Alfabeta - anno IV - n. 41 - ottobre 1982

Scritturcaritica Walter Benjamin Lettere 1913-40 Torino, Einaudi, 1978 pp. 423, lire 10.000 Virginia Woolf MomenlS of Being Granada Triadi 1978 trad. it. Momenti di essere Milano, La Tartaruga, 1982 pp. 258, lire 4.800 Charles Baudelaire Scritti sull'arte a cura di G. Guglielmi ed E. Raimondi Torino, Einaudi, 1981 pp. 379, lire 50.000 Emilio Cecchi I gnndi romantici inglesi Milano, Adelphi, 1981 (2 voli.) pp. 471, lire 15.000 Mario Praz La crisi dell'eroe nel romanzo vittorJano Firenze, s·ansoni, 1981 pp. 456, lire 22.000 L e lettere di Benjamin offrono un punto d'osservazione privilegiato per lo studio del rapporto del critico con la propria forma espressiva: documenti ovviamente privati, esse ci riportano tuttavia all'interno del processo compositivo dei singoli saggi. mostrando come a ciascuno di essi sia sotteso un intenso e tormentoso lavoro di costruzione: «una cosa è sicura: per questo libro [i Passagen]. il momento costruttivo ha un'importanza pari a quella che la pietra filosofale ha per l'alchimia» (p. 309). E: «il lavoro costruttivo implica al tempo stesso la scelta della forma letteraria» (pp. 306-07). È un'apertura su un momento segreto della composizione: il saggio critico moderno tende a presi:ntarsi come discorso assoluto, reciso dall'io, e interamente dipendente dall'oggetto esterno. Per Benjamin si tratta, invece, secondo una metafora da lui più volte ripetut-a, di trovare la forza di «tendere l'arco» creando un'opposizione produttiva tra la tesi e l'antitesi del ragionamento, e il suo nucleo ideativo originario. È precisamente questo il risultato che egli si aspetta dalla forma, che dovrà riuscire a una vera e propria rifondazione della disciplina della critica letteraria; la forma letteraria è la pietra filosofale che aprirà il passaggio dal piombo all'oro: dal «balcone di ghisa• all'«anello di Saturno• (p. 309). A questo è chiamata in causa la costituzione umorale del critico; nel saggio emerge e si libera il particolare rapporto che chi scrive ha col tempo: «un modo di lavorare caratterizzato dall'attesa, dilatorio» (pp. 288-89), per salvaguardare il quale Benjamin non esita a farsi «complice» (p. 307) di circostanze esterne estremamente precarie, considerandole addirittura «provvidenziali• (p. 288), si produce in una scrittura rapsodica, prepotente nel ridurre il testo in frammenti, dilazionando indefinitamente il compiersi del senso; quello che si salva e viene portato allo scoperto è il tempo, lento biologico discontinuo, della lettura e dell'ideazione. Il critico ripete, rimette in azione il testo; ne estrae delle figure che lo rendono percepibile quasi visivamente, lo un passato. Il problema formale del saggio arriva cosi a sfiorare da. vicino quello dell'autobiografia: negli stessi anni in cui Benjamin cerca la forma dei suoi Passagen, Virginia Woolf, pur con tutta la sua esperienza di romanziera già alle spalle, si pone il problema di quale forma dare alle proprie memorie, e lo risolve decidendo di includere, in ogni momento di passato, il presente, quel tanto di presente che possa servire da «piattaforma su cui reggersi» (p. 86). Riempie cosi quel luogo vuoto che, nella me.norialistica, è sempre la persona cui accadono le «cose• (p. 75), e fa apparire in esso una figura; a quel punto è teso l'arco che anche per lei sospende la dialettica fra passato e presente, dalla sua prosa resi trasparenti l'uno all'altro. Dell'autobiografia e della critica, sembra dunque essere costitutivo un movimento del pensiero antitetico allo scorrere del tempo, una caduta dell'interesse per il presente in quanto tale. e un desiderio di appropriarsene per un percorso lungo, antinaturalistico. Al capitolo provocatoriamente intitolato Perché la scultura è noiosa, del Sa/on del 1846, Baudelaire offre uno spunto utile a illuminare ulteriormente il passaggio tra critica e autobiografia, come forme fondamentali dello scrivere moderno. Una statua è noiosa perché «mostra troppe facce in una volta• (p. 115): girandole attorno, si rischia di scoprire una bellezza diversa da quella che l'artista aveva calcolato e, in questo consentire troppa libertà di movimento, la scultura è fuori della modernità, «primitiva». La vera arte dei tempi moderni è la pittura; superficie pura, geometrica, il quadro non ammette che un solo punto di vista e fissa rigorosamente la posizione nello spazio di chi lo guarda: sono i bambini e i selvaggi quelli che vanno a guardare «cosa c'è dall'altra parte». Un lavoro analogo compie la critica, che sostituisce la superficie uniforme della pagina al volume naturale, irregolare, dell'opera, e dispone il lettore alla corretta osservazione di essa. Insieme alla pittura e alla narrativa - quest'ultima, dalla metà dell'Ottocento, anch'essa molto preoccupata del punto di vista - la critica entra in un processo globale di superficializzazione dell'esperienza