Teresa d'Avila Libro delle relazioni e delle grazie con un saggio di Angelo Morino Palermo, Sellerio, ·I982 pp. 128, lire 5.000 Entretien avec Miche! de Certeau « Histoire des corps• in Esprit: Les Corps entre illusions et savoirs -Paris, febbraio 1982 Jean-Noel Vuarnet Extases féminines Paris, Arthaud, 1980 U n'anatomia asimmetrica, spezzata. Apparve sul finire del XVI secolo: dalle catacombe esplorate e frugate riemersero le tombe di alcuni martiri cristiani. C'era, tra le altre, la bara in legno di cipresso della giovane patrizia romana Cecilia. All'interno, perfettamente levigato dai tredici secoli trascorsi, il corpo della santa era intatto. Corpo, più che cadavere. Il corpo mistico Intatto il velo di seta verde, leggero e intessuto di fili d'oro, in cui era avvolto. Integra e chiara la carne. E inoltre il sangue. Il verde, l'oro, il bianco riscattati dal silenzio dei secoli - quasi reincarnati -, dalle estese macchie di sangue che coprivano corpo e sudario. La testa non era reclinata, ma distorta in un'eloquente anomalia. Estraniata dall'unità del corpo, eccentrica per il taglio della lama sul collo di Cecilia. Un taglio sottile e lungo, segno del martirio, della santità. E di più: impronta di un disimmetria anteriore, di una figura umana radicalmente centrifuga. Fecero a tempo a vedere il corpo mistico non solo papa Clemente VIII, corso nelle catacombe prima che l'aria, ripristinando sotto il segno dello sguardo il potere affidato al tempo, annullasse, polverizzandola, la figura; ma anche lo scultore Stefano Maderno, che da alcuni schizzi presi in una fertile oscurità ricostrul nella certezza del marmo l'immagine così come appare oggi nella romana chiesa di Santa Cecilia. Morta vivente, nel corpo di Cecilia s'inverava compiutamente la perfetta coincidenza degli opposti, la stabile ambiguità del corpo mistico. Attraverso il «pieno» dell'esperienza mistica - lo si può chiamare (ma non necessariamente) isteria, fobia, allucinazione, ossessione, vie privilegiate della contemplazione, della visione e dell'unione - il mistico si «svuota»: realizza e incarna un corpo vuoto. Cosl, quello che consegna allo sguardo che fruga in sempre catacombali oscurità i suoi resti è un corpo alla deriva della Storia. Corpo di deriva, incontaminato - come il corpo di Cecilia - dal Tempo, un puro scarto, un aldilà rispetto alla :atena degli eventi. Se il corpo ha una memoria sua pe- ~uliare. il corpo mistico non l'ha. Dis- ;eminato, centrifugato dal martirio, dalla malattia, dalla derelizione, ripristina uno stato di aurorale inintegra- ~ione. che sconfigge la morte e la 'llemoria. Il corpo mistico è, in vita, corpo di ·eliquie a se stesso. Il culto delle reli1uie è culto di questo corpo inintegrao (del nostro corpo inintegrato che è n lui). Arti sfuggiti alla putrefazione l'avventura nomade dell'immarcesciiile cadavere di Teresa d'Avila, disaricolato, pezzo dopo pezzo, nelle chiee d'Europa), piaghe che si rimargina10 nel sepolcro, sangue permanentenente fluido, attivo ... Alla deriva in se tesso, come in una psicosi felice, il ·orpo mistico è preservato dal contato. Si dà luogo negli spazi della solituline, siano il deserto o la malattia, il nonastero o l'esercizio spirituale, la >reghierao l'interno calvario. Un'uni- • a passione lo domina, la passione del- 'assenza. L'estasi è il godimento di ·uesta passione, evento senza oggetto, enza relazioni. È. la flagranza del vuo- .J. Il mistico parla là dove si dovrebbe tacere e di cose che è impossibile dire. La sua parola è un paradosso del Silenzio e una provocazione al silenzio di Dio. Non conosce l'alternanza della discorsività, del perdersi e del ritrovarsi del senso, parla nell'aldilà del racconto. Sua forma è un delirio che annulla, azzera nel proporlo il proprio linguaggio. Perenne eccezione da ricondurre a Elisabetta Rasy ché le sue membra si rivoltano contro la morte•), senza compiere cioè un processo di individuazione, di «caduta dall'eternità al tempo•, senza opporre la parola alla