S•risi di911!.!.ntcthi iostri ti Il gallo del Chuhire» è stato fapprodo della esperienza condetta nei melltldri del fantastico COlltef'IJPOraneodella SUII retedi '!'elV di diffusione dal colkttivo de «Un'ambigua utopia». I lettori dell'omonima rivista e i frequentatori della libreria «La porta sull'immaginario» (sede milanese della cooperativa) sanno che questa esperienza si è lungamente identificatacol tentativo di affrontare lafantascienza da un nuovo punto di vista, col tentativo cioè di occupare la <tte"a di nessuno» che si estende fra il consumo di massa della na"ativa e del cinema di SF e Fantasy e l'interesse dedicatogli da un assai più ristretto pubblico di studiosi e critici. Il lavoro di quest'ultimi, con poche eccezioni, si è risolto in specialiuazione critica di un «genere» letterario e cinematografico o in sofisticati giochi di proliferazione degli universi possibili, senza offrire una descrizione convincente delle relazioni fra scienza tecnologia e immaginario sociale, né tantomeno influire sulle modalità di fruizione di questi prodotti culturali. Il nuovo approccio consiste nel non considerare la fantascienza come oggetto di analisi e/o di consumo, ma come osservatorio, come uno sguardo rivolto su tutte le altre forme di espressione culturale e sulla vita quotidiana, una SF non più interpretata ma interpretante. L'approccio si è rivelatodi particolare efficacia nei confronti della tematica cissimi strumenti, cotali gli odori ... ». Il sipario, che qui vela e occulta quel fondale su cui ~ dipinta Firenze, introduce allo spettacolo, apre a un vero e proprio rito di riconoscimento dove gli spettatori, spesso nominati e cantati sulla scena, non solo si rivedono come personaggi, come attori, ma ravvisano anche i luoghi a loro noti, la loro città con le sue belle cupole, i suoi palazzi, i suoi giardini. L'identificazione con quanto è figurato, ossia il trasferimento nella simulazione, si compie all'aprirsi della tela che, «in uno stante», trasporta «i ragguardatori» in mezzo alla meraviglia e allo splendore, dei simulacri. L'imprevisto, escluso ormai dal testo che si è ridotto a «genere», si disloca nel virtuosismo prospettico e nel1'«ars mechanica»: la natura è camuffata e contraffatta a tal punto che il confine fra il reale e il sogno viene a cancellarsi, la distanza fra la verità e la sua rappresentazione ad essere abolita. Per il Marino, «del ver più bella• appare la menzogna e il miracolo delle prospettive scenografiche e degli angeli di stucco, l'illusione ottica degli apparati posticci, il delirio dei finti cieli. testimoniano che è già avvenuto lo scambio fra Arte e Realtà: <...l'oeil souffrant de douces impostures, /Confond tous les objets avecque leurs figures» (Habert de Cérisy). La natura si è mutata nel suo scenario, nella sua immagine tecnica e spettacolare; tutto lo spazio fisico si è trasformato nella sua metafora figurativa; la vita stessa e il mondo intero, in un gioco di specchi che si moltiplicano e si rinfrangono all'infinito, «altro non è che una scena od un teatro ove si fa continuo spettacolo delle nostre azzioni» (L. De' Sommi, Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche). La società elegante ritrova la propria illusoria identità nel mondo immaginario del melodramma, la cui azione (quasi necessiti di un duplice prologo) viene introdotta da una ouverture vocale o strumentale prima ancora che si levi il sipario. Il popolo invece si riconosce immediatamente nell'astrattezza psicologica dei tipi fissi, nell'espressività codificata delle maschere della Commedia dell'Arte. la cui parola fortemente teatrale, volendo entrare subito in argomento, "'-della .