Alfabeta - anno IV - n. 38/39 - lug.-ago. 1982

b li sipario restituito (contributi storico-critici e mostra, a cura di Valerio Morpurgo) ,I Comune di Pesaro, 1981 i Roger Caillois . I giochi e gli uomini I La maschera e la vertigine I Milano, Bompiani, 1981 , pp. 252, lire 8.000 Ludovico Zorzi li teatro e la città Torino, Einaudi, 1977 pp. 363, lire 25.000 I sipari vivono di rimandi a pié di pagina in testi sul teatro, sull'architettura, sulle scene; di cenni in vecchi studi di prospettiva o in trattati sul modo di rappresentare le favole anti1che. Più che vivere, dormono in libri ' polverosi, oppure tornano a splendere - ma di luce riflessa - nell'universo fittizio del gioco e del travestimento (mimicry ); ad essere di nuovo citati per esemplificare il circolo stregato di gioco e lavoro, finzione e mestiere: «Anche per l'attore, la rappresentazione teatrale è una finzione. Si trucca, si traveste, simula, recita. Ma quando cala il sipario e si spengono le luci, ricade nella realtà. La separazione dei due universi resta assoluta• (/ giochi e gli uomini, p. 63). Recentemente, in occasione del restauro del sipario dipinto nel 1818 dal Monticelli per il teatro Rossini di Pesaro, hanno goduto un fuggevole momento di celebrità, destato qualche interesse, avviato una ricerca a mio , parere insolita e curiosa, perché spinge a rimescolare le carte per attraversare più segni, più storie, più zone culturali. Infatti, a ben pensarci, il sipario non solo intreccia fra loro diversi linguaggi, ma deborda da ogni lingua specifica, esce dai binari, si ritrova spiazzato e spaesato rispetto a qualsiasi codice. Al confine dello spazio scenico, non è solo la barra fra la rappresentazione teatrale e il suo destinatario, ma un orlo, una linea - reale e metaforica- di frontiera; un segnale che «vuol dire», addirittura lo strumento e il limite della comunicazione: a seconda che si apra o si chiuda, si stabilisce oppure cessa il rapporto comunicativo fra emittente e ricevente. A volerne ripercorrere la storia (che illumina tra l'altro anche quella del teatro), si può far leva solo su tracce e indizi marginali, a meno che non si riprendano in mano i vecchi dizionari. oppure le cronache e le descrizioni degli spettacoli di un tempo. La parola - formulata sul verbo latino «separare» - entra in uso nella lingua italiana solo verso la fine del Settecento. A partire dall'età medievale sino al vocabolario della quarta Crusca (1746-1748), accanto a «tela• è attestata con maggiore frequenza la voce «cortina» per «tenda che cuopra la scena» e si cita a mo' d'esempio I'Ariosto che usa il termine al plurale: «Come al cader delle cortine suole parer, tra mille lampade la scena• (Orlando Furioso, 32, 80). Già nei teatri greco-romani, prima di legno («che si potevano fare e disfare•) e poi «di fabrica», veniva lasciata cadere una tela frontale (aulaeum) che copriva l'intera scena «dei rappresentanti», oppure un siparium che, all'occorrenza, ne celava una parte dietro gli attori. Ma gli schermi di quell'antico anfiteatro situato all'aperto erano soltanto funzionali alla mutazione degli Atti, giacclìé i recitanti e il pubblico, la scena e i sedili per «l'udienza• erann uniti quasi in un sol corpo. Il sipario che allude a una separazione fra spettacolo e spettatori, appartiene al mondo moderno: occultamento e distanza sono «qualità» sconosciute anche alla mise-en-scènL' medievale, il cui feroce realismo chiede al destinatario di partecipare attivamente al gioco, non di restare fuori. a guardare. Nelle sacre rappresentazioni inscenate in spazi teatrali non unificati tra loro, l'azione si svolge in piena luCL' come in un grande affresco murale o in ~ polittico i ente-. È 1 ontttt,sia Storia cltl/; sipario multanea; non consente intervalli o vuoti temporali: ciascun attore, infatti, anziché passare da un luogo deputato all'altro, è già presente sulla scena nella tribuna a lui destinata. Se l'evento teatrale viene parzialmente celato da velari che scendono ora sulla quinta ora sull'altra, oppure da cortine-siparietto che chiudono i palchi allegorici disposti lungo il percorso in cui sfilano cortei e processioni, è solo perché la comunità dei fedeli non si distragga dai troppi scenari situati nelle mansiones, tutti sullo stesso piano. Ma dai molteplici luoghi immaginari a foggia di