artistica e della comunicazione. illuminano. Avanza in primo piano la Q uesto procedimento trova nella figura della ripetizione: l'atto critico si critica d'arte di Baudelaire una fa analisi interminabile, istituzione di delle sue espressioni più precoci una trasparenza fra strutture tempora- e compiute. Non è la bellezza oggetti- s ,Hro e èlra~UJl r'fonte earcdinto-dicuiècomesesifosse Paola Colaiacomo persa da gran tempo la misura-a interessare Il il discorso, bensl l'analisi degli stimoli nervosi che essa produce in chi vi si espone; si parlerà dunque sempre di effetti: di piacere, di noia, o di malinconia. Essenziale a questo tipo di critica è l'attenzione all'oggetto, strumento di mediazione fra esteriorità e interiorità, fra il quadro e lo spettatore: il dandy, la prostituta, la carrozza - attrezzerie da romanzo- escono perciò dalle tele, e il critico sembra compiere il gesto propiziatorio di offrirli al suo lettore. Cose concrete, materiali, sono anche i generi e le tecniche pittoriche: come il ritratto, il paesaggio, il colore; il dipinto è «traduzione•, caduta nella materialità, dell'unico dato veramente originario: il sentimento dell'artista. Con la metafora del tradurre è indicato costantemente il lavoro del pittore, e quello dello spettatore: quest'ultimo è «traduttore di una traduzione• (p. 291), punto ideale nel quale la materia visibile torna a precipitare nel buio della sensazione. Rispetto al cerchio perfetto in cui si salderebbe il passaggio _pittore-quadro-spettatore (o: sentimento-superficie-sensazione ), nel quale l'energia emotiva originaria non andrebbe perduta, ma sarebbe semmai trasformata, ben diversa sarebbe allora la condizione del lettore del saggio, costantemente in perdita di fronte all'oggetto che Il gli viene presentato. Dopo tutto, è il dato visivo ciò che uno scritto sull'arte mette di necessità tra parentesi; l'accesso alla traduzione eseguita da quella sorta di spettatore ideale che è il critico, non risarcisce il lettore dell'esclusione dal circolo delle emozioni primarie. Forse, alla lettura, egli chiede anzi proprio questa soddisfazione mancata; vuol essere preso nel suo giro di procrastinazione infinita, e ammesso, non meno stabilmente del critico e del memorialista, nell'impero della malinconia. Al pari del melanconico, egli perde interesse all'attuale, che per lui è il quadro, e lo riduce al rango di mero supporto dell'esistere, ossia dell'atto della lettura. Nella teoria dei sentimenti del pubblico moderno, che gli scritti di Baudelaire sull'arte compongono, la malinconia domina a tutti i livelli: «alta e severa( ...) unica e pertinace» (p. 75), essa esala dall'opera dipinta di Delacroix; profonda avvolge il critico, che ha trascorso «ore e ore• (p. 77) a sfogliare stampe libetine, e il lettore, tanto più ricettivo perché «educato dalla solitudine• (p. I 83). Nella disposizione melanconica, critica e autobiografia svelano la loro affinità; entrambe tendono verso la pittura, come oggetto ideale del loro discorso: Proust usa costantemente il riferimento all'immagine dipinta per realizzare i legamenti tecnicamente più difficili tra presente e passato; «se stessi dipingendo il mio ritratto», «se fossi una pittrice», ripete continuamente Virginia Woolf nelle sue memorie, esprimendo cosi il desiderio di liberare la penna dalla fatica di una rappresentazione tutta attuata con segni astratti, quali sono le lettere dell'alfabeto. Alla luce di queste considerazioni, non è azzardato leggere il corpus della critica, letteraria e d'arte, come un patrimonio di scrittura analitica: di analisi e costruzione della sensibilità di critica: il piacere, ha detto Barthes, cdi osservare clandestinamente il piacere dell'altro». Infatti, l'altro, il critico, qui non si mostra nel suo prodursi simultaneo all'atto della lettura, ma si pone come soggetto compiuto prima e al di fuori di essa, e dotato semmai di una rara capacità di penetrazione, di una sensibilità che semplicemente gli permette di vedere di più: che è come dire che non viene a compimento l'intuizione romantica, di cui pure questa prosa è un risultato, secondo la quale la forma della critica si dà unità in quella dell'autobiografia. E tuttavia, pur con questo limite di chiusura, la prosa di Cecchi arriva a «uscire» dal testo, per andare a occupare il terreno intermedio che Io separa dal lettore: compie cioè quell'opepubblici specializzati. Forse, in questo razione spuria con la quale la critica momento storico, siamo particolar- letteraria moderna si conquista uno mente predisposti a coglierne la quali- spazio formale proprio. Come oggetti tà di forma espressiva direttamente duri, autonomi, non certo come ausilio strutturante il sentire, e siamo anche a una facile mediazione, essa impone spinti a guardare indietro e a tornare a al lettore le proprie figure: in questo leggere opere critiche che, cronologi- senso fa ancora il suo effetto il