-dar.ione: leggerei teorici della societkJllei simlllt,cri - come Baudril- "1ard-4a punto di vistadi narratori che , 'IISSai~a ·di "lflllla soçietà avevano ,,:jl,n~o-come Dick-, non ha-solo voluto dire ricostruire il percorso genetico di Mn concetto, ma restituirglivitalità prOilMltiva oltre l'usura delle mode culturali. Le teorie della simulazione hanno interpretato in senso nihilista la riduzione dello scarto fra il realee il simbolico operata dalle nuove tecnologie dell'informazione e dai corrispettivi codici e modelli di organizzazione sociale: il grande mito della scienza moderna è divenuto utopia concreta, si è incarnato nel modello di simulazione; il testodella na"azione teorica non rinvia più a referenti esterni, il suo compito non è più il controllo della realtàsociale ma la sua produzione, la produzione di una sostanza sociale iperreale. La narrativa fantascientifica situa invece il simulacro al centro del suo dispositivo mitopoietico, al di fuori di ogni velleità«critica». Se si acceitaquesta lezione (se si abbandona cioè la logica del confronto critico fra «miti di ieri e di oggi» e si decide di partecipare direttamente e attivamente alla creazione mitopoietica), il simulacro non appare più come un concetto fondativo ma come la superficie immaginaria che si sviluppa assieme alle relazioni fra soggetti sociali e ambiente tecnologico. Rincorrendo le omologie fra immaelimina ogni schermo: non solo il sipario, ma spesso anche l'antefatto dell'intrigo. Poi, quando tutta la realtà si proietta e si raddoppia nella scena, quando non più soltanto la corte vive come in una «comedia universale», fra sala e palcoscenico viene a stabilirsi una linea di continuità. Allora sembrerebbe non esserci più bisogno di sipari: l'opera - simbolo perfetto dell'alienazione - «si apre» agli stessi osservatori, li inserisce nello spazio della sua «fabula» fino a dar vita a una sorta di teatro nel Bibl1otecag1nobianco ginario tecnico-scientifico e vita quotidiana, la ricerca è cosi approdata alla «fine della fantascienza», si è cioè trasferita sul terreno delle pratiche di simulazione massificate per riconoscervi i grandi temi della nar~ativafantascientifica convertiti in modelli operativi di comportamento sociale, in processi concreti di trasfor~azione dei soggetti collettivi ed individuali. Rassegna di teorie e pratiche della simu/a:r.ioneraappunto il sottotitolodel «Gatto del Cheshire», che ha ospitato spettacoli teatrali,performances, dibattiti, mostre, videogames e altre macchine da gioco. Sarebbe però inutile fare una cronaca articolatasecondo le varie sezioni della rassegna, in quanto nulla di ciò che avveniva poteva esser preso «alla lettera»: oggetti, gesti, parole, musiche ... tutto veniva miscelato in una massa di materiale grezzo a disposizione del pubblico perché ognuno si costruisse il «suo» spazio. È quanto faremo anche noi, ricostruendo un'immagine retrospettiva rigorosamente soggettiva di un qualsiasi momento della manifestazione, fra il 20 e il 23 '!"aggio scorsi. Descrizione di un percorso. Ingresso con copie del sorriso del Gatto di Carroll: la traccia di un sentiero di vecchie scarpe ed uno schermo televisivo che rifletteva - infedelmente, come tutti gli specchi - quanto avveniva all'interno; strano accostamento che schiudeva l'accesso ai quattro chiostri dell'UrnaBernini). Ne deriva una specie di vertigine, un turbamento: «Perché ci inquieta tanto che la carta sia inclusa nella carta e le mille e una notte nel libro delle Mille e una notte? Che Don Chisciotte sia lettore del Don Chisciotte e Amleto spettatore di Amleto? Credo di averne trovata la ragione: inversioni di questo genere suggeriscono che se i personaggi di una finzione possono esserelettori o spettatori, noi, loro lettori o spettatori, potremmo essere personaggi fittizi» (J .L. Borges, Inquisiciones ). E a dinitaria messi a disposizione della manifestazione e ne anticipava il gioco di mescolanze assurde e sttanianti: la rugosità quasi archeologica del luogo e i suoi percorsi interiotti chesi disperdevano in piccoli spazi e non si declinavano con televisori, videòg~mes e flipper, oggetti strappati alla familiarità a creare un alone dl choc e di oblio. Chiostro dei glicini. Il gruppo lpado' allestiscelo scenario del-suospettacolo. Il telone, bianchissimo, non del tutto teso, fa risaltarela nervatura dei glicini. Telone e colonne possono ora confondersi ed attirare nella rete di un inganno, scelta obbligata di accesso alle stazioni successive. Chiostro dell'idolo. Nel prato di fronte al bar, richiamo ecologico appaltatoaspacciatoridi succhi e gelati«naturali» e di meno rigorosi hamburger, i Santagata-Morganti hanno lasciato una statua dal sorriso enigmatico, arcaica e ironica. Ombrelli bruciacchiati pendono da un fil di ferro teso come una quinta, residui di uno spettacolo intemperante della sera prima. Il videogame canoro e il flipper parlante confondono tentativi di sguardo d'assieme dissolvendo