D urante un seminario di studi organizzato nel settembre scorso presso la Fondazione Schlumberger nella tenuta « Les Treilles», in Provenza, Paolo R. Fe/icio/i, Maurizio Ferraris e Kurt Hilgenberg hanno avuto una lunga conversazione con Miche/ Serressui suoi lavori recenti, sul dibattito da essi suscitato, sulla sua immagine della scienza e della filosofia. li risultato è questa esposizione. Scienze umane, sdeuze della natura li parallelismo tra scienze umane e scienze della natura, che ho talora fatto valere nei miei scritti, non è costante. Esiste in certi casi, in altri no. Con una metafora, si potrebbe dire che letteratura e humanities siano la riserva della scienza, proprio come la foresta primitiva è la riserva delle specie vegetali. L'uomo che passeggia nella letteratura è come il boscaiolo, mentre lo scienziato cerca piuttosto di fare un'agronomia razionale. Ma il parallelismo non va oltre. Se fosse stato stretto e ricorrente, ne avrei tratto un metodo, ed è in fondo proprio ciò che voglio evitare. Si tratta di condurre analisi che risultino in qualche modo inimitabili, e quindi è necessario che non vi sia un metodo prestabilito e generalizzabile in modo improprio ad ogni campo di oggetti. Credo che solo in questa «inimitabilith si possa trovare qualcosa di fruttuoso; il metodo, quando è trasmissibile, è anche banale e vuoto: il famoso metodo di Descartes, ad esempio, si riduce alla prescrizione di fare le cose nel modo giusto e con gli strumenti appropriati. li che è davvero molto poco. D'altra parte, la possibilità di istituire talvolta un rapporto tra arte e scienza, mostra a sufficienza come la distinzione razionalità-irrazionalità valga solo per la discussione pubblica, e sia priva di consistenza teorica. Direi anzi che l'irrazionale sia soltanto il modo in cui la scienza «razionale» indica ciò che essa non è. Sorgendo, la scienza si è attribuita tutta la razionalità, designando il resto come «passionale». Ma è semplicemente una presa di posizione e di potere. Credo che vi sia altrettanta ragione fuori dalla scienza che irragionevolezza nella scienza, e che le discussioni attuali sulla razionalità e l'irrazionalità siano «ideologiche• nel senso più piatto e pubblicitario del termine. Solido e fluido Nella storia della scienza come in quella della filosofia, la meccanica dei solidi è corrisposta a un modo semplice di porre le domande. Per esempio, la statica e la dinamica dei solidi sono scienze semplici, che consentono sistemi con pochissime leggi. E la filosofia classica si avvale di un sistema di metafore direttamente ispirato alla scienza dei solidi: ad esempio, si dirà che un ragionamento è consi- ..., stenie, solido, e che un altro è invece fumoso, inconsistente; dunque, una metaforica che sottolinea da una parte il rigore e dall'altra l'assenza di rigore. ~ Anche Bergson si riallaccia a questa tradizione: per lui l'intelligenza (come i facoltà analitica) ha le caratteristiche ~ dei solidi, e ciò non solo in senso metaè -. forico, ma ontologico, ,.. In opposizione a questa metafora é del sapere, ho valorizzato nei miei stu- ~ di la dimensione del fluido. Non per t ~otivi qualitativi o poetici, ma ~erché ~1~ a • isi,e Mélange Conversazione con Miche/ Serres implica sistemi imprevisti circostanziati, un po' azzardati (turbini, vortici, ecc.). Sono giunto allo studio diretto dei fluidi attraverso gli stessi percorsi se- •guiti dagli scienziati. La meccanica dei fluidi comporta infatti un apparato intellettuale e metodologico infinitamente più complesso e raffinato di quella dei solidi; si aprono cioè campi di indagine inaccessibili alla meccanica «classica». Attualmente, per esempio, mi sto occupando di una teoria inventata da un matematico inglese. quella della percolazione. che aiuta a capire come un filo d'acqua passi attraverso un canale di filtraggio. Ci sono ostacoli, difficoltà, un campo