morte, ma inscrivendo la parola nella morte, optando per il mistero contro l'arbitrio. Ecco allora il mistico, nella cavità di questo sapere altro - che taglia, incrinandolo irreparabilmente, il sistema sua oscura tridimensionalità, sul luminoso, storico e bidimensionale piano del libro ... L'incipit di ogni sua scrittura è sotto il segno di una terrena - e maschile - autorità, figura chiave destinata a forzare il silenzio affollato dell'esperienza mistica, l'inamovibile ingorgo del1'estasi, in un tentativo di discorso. Figura destinata a diventare nel corso Checosanondànno ledonne li altra notte due o tre minuscoli grilli verdissimi, di una specie che giurerei di non avere mai visto prima, esploravano con insistenza le mie braccia. Invano li ho cacciati, con garbo, più di una volta; sono tornati a riesplorare e sono scomparsi quando hanno voluto loro. Mentre mi esploravano ho cercato di capire che cosa cercavano sulla mia pelle, che cosa titillavano. Ho dovuto posare per un poco il libro che stavo finendo di leggere (Le donne non la dànno di Mario Spinella) e nell'istante in cui l'ho ripreso in mano • (le luci verdi dei minigrilli erano ormai volate via) ho capito. I mi11igrilliluminosi uscivano dal racconto. Meglio: quello che il signor S.S. raccoma in prima persona o per bocca del Tapiro narrante, è vero fino al punto da emettere una sua prova inconfutabile in forma di grilli di nuova specie. Dunque non ho più dubbi: i minigrilli di luce verde sono stati inviati dal controllore supremo per cercare di capire se sono degno di arrivare fino alla valle delle donne (una valle la cui ubicazione è segreta e e/re può essere raggiunta seguendo l'indicazione di una costellazione ad essa specularmente corrispondente ...). Una meta decisiva. (:;solo nella valle delle donne e/resi può trovare un principio di salvezza per l'universo umano minacciato dall'ottusità militaresca dei mascoli. Non ho la minima idea del giudizio che i minigrilli possono avere riferito al controllore della vita sul pianeta Terra. Meglio dunque che io dichiari apertamente che ho seguito il racconto del narratore tapiro fino alla fine e che ne condivido le conclusioni al I 00percento. Benissimo. Che la Terra venga fi· nalmente, e in toto, governata, regolata, giustiziata dalle donne alleate con i computers e che gli omini siano messi in condizione di non nuocere. Mi dichiaro altresl disponibilissimo per /'allevamento e la custodia dei neonati nel nuovo mondo (sarà certo il principio norma. Dalla mistica alla religione. Ma non è la parola piena del folle che sa troppe cose. Pregna di un sapere che non sa di se stesso, la sua parola regola una mancanza, un venir meno della Lingua. Un sapere che non sa, e che non sceglie: dunque che non si dà, che agisce come perpetua dissonanza rispetto al suo costituirsi. Se il Sapere funziona a partire da una scelta, il mistico è colui che fonda il proprio sapere senza scegliere (scrive Jacob Bòhme: «Chiunque vuole entrare nell'individualità e cerca il terreno per una forma di vita propria si Antoni Porta del piacere a regolare le nascite e si sa che il piacere del parto è superiore di molto al suo momentaneo dolore). Finalmente messo al servizio della vita e del godimento mi scorderò perfino il nome dell'ansia e perderò del tutto la nozione di tempo e di futuro, nonché di passato: per me conterà solo il presente dell'infanzia; il trionfo del principio del gioco, della curiosità assoluta, della conoscenza disinteressata. Messaggio arrivato, ne sono sicuro. Ma al possibile lettore del racconto del tapiro che cosa sta arrivando? Oscurità supplementari, confusioni indebite? Occorre prima di tutto chiarire che al tapiro narrame (ovverossia al signor S.S., alias Mario Spinella) non importa nulla, anzi molto lo infastidiscono i «lettori imbecilli e realisticheggianti», tanto da chiedere loro esplicitamente di «scomparire, di levarsi da torno». Dunque solo i le/lori disponibili alle realtà dell'immaginario (realtàprogettuali, utopiche, essenziali) possono