Serrese gliepistemologi C. Howson (a cura di) • Cridca della ngione scientifica. Metodo e valutazione nelle sdenze risicbe (Saggi di I. Lakatos, P. Clark, J. Worrall, ~- Musgrave, E. Zahar, M. Frické, P. Feyerabend) trad. it. di L. Monti e G. Giorello Milano, Il Saggiatore, 1981 pp. 444, lire 30.000 Miche! Serres Feux et signaux de brume. Zola ·Paris, Grasse!, 1975 Genèse Paris, Grasse!, 1982 pp. 222, ff. 54 I n un suo noto saggio sulla metodologia dei programmi di ricerca (Hi- _story of Science and its Rational Reconstructions, trad. it. di G. Giorel- . lo, in Autori vari, Criticae crescitadella conoscenza, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 366-408; ora ristampato in Critica della ragione scientifica, pp. 1-48), Imre Lakatos tracciava-già nel 1970 - i riferimenti metodologici essenziali per una storia epistemologica delle scienze che ha ormai acquistato una incontestabile rilevanza nel panorama della storiografia contemporanea. I concetti introdotti da Lakatos sono entrati di fatto nel «senso comune» epistemologico: programma di ricerca, slittamenti-di-problema (problemshifts) progressivi o regressivi, euristica positiva, anomalia sono termini non più adoperati soltanto nella pratica della «ricostruzione razionale» di determinati progetti scientifici, ma più ampiamente indicativi di uno stile storiografico partecipe di una concezione dinamica e aperta della razionalità storica. Lakatos, rinnovando l'interpretazione popperiana dei problemi scientifici «carichi di teoria», elaborava una sofisticata normatività storiografica che, nell'abbandono della sostanziale astoricità del falsificazionismo del maestro, intendeva arginare ogni radicalizzazione avalutativa della lettura storica, emblematicamente rappresentata nelle due variabili dell'incommensurabilità parziale del «primo» Kuhn e dell'anarchismo metodologico di Feyerabend. I concetti sopra ricordati consentivano in tal modo una comprensione dei conflitti tra programmi di ricerca che faceva salva la costante dell'incremento di razionalità, rintracciabile grazie a una normatività «debole» a posteriori. A rischio, tuttavia, di introdurre elementi meta-metodologici, ben evidenziati nella nota separazione «tipografica» tra ricostruzione razionale e storia reale: «Un modo per segnalare le discrepanze tra la stpria e la sua ricostruzione razionale è di riferire la storia interna nel testo e indicare nelle note come la storia reale 'si è comportata male' alla luce della sua ricostruzione razionale» (Critica della ragione scientifica, p. 24 ). (Separazione criticata more historico da Kuhn: «ciò che Lakatos concepisce come storia non è per niente una storia, ma è una filosofia che si costruisce i propri esempi», Note su Lakatos, in Criticae crescita della conoscenza, p. 415). Il programma di ricerca storiografico di Lakatos si è rivelato nei fatti particolarmente fecondo: oltre ai preziosi sondaggi dell'epistemologo ungherese, interrotti, nel 1974, dalla sua morte - e ben esemplificati in Proofs and Refutations. The Logie of Mathematical Discovery (1976; trad. it. di D. Benelli, Milano, Feltrinelli, 1979) - il lettore italiano può ora avvicinarsi a quelli inseriti nel volume collettaneo del Saggiatore (sul quale ha già riferito E. Fiorani Leonetti, • Quando crolla il pavimento», in Alfabeta n. 37, giugno 1982), disposti in un ampio spettro che - in un arco di tempo racchiuso tra Newton e Einstein - raccoglie saggi di storia della fisica (Clark, Worrall, Zahar) e della chimica (Musgrave, Frické).