..., della società. La conseguenza fu la comparsa, su scala abbastanza ampia, di fenomeni di «scambio» di decisioni pubbliche contro denaro privato. Agevolarono il fenomeno la presenza di forme di intervento-propulsione statale in alcuni settori delle infrastrutture (ferrovie, industrie belliche, «compagnie» coloniali ecc.) manifestatosi in tutti (o quasi) i paesi. Ma la vecchia definizione della corruzione, elaborata all'interno di società nelle quali il privato era decisamente separato dal pubblico, continuava a poter essere adoperata, nonostante le modifiche che il rapporto tra queste due categorie andava man mano subendo. Si guardi, ad esempio, alla situazione italiana degli ultimi decenni del secolo decimonono. Gli scandali furono molti e frequenti: «Chi potrebbe enumerare-scriveva Franceso Saverio Merlino nel 1890 - tutti i furti, tutte le malversazioni, tutti i peculati commessi in questi trentanni a cominciare dal saccheggio delle chiese e delle casse dei governi caduti, nel 1860, sino al sacco delle biblioteche Vittorio Emanuele, Sant' Andrea al Quirinale, Libreria Archeologica ecc. soltanto a Roma e alla scomparsa di oggetti di inestimabile valore conservati al museo Kircher e in altri, e persino di alcune delle più preziose vestigia dell'antichità; dalle corazzate costruite in America nel 1861 e pagate, per intercessione interessata dal re, benché una commissione tecnica le avesse dichiarate inutilizzabili, fino ai 2.000 muli e ai cammelli malati di rogna e ai viveri avariati forniti alle truppe d' Africa nel 1887 e alle altre malversazioni del ministero della guerra rivelate dal generale Mattei e dai testimoni ascoltati al processo di Piacenza; dagli appannaggi regali concessi ai prefetti, dalle gratifiche cumulative intascate "per distrazione" dai ministri di origine burocratica sino alla immensa mangeria delle pensioni civili e militari segnate nel bilancio e per le quali lo stato ha dovuto fare alla Cassa delle pensioni istituita nel 1879 una rendita di 36 milioni?»2 . La «corruzione» si muove ancora, nonostante la sua accresciuta diffusione, sulla base del modello tradizionale (privati che si servono illegalmente del pubblico per arricchirsi, nelle forme molteplici elaborate dalla scienza giuridica: peculato, corruzione vera e propria, concussione ecc.). L o stesso scandalo per eccellenza di fine secolo, quello della Banca Romana, al quale alcuni commentatori hanno fatto riferimento parlando della corruzione nell'Italia attuale, appare «tradizionale» nelle sue strutture e nelle sue dinamiche. La vicenda è nota. Disposta una ispezione straordinaria (con un decreto del 30 dicembre 1892) sugli istituti di emissione, quando il commissario Martuscelli aveva proceduto alla ispezione della Banca Romana, aveva notato che si era verificato un eccesso abusivo di circolazione per oltre sessanta milioni e che dalle casse della banca mancavano lire 28.596.106. Sia l'eccesso di circolazione che la mancanza di danaro dalla cassa erano • stati occultati nelle situazioni di cassa, nei registri contabili e nelle esposizioni ufficiali. Denunciati i fatti alla magistratura, venne avviato un procedimento penale a carico dei commendatori Bernardo Tanlongo e Cesare Lazzaroni per peculato e falso. L'istruttoria accertò non solo che gli abusi denunziati si erano realmente verificati, ma anche che, per mascherarli, si era fatto ricorso ad una nutrita serie di falsi. In particolare si scoprl che era stata fabbricata una enorme quantità di falsa moneta per un valore di 41 milioni di lire, rappresentata da una duplicazione di serie e di numeri di biglietti di precedenti creazioni legali {lo scopo era quello di ritirare e custodire clandestinamente in cassa i biglietti delle precedenti creazioni legittime e di sostituire ad essi nella circolazione i duplicati e di potere cosi, in caso di necessità, dissimulare il vuoto già fatto· e eventualmente da farsi, attraverso i duplicati veri, non annullati o bruciati). La messa in piedi dell'operazione era stata possibile grazie alla corruzione di un deputato e di due funzionari preposti alla vigilanza dell'istituto di credito. Mentre questi erano i responsabili diretti, il processo ebbe a rivelare una ampia rete di complicità politiche: «Gravi cose risultarono dalle deposizioni testimoniali: l'invio di denaro al Ministero dell'interno, che non sarebbe stato restituito e la cernita di documenti, fatta dai funzionari di p.s. in casa Tanlongo, prima che si praticasse regolarmente il sequestro, allo scopo di eliminare tutto ciò che potesse riguardare uomini politici. Le parti civili chiesero che il presidente, facendo uso dei suoi poteri discrezionali, citasse i deputati Giolitti e Rossano, ministro cendo l'indole politica