capire e essere subito contagiati dall'allegriae/rela speranza scatenata del narratore. intrecciataal desiderio primario di affidarsi comunque e sempre alprincipio della vita, fa uscire dalla sua scrittura sciolta, al di sopra di molte leganti problematiche contemporanee (che pure il tapiro mostra di conoscere molto bene e di mel/ere opportunamente da parte). Del resto il lettore filisteo viene già tenuto lontano dal titolo provocato· rio (Le donne non la dànno) dal momemo che neppure tenta di chiedersi che cosa le donne non diano. (:; questo u11punto fondamentale: gli uomini sono corrosi da «un segreto bisogno di morte» ed è precisamente questo bisogno che le donne non sono più disposte a soddisfare. Una conversione a u, una presa di coscienza rovesciante: diamo ilpotere politico e sociale a chi la vuole, e la dà, la vita. Apologo, parabola, rendiconto, cronaca, filosofica narrazione ... tutte definizioni che possono calzare per la dei saperi - dalla parte del femminile, di un sapere-interferenza, estraneo, o vero e proprio straniero, nel regime dell'affermazione. Lo scambio dei corpi L'incontro con il Tempo, l'unico, lo scontro con il sapere storico, avviene suf territorio magmatico della scrittura. Nei suoi testi Teresa d'Avila configura inimitabilmente il conflitto. nuova opera di Mario Spinella. E anche, infine, romanzo, se si accetta nella definizione del genere il significato portante di «racconto della trasformazione», al di fuori di qualsiasi miope poetica del «rispecchiamento» con ambizioni, sempre sbagliate, di cronaca «veritiera». Occorre una volta di più sgomberare il campo dallo scempio che viene ancora Jatto della definizione di «realismo» e di «romanzesco»: realismo è ripensamento della realtà e dei meccanismi della sua percezione, non mai la facile scoperta di un presunto reale (e/rein quamo talepuò esseresolo precostituito dunque morto). li «romanzesco» è ciò che si sçopre durante e dentro la narrazione, dopo e mai prima Ricordiamo/o: la «realtàromanze• sca» era una rubrica di successo della Domenica del Corriere e n ci stava (e forse ci sta) molto bene. In un romanzo la «realtà romanzesca» è sempre, fatalmente, uno stereotipo. Mario Spinella salta gli ostacoli della letteratura (intesa come gabbia precostituita, come istituzione obbligante) per offrirci uno strumento liberante, che è letterario, certamente, ma in un senso amplificato (si sottolinea il fatto che Le donne non la dànno esce in una collana che affianca il lavoro di una rivista come Il piccolo Hans): lo strumento letterario viene utilizzato con lo scopo dichiarato di servire a una CO· municazione ineludibile. In due sole parole: salvezza e mutazione. Ecco, il romanzo di Mario Spinella ci arriva sul pieno di un'onda vitale di marea, e ricopre detriti e rottami, ormai coperti di ruggine, e/re il riflusso aveva messo allo scoperto. Un segnale chiaramente positivo, una scrittura decisamente attiva. L'invito alla lettura è come un invito alla danza. Mario Spinella Le donne non la dànno Bari, Dedalo, 1982 pp. 254, lire 8.000 delle narrazioni un insistito polo di riferimento, un arbitro appunto, contro il mistero (terrorizzata dalle sue visioni - ambigue come il troppo pieno, il troppo intero - Teresa ne parla con uomini «spirituali• e «molto dotti> ... «In tutto quanto dirò mi sottometto al giudizio di coloro che mi hanno ordinato di scrivere, i quaJi sono tutti persone di grande dottrina ...