- L a convinzione che questo stile storiografico mostri una sua intima coerenza e funzionalità perdura - è bene dirlo - anche a lettura ultimata, nonostante i duri rilievi conclusivi di Feyerabend. E la ricerca di Clark (L'atomismo contro la termodinamica) può adcguataml'ntc motivare questo asscrto. Clark individua due programmi di ricerca rivali che, nella seconda metà dell'Ottocento, affrontano con modalità diverse lo studio dei fenomeni termici: quello cinetico (elaborato soprattutto da Maxwell e Boltzmann) e quello della termodinamica pura (sviluppato in particolare da Clausius, lungo la linea indicata da Carnot, e in seguito da Ostwald). La teoria cinetica - dimostra Clark in dettaglio - fu in una prima fase un programma progressivo (con Maxwell), retto da una euristica «forte» (che possedeva, cioè, un ampio potere di predizione), quindi attraversò una fase di stagnazione e in seguito un periodo regressivo (a causa del carattere ad hoc delle ipotesi molecolari fornite da Boltzmann), che durò dal 1888 al 1905. Dal canto suo, la termodinamica nelle sue tre varianti teoriche (teoria di Carnot, teoria meccanica del calore e teoria fenomenologica) costitul un programma di ricerca progressivo, in grado di fornire predizioni empiricamente confermate (come la teoria della dissociazione di Gibbs). Ma essa possedeva - a parere di Clark - una euristica «debole», eccessivamente dipendente dai risultati sperimentali, e appesantita da tentativi di consolidamento che sfociarono nella ricerca di una base ontologica esterna ar proB1oliotecag1nob1anco Gaspare Po/izzi gramma stesso, quale fu l'energetica («L'energetica divenne una moda filosofica, ma non scientifica», p. 97). • Riassumendo, alla fine del diciannovesimo secolo - puntualizza Clark -, c'era una situazione di autentica incertezza scientifica in riferimento ai due maggiori programmi di ricerca, il programma cinetico e la termodinamica ( ...) le due componenti della valutazione, successo empirico e potere euristico, divergevano. Il programma che ( ...) possedeva l'euristica forte, il programma cinetico, ora( ...) era regressivo (...) mentre il programma che possedeva l'euristica debole, la termodinamica, restava empiricamente progressivo» (p. 115). Sarà a questo punto In «slittamento creativo» prodotto da Einstein tramite la sua determinazione delle fluttuazioni molecolari in regime di equilibrio termodinamico (con il noto articolo del I 905 sul moto browniano ), e confermato sperimentalmente da Perrin, a far pendere la bilancia dalla parte della teoria cinetica, determinandone un successo per nulla scontato. Il modello tracciato da Clark è in- . dubbiamente, nello stile delle ricostruzioni razionali, ben strutturato - anche se su di esso ( come sugli altri sondaggi presentati nel volume) si potrebbero accettare le obiezioni, paradossali, formulate nel saggio conclusivo di Feyerabend (che dà il titolo all'intero volume), secondo il quale lo sforzo di razionalizzazione in esso presente ci permette di leggere (ma soltanto in filigrana) «una storia più ricca di contenuto e più concettuale di quelle che la precedono» (p. 395). Secondo Feyerabend, Clark, pur avendo utilizzato ipotesi totalmente arbitrarie e non essendo riuscito a «motivare» la maggiore razionalità della teoria cinetica, ci ha fornito tutto sommato un'interessante ipotesi storica. Feyerabend giustifica parzialmente queste prospettive metodologiche alla luce del noto precetto che «anything gocs»: «Senza alcun dubbio, la metodologia dei programmi di ricerca ha portato ad alcune scoperte storiche interessanti. Questo non sorprende. Qualunque ipotesi, comunque plausibile, può allargare il nostro orizzonte. Essa non ha portato però ad una comprensione migliore della scienza ed è anche un ostacolo per tale comprensione a causa della sua abitudine di oscurare i fatti con sermoni e frasi moralizzatrici» (p. 409). Da un lato, il nihilismo di Feyerabend invita a porre tra parentesi ogni riflessione (filosofica) sul metodo storiografico (e le critiche che Feyerabend rivolge ai filosofi sono molto più violente di quelle formulate sulla razionalità scientifica; cfr. ad es. P. Feyerabend, La scienza in una società libera, trad. it. di L. Sosio, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 