edicole, dalla messinscena policentrica e corale, dalla promiscuità di attori e spettatori, si passa - sulle orme della concezione unitaria dello spazio espressa dal!' Alberti - alla scenografia-rinascimentale, che coordina prospetticamente gli edifici più emblematici della città nell'unico e astratto spazio della scena. Il polittico medievale entra in crisi fin dal 1453, allorché Brunelleschi, per uno spettacolo da tenersi a Firenze, progetta una·« macchina• con cui unificare tre azioni: il mistero del1'Annunciazione, la discesa dell'angelo e il moto dei cieli. Ma è con la «riscoperta» del trattato De Architectura di Vitruvio (1414) e col De Aedificatoria di Leon Battista Alberti ( 1485) che si comincia ad avvertire - sull'esempio dei teatri dell'antica Roma - l'esigenza di «rinchiudere• spettacoli e rappresentazioni, di unirli culturalmente in un sol luogo. Il sipario moderno nasce come bordo e cornice di quest'unico spazio misurabile e definibile. È quasi la metafora- in un universo che ha già cristallizzato e trasferito la realtà in una sala cortigiana - di un doppio schermo, di un doppio velo che recinti e distanzi anche «la favola». È per la prima volta con Leonardo che si parla di una «tenda che occulta la comedia» e, fin dal 1490, i dispositivi usati per questo sipario «a caduta» sono analoghi a quelli rinascimentali. Nella Festa del Paradiso, da lui allestita in una sala del Castello Sforzesco a Milano, la scena non è più statica ma mossa meccanicamente; non costituisce solo lo sfondo dello spettacolo, ma si anima e quasi prende parte all'azione drammatica al pari degli attori. Anche il pubblico ne è coinvolto: letteralmente bombardato dal susseguirsi di sorprese sonore e visive, entra 'nel gioco' e vi permane finché, quando crede d'aver raggiunto il Paradiso dove sono «canti et soni molto dolci e suavi•, due sipari- uno di raso e uno di sarzo - che calano prima e dopo l'annunzio dell'angelo, s'interpongono alla sua illusione, ristabilendo le distanze tra la «comedia• e la vita. Se la strabiliante scenotecnica di Leonardo aprirà il cammino alle invenzioni barocche, per il momento l'arte, che muove i primi passi come scienza del «vedere», elegge a suo modello il mondo antico e si accanisce a restituire la natura e la meccanica teatrale della classicità. Negli Spectacula ( 1486-150 I) del ferrarese Pellegrino Prisciano, anche l'immagine del teatro - o festa o ludus scenico, che si risolve entro lo spazio circoscritto della città - rinvia ai primi Greci, che trasformarono in «spettacolo urbano• i sacri riti agresti celebrati all'aperto: «Si come quelli primi agricoli in li giorni feriali celebravano soi sacrificii a diversi soi dèi per boschi, campagne et ville, cusi li athenesi prima, tal aggreste principio revolgendo in spectaculo urbano, lo chiamonno theatro: cioè visorio, nel quale, stando grandissima turba, dala longa ancora senza impedimento alcuno vedesse e potesse anche esser vislo•. e ol Rinascimento, allorché la prospettiva si sviluppa come «tecnica•, non solo lo spazio fisico e molteplice della realtà viene figurato o costruito su di un'unica scena, ma anche il luogo che ospita lo spettacolo si concentra e si fa uno. Per le feste d'intrattenimento o per le rappresentazioni si adatta occasionalmente una sala, oppure il cortile di un palazzo nobiliare, principesco o papale: quindi, dentro questo mondo già chiuso, viene tracciato un altro confine, una seconda barra, non più soltanto con uno steccato o con transenne parallele alla scena, ma anche con una parete divisoria situata al limitare della «piazza del teatro•. Come nel famoso gioco delle scatole cinesi, l'area adibita a spettacolo si fa via via sempre più stretta. Dai «boschi, campagne et ville• si passa allo spazio urbano; dalla concreta città medievale, alla città effigiata sul palcoscenico: in una parola, al vero teatro, che costringe lo spettatore, anziché a viverecon l'anima e col corpo- un rito sociale collettivo, a limitarsi a guardare e godere solo con gli occhi. È da questo «visorio• astratto e colto, che hanno origine i primi edifici teatrali !)l'Ovvisori con le gran tele dipinte nel proscenio. Quando al fervore filologico sugli incerti passi di Vitruvio si affianca l'esegesi dell'Onomasticon del grammatico Giulio Polluce (prezioso per i sugge,imenti sulla scena, sull'attrezzatura tecnica e sulle macchine del teatro greco) si sottolinea, del sipario, la funzionalità all'opera teatrale: «I sipari erano drappi o tavole con sopra dei dipinti che obbedivano alle esigenze dei drammi: venivano stesi sui periatti e rappresentavano un monte, il mare, un fiume ...