estremamente ramificato, e talora con «isole• sporadiche molto indipendenti le une dalle altre; un sistema cioè nel quale il liquido interagisce con il solido in modo assai complesso. Con un sistema di questo genere si riescono a capire fenomeni precedentemente incomprensibili. E questo vale per tutta la meccanica dei fluidi. Per esempio, sono convinto che non sarei riuscito a capire Lucrezio (cosi come era successo ai miei predecessori) se non avessi conosciuto la dinamica dei fluidi, che era dominante nell'antichità. Inoltre, lo studio dei fluidi consente di cogliere gli elementi nel loro stato nascente, nel loro luogo di formazione. L'immagine di Afrodite che sorge dalle acque è a mio avviso ontologicamente giusta. La fluidità, infine, fornisce una nuova immagine del tempo. Nelle lingue indoeuropee la parola 'tempo' (tempus, time, temps, Zeit) ha una duplice radice: da una parte, tomèin, tagliare; dall'altra telnein, distendere, tirare. Una duplicità che si riflette in campo filosofico, dove si è pensato il tempo (l (i p rtire dalla continuità, ora invece muovendo dalla cesura. Ma vi sono linguisti, come Benveniste, che hanno visto l'origine della parola 'tempo' piuttosto in temperare, che in latino significa mescolare le cose le une alle altre; una visione fluida della temporalità che mi pare più soddisfacente: il tempo è il luogo in cui le cose si mescolano, si confondono, si incontrano. Mélange È proprio al tema del mescolarsi, del confondersi, del mélange che dedicherò il mio prossimo libro. In esso, mi propongo di studiare delle molteplicità inanalizzabili. di descrivere c.:omposti di cui non si conoscono elementi, strutture, relazioni reciproche. E di effettuare la descrizione prima che abbia luogo la scomposizione (chimica o altro) del mélange. Nello studio del mélange, sospendo il ruolo ontologico dell'elemento, cerco di capire le caratteristiche specifiche dei composti, caratteristiche che sono sempre state lasciate ai margini del sapere (che ha privilegiato l'analisi degli elementi). Facciamo un esempio: l'arte della pittura e quella del mosaico. Nel mosaico, c'è una divisione digitale del percetto, come nella televisione, cosa che non avviene nella pittura. In pittura, c'è la tavolozza, su cui il pittore deve mescolare e scegliere - un processo inanalizzabile con una teoria del 'mosaico'. E credo che nella filosofia siano prevalsi sinora i pllradigmi 'musivi', rispetto a quelli pittorici. Anzi, l'analisi a mosaico, per scomposizione di elementi, non solo prevale, ma viene considerata l'unica razionale. È proprio contro questa tendenza che propongo una teoria del mélange, della tavolozza. Ma il mélange non è solo un metodo, è contemporaneamente anche un oggetto, e forse anche qualcosa di più: perché dubito che vi siano processi metodici o trasformazioni attuali di elementi che non passino attraverso lo stato dimélange. Nella scienza come nella generazione degli animali, il mélange è il passaggio obbligato di qualsiasi processo. È come il 'motore' della metamorfosi. A partire da questo discorso sul fluido e sul mélange, si incontra un tempo particolare, un modello specifico dei processi di trasformazione, cosi che si giunge a costruire qualcosa di utile alla comprensione di processi molto ramificati. come ad esempio la storia. Questi modelli. ad esempio. ci mostrano 1..:omcla storia <ldk scienze non sia un processo cumulativo lineare, ma comporti al tempo stesso progressi e regressi, strade che vengono dimenticate nel momento in cui se ne imboccano delle nuove, oblio di pratiche razionali, e ancora più di tecniche concrete. Proprio in questo quadro, possiamo capire come la catastrofe sia il bordo del mélange, bordo del quale tutti si sono occupati, perché è più definito e razionalizzabile. Così, la filosofia è per lo più una teoria della catastrofe, soprattutto nella tradizione francese (distinto, in