il fondale sacro del convento di suore di clausura oltre un muro altissimo. Chiostro della religiosa (Madonna?). Decorato dalle tracceevanescenti delle verdi sciabolate laser del Marchingegno e dagli echi stridenti dei decibel elettronici, con qualche memoria tuire la nuova differenza, vale sempre il sipario, ovvero l'orlatura e il limite ambiguo della scena. S u questa realtà resa finzione, che il Settecento inquadra nella cornice delle sue sale a palchetti, agiscono gli illuministi: vorrebbero razionalizzare l'illusione (in-lusio = entrata in gioco), 'personificarla', darle una sede stabile e a sé stante. Contro un teatro ormai come un salotto, dove si celebra il rito borghese del guardare e dell'esser guardati, dove «si parla fn e dalla plat,'a al palcn». dn\'l' ncsdi una lieve e infantile nevicata di bolle .. di sapone. Unico abitante una ossessiva suora (Madonna?) nera, rincantuccia- •• ta • in un angolo contro il muro. Chiostro del cane. Grande con immagini· da giardino romantico. Un grande albero cupo, rivestito da strisce di plastica coloratissima che versa i rami in una vasca di ninfee-specchi per un cane di pietra legato alla catena. Un libro (finto), uno specchio, ali d'angelo in plexigas, un cubo di sughero con finestre e una porta colorata di azzurro, velati da un pesante tendaggio. Lungo tutto ilpercorso altrisorrisi di gatto, schermi televisivi che a tratti lasciavano filtrare immagini e suoni di dibattiti «in differita» di attendibilità tanto scarsa da risultare interessanti. Due deviazioni: la sala dei calcolatori, due terminali Honeywell che potevano simulare giochi infantili o rispondere a domande serie, e la sala degli ologrammi, grumi di luce nella penombra a dare spessore inesistente ad una realtà ora fantastica - un drago-, ora banale -un rubinetto - ora erotica - due donne in amore. Il gatto del Cheshire Rassegna di teorie e pratiche della simulazione Milano, 20-23 maggio 82 suno più si meraviglia «di svegliarsi all'improvviso e applaudire a chi stona» (Parini), gli architetti italiani pensano a un luogo di riunione collettiva, a un «tempio della società», a una «sede ufficiale della cultura» (Maria Preti) e sognano uno spettacolo che sia scuola di edificazione, recita di valori, «macchina pedagogica• (Milizia). La «quarta parete», grazie alla civile democrazia del secolo dei lumi, parrebbe destinata a sparire: «Gli spettatori debbono far parte anch'essi dello spettacolo, ed essere in vista come i libri negli scaffali di una biblioteca, come le gemme ne' castoni del gioiello• (F. Algarotti, Saggio sopra l'opera i11musica, Livorno, 1703). L'inganno del pubblico dovrà fondarsi - secondo Diderot - sulla verità di quanto avviene in scena, non più sulla convenzione teatrale. E i sipari (che ne sono parte), perduto il loro primo carattere allusivo e fantasmatico, sopravvivono con il ruolo sempre più modesto e strumentale di regolare i tempi dello spettacolo. Il loro uso non solo continua per tutto l'Ottocento, ma si specifica, si differenzia (nascono accanto ad essi le grandi cortine di velluto e i «comodini» o siparietti), si definisce nei termini attuali. Ancora la magia e il fascino non cedono però del tutto alla tecnica e alla funzionalità ... A rileggere le cronache della «Gaz- ,a ladra» di Rossini per l'inauguraziom! del Teatro Nuovo di Pesaro colpi- ,ce la magnificenza e la frenesia delle feste, e pare addirittura che la spettacolarità si decentri dalla scena nel tessuto sociale, che la recita continui fuori dal teatro e alimenti echi e risonanze nelle conversazioni mondane fra «la gioventù scelta ed elegante» della citti1.Correva l'anno 1817: come ai vecchi tempi, un grande sipario (aulico e mitologico secondo la moda neoclassica) dava il via alla «memoranda serata» che si concludeva con il ballo: «Si terminò dopo le tre del mattino, e quando il pubblico sortiva dal teatro albeggiava» (C. Cinelli, Memorie cro11istorichedel teatro di Pesaro dal 1637 al /897, Pesaro, 1898). Quella tela, molto più che un prologo figurato dell"opera da rappresentare, tornava ad essere quasi il frontespizio di lunghe nottate di festeggiamenti. .. Il teatro in quanto tale è però destinato a morire e, non·a caso, spariscono - sostituiti da anonimi sipari di velluto
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==