189-213); dall'altro, Lakatos (con i suoi allievi) indica nella • metodologia dei programmi di ricerca scientifici» una nuova disciplina che cerca un suo spazio nella comunità degli scienziati. Mi sembra (polemicamente) che entrambi coniughino, con l'illusione di ogni popperiano (o quanto si voglia post-popperiano ), il medesimo paradigma liberista, già autorevolmente indicato nel 1859 (On Liberty) da John Stuart Mii[ (E non è un caso che un «estremista» come Feyerabend, quando intende illustrare i diritti dei cittadini in una società libera, non sappia dir altro che: «Queste ragioni [della libertà individuale] furono spiegate da John Stuart Mili nel suo saggio immortale On Liberty. Non è possibile migliorare le sue argomentazioni», La scienza in una società libera, p. 130). A questo stile liberista, che ritrova in un incessante conflitto di idee e di programmi di ricerca il modello di una evoluzione «razionale» storicamente sempre giustificabile, è forse possibile contrapporre Io stile ricorrente e materialistico di Miche! Serres. Il mutamento di «idioletto» conduce, con Serres, a una dissoluzione dell'unicità evolutiva del tempo storico, e con essa alla negazione di uno spazio centrato intorno alla figura dello storico delle scienze o dell'epistemologo. L'opzione «forte» del materialismo serresiano tende a ristabilire il livello minimo di un isomorfismo che permetta una traducibilità ininterrotta tra fisica, storia umana e linguaggi di sapere. Nella tensione stilistica di Serres si gioca la possibilità, drammatica, di una conciliazione tra casualità degli eventi vitali e fisicità degli elementi che li costituiscono necessariamente. Da questa opzione muove il disvelamento delle illusioni storiografiche, posto in atto con strumenti che (almeno in una prima fase) appaiono simili a quelli adoperati nell'archeologia foucaultiana (e in ciò dissento dalla lettura di M. Galzinga, «Il gioco delle perle di vetro», in Alfabeta n. 30, novembre 1981). Non senza motivo Serres - già nel 1966- ritrovava in Foucault l'indicazione della «fine della storia», alla quale :veniva sostituita una epistemologia degli spazi fibrati e multicentrati: «L'archeologia è la fine della storia, limite intermittente e luogo di nonluogo (...) fine dei tempi e installazione degli spazi, arresto delle genesi e fioritura dei sistemi, méta, limite, scomparsa, morte della storia' come scienza, e come scienza delle scienze umane» (Hermès I. La communication, Paris, Éd. de Minuit, 1968, p. 200). Quindici anni dopo, ciclicamente, Deleuze e Guattari ritrovano nel linguaggio di Serres i segni di una «scienza nomade» dello spazio liscio, la cui corporeità è irriducibile al modello metrico della «scienza di Stato», e ad essa totalmente alternativa: «Bisognerebbe opporre due tipi di scienze, o di pratiche scientifiche: una che consiste nel 'riprodurre', l'altra che consiste nel 'seguire'. L'una sarebbe di riproduzione, di iterazione e reiterazione; l'altra di itinerazione, sarebbe l'insieme delle scienze itineranti, ambulanti» (G. Deleuze, F. Guattari, Mille plateara, Paris, l:d. de Minuit, 1980, PP460-61). La storia di Serres è dunque, inequivocabilmente, archeologica e fisica. E questa simmetria tra discorso storico e fisico appare già fissata in una nota del I961: «lo storico è colui che fa della cultura una creazione continuata, la storia è la sacca di neg-entropia nell'entropia cultur:µe (...). Lo storico cerca l'ordine nella distribuzione aleatoria attuale; lo scienziato lo cerca nella distribuzione futura» (in Hermès I, p. 30). V al la pena attraversare uno specifico territorio della lettura serresiana, simmetrico a quello normativamente circoscritto da Clark, al fine di dimostrare effettualmente quanta distanza separi Serres dalla metodologia dei programmi di ricerca.
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