paragocamente, si collocano in fasi cruciali ne, che a suo tempo fece scandalo, deldello sviluppo del pubblico moderno. la qualità visiva della poesia di Cole- ) ridge con la pittura cinese antica. e redo che a un interesse di questo In particolare, è sul tema del paetipo risponda, da noi, la ripubbli- saggio, entità stilisticamente ambigua cazione di un libro «inattuale» e perché permette di tenere il discorso «superato» come I grandi romantici nel doppio referente della parola e delinglesi di Emilio Cecchi, già apparso l'immagine, che Cecchi ha alcune delle nel 1961 (Sansoni editore), e nel 1915 sue osservazioni più sottili, come come Storia della /e11eraturainglese del quando, a proposito di Wordsworth, secolo XIX (Fratelli Treves editori). ricostruisce il nesso moderno paesagLo spostamento nel titolo è già signifi- gio-malinconia. cativo: a quasi cinquant'anni di distan- Ed è pure il paesaggio a suggerire, za, doveva esser maturata nell'autore attraverso le numerose connessioni la volontà di riconoscere al suo lavoro con la pittura ottocentesca, la maggior la qualità di una interpretazione, piut- parte delle illustrazioni, che sono qui tosto che di una ricostruzione. parte integrante della ricerca, anche se Che l'intenzione «storica• non fosse la recente edizione Adelphi le ha elibastata a produrre un linguaggio del minate. Ancora, nel segno dell'attentutto trasparente e indifferente al pro- zione al paesaggio, al carattere privato prio oggetto, era stato dimostrato nel e dimesso che hanno tante descrizioni frattempo anche dall'esterno: dall'in- romantiche della natura, questo libro terruzione del progetto originario, che apre al Praz de La crisi dell'eroe nel prevedeva una seconda parte dedicata romanzo vi11oriano (1952), di cui è staal «chiarimento• (p. 16) della com- ta data recentemente la ristampa. plessa relazione degli scrittori vitto- Posta fin dall'inizio sotto il segno del riani coi loro antenati romantici. Baudelaire teorico della bellezza artiL'atteso chiarimento non ci fu, sic- stica intesa come piacere, utilizzabiliché il libro di Cecchi, quando riappar- tà, una bellezza fatta di elementi «relave, segnalò molto opportunamente, tivi• (p. 11 O), la scrittura di Mario data l'epoca, la caduta dell'illusione di Praz procede esplorando la zona di •una critica letteraria che neutralizzas- confine tra i romanzi vittoriani, oggetse il proprio oggetto, tutto spiegandolo to dichiarato del discorso, e la sensibidentro di sé. Né è senza importanza lità del lettore moderno del saggio. che un tale avvertimento ci venisse da Anche quest'ultimo vive qui una sua un'opera dedicata alla letteratura «crisi»: come l'eroe non riesce più ad romantica, e proprio negli anni in cui avere un'esperienza di forrnazione alstudiosi come George Hartmann e l'altezza degli ideali romantici e rivoHarold Bloom si accorgevano della luzionari - questo è il filo conduttore centralità della riflessione su quell'e- esterno - nemmeno chi legge può acsperienza poetica: oggi gli stessi costarsi alla bellezza assoluta, ali' Arte. Hartmann e-Bloom, insieme a Derrida La sua attenzione è piuttosto educata a e a De Man, sono tra i principali espo- riconoscere nei romanzi gli oggetti delnenti e divulgatori - per quanto può la vita quotidiana, sicché l'atto stesso esser divulgata una scuola che si è con- della lettura si colora della tonalità quistato il soprannome di «mafia er- melanconica dello stile Biedermeier. meneutica» - del metodo decostruzio- Con la mediazione della pittura, e nista, la cui ipotesi dell'interminabilità numerosi sono i quadri d'interni che dell'atto interpretativo poggia preva- appaiono in questo libro, ninnoli, lentemente sullo studio di «grandi specchi,quadri-tuttal'infinitasuppelromantici inglesi• come Wordsworth e lettile che arreda un romanzo - può Shelley. esser visivamente posseduta, consuCosa trova il lettore nella prosa cri- mata; ridiventa oggetto, illustrazione, tica di Cecchi? Non certo una descri- traduzione. Anche l'atmosfera immazione ancillare alle poesie, che gli procuri l'illusione di esser direttamente tradotto all'interno di esse; ma nemmeno una scrittura che coraggiosamente si immerga nel particolare, e lo salvi, aprendo a partire da esso il processo interpretativo. Qui ha origine la «chiusura• del critico rondista, che è soprattutto sperimentata dal lettore come procedimento rivolto a escluderlo, a defraudarlo del suo piacere specifico di lettore di teriale di un paesaggio si fa cosa, bene privato: come quando vien detto che, nelle descrizioni di George Eliot, «un compatto paesaggio irrompe nella psiche• (p. 378). Perfino Roma, la città santa del pittore David, è offerta, in una splendida appendice, come oggetto da godere, da percorrere: col sudiciume e la rovina che vi trovarono i vittoriani, i soli che si siano mai provati a usarla da jfaneurs. :::

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