito di Edipo desse ispirazione e basi strutturali ad alcune ricerche psicologiche». Frye, sottolineando non solo l'anteriorità e l'influenza - del resto innegabili e riconosciute ampiamente da Freud stesso - ma anche la priorità concettuale e l'indipendenza conoscitiva del mondo mitico-letterario rispetto alle sue riprese psicoanalitiche, affronta il problema da un punto di vista essenzialmente filogenetico. Ma esiste una seconda rivendicazione, più insidiosa, che punta non tanto sui contenuti e sulle fonti, quanto sul linguaggio della psicoanalisi. La muo- . ve Starobinski ne L'occhio vivente, quando definisce la psicoanalisi «mitopoiesi• e rileva il carattere strutturalmente figurato del suo discorso: «Non solo il materiale verbale. ma l"intero discorso psicoanalitico nella sua stessa struttura è di essenza metaforica». La contaminazione dell'episteme con ciò ch'essa vorrebbe ridotto a proprio oggetto è riflessa dal suo linguaggio spurio, che appare «a mezza strada tra il linguaggio espressivo della poesia e il linguaggio quantitativo e fortemente convenzionalizzato delle scienze». La riduzione della pretesa scientifica della psicoanalisi, attraverso l'indicazione delle sue fonti ispiratrici (Frye) e dei suoi modelli linguistici (Starobinski), compie già un controsmascheramento che risponde a quello psicoanalitico nei confronti della letteratura, invertendone però la strategia: • non è più un ritrovamento del contenuto implicito, ma una letteralizzazione del figurato, non più l'addentramento in una logica del profondo, ma l'evidenziazione di una narratività di superficie. Tuttavia, il riconoscimento del carattere ibrido della psicoanalisi «semiscientifica» non può venir disgiunto dalla considerazione del problema inverso, che riguarda la contaminazione volontaria della letteratura, quando essa ha utilizzato, a vari livelli e con diverse soluzioni, materiale .e linguaggio psicoanalitici. Il panòrama del romanzo italiano del Novecento basta a mostrarci, nella serie delle opere maggiori interessate al tema, il passaggio da una disposizione cr!tica, di ' f. discussione teorica e id~ologica, a UJ tentativo di ripresa deformante de codice psicoanalitico, alla coscienzz infine, dell'assorbimento nel discors, comune e dell'istituzionalizzazione e tale codice. Lf idea del cara~tere normalizzate re e, almeno 10 parte, repress,v della psicoanalisi ha origini p ·e coci nel romanzo. l ruoli appaiono gi assegnati ne La coscienza· di Zen (1923) di Svevo, dove Zeno, malat dissociato e sfuggente, si sottrae ali cure e alle interpretazioni dello ps· coanalista, il quale, per vendetta, put blica il suo memoriale. Svevo non av< va dubbi sul valore letterario del! indagini freudiane: «Grande uom quel Freud ma più per i romanzieri eh per gli ammalati• scriveva nel 192'. Ma era altrettanto scettico sull'efficé eia terapeutica della psicoanalisi e, pi radicalmente, contestava lo scopo ul timo della cura: «E perché voler cura re la nostra malattia? pavvero dob biamo togliere all'umanità quelle ch'essa ha di meglio?• domandava i, una lettera a Jahier, il suo giovane cor rispondente vittima di un complesso d inferiorità che Svevo gli consigliò è curare.ricorrendo non a Freud, ma al )'autosuggestione praticata dalla scuo la di Nancy, dove - diceva - «non L cambieranno l'intimo suo 'io'•· Ne La coscienza di Zeno, gli ele menti di derivazione psicoanalitic: sono evidenti e molteplici: l'ambiguit: e la contraddittorietà costanti degli alt e dei pensieri del protagonista, ('anali si dell'irrazionalità e dell'oscurità de moventi, il modulo della confession, curativa e persino un paio di episod ricalcati, per dichiarazione dell'autore stesso, sulla casistica freudiana, n, sono solo i segni più visibili. Ma anche punti polemici del discorso di Svev, sulla psicoanalisi risultano, nel roman zo, vivi ed estesi. Nell'ultimo capitolo Zeno descrive il fallimento della curi verificandolo non solo sugli effetti, m, anche sulla scarsa persuasività del discorso psicoanalitico, a cui egli contrappone, da un lato l'esattezza, autenticamente scientifica, della chimica medica, dall'altro la forza, veramente persuasiva, dell'invenzione fantastic2 («inventare è una creazione, non gi¾ una menzogna») e la vitalità delll scrittura, che continua indefinitamente a correggere le proprie approssimazioni: «Il dottore, quando avrà ricevuto quest'ultima parte del mio manoscritto, dovrebbe restituirmelo tutto. Lo rifarei con chiarezza vera». Le possibilità di moltiplicazione, frantumazione e dissimulazione del soggetto contenute n~lla scrittura si contrappongono, come polo positivo, al progetto centripeto della cura psicoanalitica, che tenta di riportare a interezza e a piena coscienza l'identità individuale disgregata. La psicoanalisi avvia, nel romanzo, l'indagine sulle pieghe più sottili dell'esistenza e della memoria; ma il protagonista inverte la rotta programmata dal dottor S., che lo esorta: «Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero•. Nel finale non solo Zeno difende la propria malattia di soggetto scisso e disperso, ma legge anche, apocalitticamente, in essa l'intero destino dell'umanità contemporanea. N e La coscienzadi Zeno, la terapia freudiana viene descritta non senza semplificazioni e banalizzazioni, che la critica ha più volte psicanalizzato come resistente, o giudicato come incompetenze. Svevo stesso era cosciente di questi limiti di infor-

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