•. Ma se un tempo sul palcoscenico erano raffigurati simbolicamente. per cenni. alcuni luoghi dello spettacolo, ora vi è rappresentata - quasi in un galante omaggio al signore - la città dove ha sede la festa. Già nella commedia/ Suppositi del- !' Ariosto ( 1509), la scena non è più uno spazio fantastico, indicato genericamente da «case, chiese, torre, campanili et zardini•, ma la stessa Ferrara, che gli spettatori ammirano dipinta e oggettivata davanti a loro. La società rinascimentale si autocontempla in quel teatro: è come se si guardasse in uno specchio. A Firenze, la scena non è che lo scenario del potere mediceo. Di un potere che ha necessità di rimuovere o dissimulare il vero, di travestirsi o nascondersi «dietro una 'tenda' pratica o metaforica, eretta a diaframma tra il margine dell'apparente e l'ordine del reale• (cfr. Zorzi, Il teatro e la città, p. 64). Quel segno interposto non è però solo uno schermo: è anche una superficie speculare che raddoppia la vita cortigiana, rinviandole un'immagine di sé e della propria città, simile ma non identica, perché senza dubbio più splendente dell'originale. Il primo sipario dipinto, di cui ci sia stato trasmesso il ricordo, fa il suo moderno ingresso nella festa del dicembre I565 per le nozze del principe Francesco Medici. Nel Salone dei Cinquecento, quando va in scena la commedia La Cofanaria di Francesco D'Ambra, tra le maggiori novità si segnala l'uso di una cortina di dimensioni ragguardevoli, decorata da Federico Zuccari con un paesaggio di caccia: una «vaghissima e grandissima tela• sostenuta da un cornicione, destinata - afferma il Lasca - a «nascondere dietro a sé la prospettiva della commedia e a sottrarla gelosamente allo sguardo degli spettatori, sl da accrescere all'uopo la loro curiosità e la loro sorpresa•. Festeggiamenti per matrimoni, spettacoli e celebrazioni - che sono le nuove armi del mecenatismo signorile - si moltiplicano: nel 1586, nella sala degli Uffizi (ovvero nel primo teatro permanente) il granduca di Toscana fa allestire «senza riguardo di spesa• l'apparato e gli intermezzi dell'Amico Fido di Giovanni de' Bardi all'architetto e scenografo Buontalenti. Le testimonianze iconografiche sono andate perdute, ma a ricostruire l'evento resta la cronaca di Bastiano de' Rossi: un minuto ragguaglio che indugia enfaticamente sull'inganno degli occhi, ,ul gioco di ombre e luci prodotto dalle 1 orce di cera, sulla lontananza, sul carattere illusionistico non solo dello ,pazio scenico ma di tutto l'ambiente t.:atrale, truccato e fiorito come un giardino. S i può riconoscere, con Gérard Genette, che l'arte e la natura sono diventate «mondi rivali che ,i sfidano senza sosta• e, ad un tempo, « mondi gemelli il cui gioco favorito ,.:mbra consistere nel farsi passare l'uno per l'altro» (Figure I, Einaudi, 1969, p. 167). Qui l'immagine pittorica, che «all'occhio si rappresentava per vera», , ince il suo stesso modello: la Natura, «a comun giudicio•, è «quasi superata dall'arte•. Anzi, è la scena la vera natura: una natura «seconda•, rappres.:ntata e trasformata in spettacolo. Gentildonne, «principi e gran signori• ,i accomodano intorno al proscenio, mentre le luci, la distanza, il gioco della prospettiva fanno «dolcissimo inganno• e abbagliano «lor la veduta•, lasciando presentire e vedere la realtà H, dove è l'artificio e la finzione. Finalmente, nel silenzio generale, «dal Granduca è dato il cenno•. Un ,olo e semplice gesto del Potere dà abbrivio alla magia del mutamento, della metamorfosi scenica totale: «In uno stante, con maraviglia indicibile, si kvarono dinanzi agli occhi dei riguardanti, le cortine, che coprivan la scena, e parve che si convertissero in due ric- ,·hissimi gran panni di velluto rosso, ,:i,n bellissimi e gran napponi d'oro e di ,eta, che eran dall'una e dall'altra handa. E al loro cadere parve quasi ,·he il Paradiso s'aprisse, cotale fu la , .:duta dell'imitata nostra città, cotale lo splendore, cotale l'armonia de' dol-

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