francese, significa catastrofe ...). A chi si occupa del bordo, del mosaico, il mélange fa orrore. Pensiamo agli autori classici: «orribile miscuglio», dice Corneille; e Shakespeare parla di «evi! mixture». Lo stesso razzismo, in fondo, non è orrore dell"altro', ma del mélange, del meticcio: «tu non avrai mia figlia». Ragion Pura. li Parassita Quando ho scritto Le Parassite, ero alla ricerca di due cose, di due vie che mi consentissero di uscire dalle immagini consuete (e superate dai fatti) con cui ci figuriamo l'organizzazione del sapere. Prima di tutto, cercavo una teoria semplificata dei rapporti umani; e poi mi serviva una logica molto 'soffice', che potesse valere per i fenomeni che ho descritto prima. Ora, l'immagine del parassita risponde bene a queste esigenze, obbedisce a una logica alquanto souple. Per varie ragioni: il parassita può essere un elemento assai piccolo, un microbo, un atomo, da cui si possono trarre conseguenze enormi. Il che mette in gioco una logica inconsueta, fatta di cause piccole e di conseguenze immense, proprio il contrario della logica tradizionale per cui l'effetto è pari o inferiore alla causa. Inoltre, gli effetti sono multidirezionali: il parassita può avere come conseguenza catastrofica l'entropia del sistema; oppure può garantirne la sopravvivenza, vaccinandolo e consentendogli di resistere alla catastrofe generale. Il parassita risultava così un operatore a più valori, che mi consentiva di muovermi in tutte le scene che mi potevo immaginare. Un modello valido sia da un punto di vista logico che naturalistico (partendo dalla figura del parassita e dalla sua opera di vaccinazione del sistema, si può ipotizzare una sorta di darwinismo capovolto ...). La bete de la pensée L'opzione per il fluido, per il parassita, e ora per il mélange, ha quindi anche un altro aspetto che ritengo centrale: quello di rimettere in gioco la ·concretezza', vorrei quasi dire l"utilità' del discorso filosofico. Mi spiego. Credo che molta della filosofia (e della scienza) che si fa oggi,_si arrabatti intorno a problemi già risolti; o che dispieghi comunque un apparato enorme per rispondere a domande di poco conto. Molto spesso, non è neppure chiaro qual è l'ostacolo da superare, la bete che si oppone al pensiero. È il caso, secondo me tipico, della filosofia analitica, che si pone problemi che hanno già avuto da gra,n tempo una risposta, o che riguardano questioni perfettamente 'inutili'. Anche quando costruisce delle ontologie (penso ad esempio a Kripke), la filosofia analitica in realtà non fa che recuperarne delle vecchie (in questo caso, quella di Leibniz, con il suo riferimento ai mondi possibili), senza aggiungervi nulla, tranne un percorso argomentativo molto più tortuoso. Cosl la filosofia analitica riassume in sé tutta la retorica della scienza, senza possederne i contenuti. È lo speculum della dialettica, che invece mette in opera lo stesso dispositivo parassitario per la storia e per le arti. La filosofia analitica è la ·pubblicità dei 'savants incolti', degli scienziati, mentre la dialettica è quella dei 'colti ignoranti', degli umanisti. Ora, per me, il solo compito della filosofia è costruire delle ontologie, delle ontologie che servano a spiegare qualcosa; cosi come quella di Leibniz, che ho studiato a lungo, mi spiega come funzioni la comunicazione tra sistemi separati. Se il nostro compito è fabbricare ontologie, esso presenta due condizioni imprescindibili. Da un lato, il rispetto di un principio di economicità, per cui l'aumento di complessità non deve essere presupposto, ma motivato solo dalla apertura di possibilità euristiche molteplici e differenziate. Dall'altro, la necessità di indagare campi del reale ancora inanalizzati, molteplicità ermetiche, che si dischiudono solo a nuovi strumenti: il mélange, il fluido, il parassita.
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