•). !I mistero e l'arbitrio stacca dal mistero ed entra nell'arbiConscia (glielo ha rivelato Cristo stesso) che «molto diversa dalle tenebre è la luce•, e che non si può leggere senza una passabile illuminazione, Teresa accetta di trasferire l'informe tenebroso dell'esperienza mistica, la Scrive de Certeau che il Cristianesimo s'installa sull'assenza di un corpo, su una tomba vuota, sulla perdita-che diventa evento dell'essenza - del corpo di Gesù. E che dunque i corpi ecclesiali, dottrinali, sacramentali che costituiscono il corpo storico del Cristiane- B I bflo diescag mistio rr a noco può fare diversamente, persimo, non sono che delle figure sostitutive o riempitive di questo corpo mancante. Se dunque la storia, e la verità stessa, del Cristianesimo coincidono con uno scambio di corpi - e uno slittamento di piani-, i testi di Teresa ne fanno perfetta testimonianza. Non solo perché, secondo quanto afferma Barthes a proposito di Ignazio di Loyola, il linguaggio dei mistici è «scongiuramento magico dell'afasia originaria>, dunque parole che scambiano il silenzio, ma anche perché un doppio impossibile, parlare Dio e parlare il Corpo, vi s'interseca dando luogo a una nuova estasi, una sorta di «estasi del dolore> della scrittura, a una nuova esperienza di inadeguatezza e derelizione vissuta all'interno della Lingua. Estasi di donna Il mistico, ha detto Lacan, uomo o donna, si mette dal Iato del pas-tout, dal lato del godimento femminile, quel godimento «in più>, «supplementare•, che si prova senza saperne niente. Supporto, forse, di una faccia dell' Altro, o della faccia di Dio. È. dunque possibile riconoscere dietro questo godimento «aJdilà•, vera stigmate del mistico, un corpo di donna? E possibile contemplare un'estasi femminile? In questo linguaggio che si cancella e si azzera come un perenne introito aJ vuoto, dove si colloca la differenza sessuale, cosa ne accerta? È. una questione di sguardo. Di uno sguardo strabico, che colga la donna e l'estasi, e voglia poi anamorficamente ricomporle in un'estasi di donna. È. necessario, dunque, ricondursi aJ Tempo e alla Storia, l'era cristiana, la sua tradizione orale e scritta. Si vedrà allora che il corpo della mistica, prima di iniziare la sua deriva in se stesso e nella Storia, s'incarna in un corpo di donna per differenziazione e opposizione al corpo femminile centraJe a quel tempo e a quella tradizione, il corpo privo di godimento di Maria, Vergine e Madre. Corpi vuoti, e sterili (anche se hanno partorito, come Angela da Foligno: «... mio marito e i miei figli morirono in poco tempo. E poiché entrata nella via avevo pregato Dio che mi sbarazzasse di tutti loro, la loro morte mi fu di grande consolazione ...>), pronti al divino spreco del loro godimento, contro il corpo pieno (pieno del Verbo incarnato, del Logos fondatore), integro e integrato - Maria nulla conosce della grande isteria mistica, in questo «sola del suo sesso• e «benedetta tra le donne• - della Madre di Dio. Il corpo contorto delle mistiche - martirio o estasi - è il corpo femminile contratto sulla propria sterilità, opposto al corpo disteso della Natività, di Maria adorante il Figlio appena partorito, di Maria Lactans, della Pietà, della Dormitio Virginis, dcli' Assunzione. Corpo storico, quest'ultimo, che si articola nel proprio tempo (dall'immacolata concezione all'assunzione) e nel Tempo, paradigma e dogma. Al latte, nutrimento celeste che la Vergine offre (Maria Lactans inesauribile oggetto di devozione, generosa di miracoli) le mistiche sostituiscono il sangue. E in questa diversa gerarchia di liquidi si sottraggono al romanzo- e al dramma- familiare che fonda il Cristianesimo per iscriversi in un antagonistico ordine filiale femminile. Figlia non madre, la mistica fa del suo corpo il luogo di una simulazione. I sintomi la mettono in scena, estranei all'accadere fisiologico. È. questo corpo, effettivamente «di donna>, il teatro dell'estasi mistica destinata a trascenderlo. (Ma la rappresentazione dell'estasi femminile non si dà ancora. Per averla è necessario che lo sguardo aumenti d'intensità, che sia lo sguardo accecato dalla castrazione, preda di quella, e solo di quella, angoscia fondatrice che trasforma i Fantasmi in Immagini - e riconverte il vuoto in pieno, il sintomo in realtà. li corpo di reliquie - sotto lo sguardo di Bernini, di Francesco del Cairo, di Artemisia Gentileschi e di chi li ha seguiti sulla strada di quella voyeuristica contemplazione - diventa, così, corpo di dettagli. ..).
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