della questione» !3 Ed infatti, nel frattempo, quando già le notizie dello scandalo erano diventate di dominio pubblico, il Tanlongo era stato nominato da Giolitti senatore, in «cambio» di due «successive somministrazioni di denaro per spese elettorali» fatto nell'autunno del 1892!4 Va da sé che il processo, conclusosi il 28 luglio I 894 dopo sessantuno udienze, finì con l'assoluzione di tutti gli accusati. Anzi, poiché la prevedibile soluzione del caso suscitò proteste a non finire contro ... i giurati, i meno colpevoli, il processo essendo stato deciso a livello politico, il ministro guardasigilli intervenne per nominare una commissione di inchiesta sull'operato della magistratura, commissione che, un mese dopo la nomina, non si era ancora riunita neppure una volta!5 Maurice Heine, «li fenomeno dell'estasi», 1928 quegli e sottosegretario questi all'epoca in cui sarebbero avvenuti quei fatti; ma il presidente vi si rifiutò[ ...] Fra i testi escussi fu pure l'ex guardasigilli Bonacci il quale diede spiegazione sul fatto di essersi trovati riuniti al ministero dell'interno, la sera della denunzia dei fatti della Banca Romana, il procuratore generale, il procuratore del re ed il giudice istrU1tore. Il procuratore generale era là per dare il suo parere sulla procedura da seguirsi per rispetto ·aTanlongo, stante la sua qualità di senatore. Al procuratore generale che doveva conferire con ilgiudice istruttore e con il procuratore del re, per un riguardo alla sua salute, fu concesso di conferire al ministero stesso; ma a questo colloquio il ministro rimase estraneo. Quanto poi all'intevento di Giolitti nell'altro colloquio con il procuratore generale, lo spiegò adduNonostante l'esito, il processo rivelò sin nei dettagli quello che tutti avevano da tempo compreso: l'esistenza cioè di funzionari corrotti, di banchieri corruttori, di uomini politici prezzolati ecc.•, secondo un modello collaudato nel quale la contrapposizione tra pubblico e privato, per quanto meno netta che in altri casi (le banche, pur essendo soggetti privati, sono state sempre sottoposte ad un certo controllo pubblico, assai più di quanto lo siano state, ad esempio, le ferriere ecc.) continuava ad essere presente. La «corruzione» pertanto ancora una volta veniva a collocarsi all'interno del tradizionale «scambio» già descritto in precedenza e soltanto la gravità dei fatti, le complicità politiche, gli arbitri della polizia e la viltà dei tribunali avevano fatto dell'affaìre un caso esemplare di corruzione politica. L a situazione sul fronte della corruzione muta radicalmente quando dallo stato borghese di tipo tradizionale, liberalconservatore, si passa allo stato tardo borghese,in particolare a quello caratterizzato da una notevole estensione della proprietà pubblica. È noto che questa, che all'inizio ha investito in quasi tutti gli stati imprese fornitrici di pubblici servizi (gas, elettricità, trasporti ecc.), si è poi andata mano a mano estendendo fino a comprendere aziende produttrici di beni identici a quelli prodotti ed offerti sul mercato dall'industria privata (dalle automobili agli alimentari). È su questo terreno che comincia a prosperare un po' dovunque una forma nuova di corruzione la quale, se si realizza ancora, in alcune sue forrne marginali, nella maniera solita dello scambio illegale pubblico-privato, celebra i suoi maggiori fasti in uno scambio di tipo radicalmente diverso, pubblico-pubblico, restando quindi totalmente all'interno delle strutture di potere politico dal quale invece quella tradizionale era irreparabilmente costretta ad uscire. La situazione italiana sembra essere classica sotto questo aspetto, ma la tendenza si riscontra un po' dovunque la proprietà di stato si è estesa e rafforzata. Si pensi alla Francia, ad esempio: come ha scritto J. Legrès nel numero unico di Esprit dedicato alla corruzione «era illusorio credere, come è avvenuto al momento della Liberazione, che il settore nazionalizzato sarebbe restato neutro di fronte ai circuiti di decisione del potere politico. Politicizzate le imprese le furono sin dall'inizio, quando i tre grandi partiti della coalizione al potere, comunisti, socialisti e MRP si ritagliarono dei feudi grazie ai quali speravano di guadagnare elettori ed influenza. E un'altra forrna di politicizzazione si è in seguito sostituita a quella, con effetti meno visibili, ma forse più pericolosi: l'intervento delle imprese, come gruppi di pressione, sui differenti organi del potere. Bisognava conciliarsi le buone grazie dell'amministrazione che esercita una tutela diretta e che consiglia i ministri. Questa operazione si è realizzata con successo grazie alla pratica sistematica del "pantouflage", il passaggio cioè dei funzionari dalla direzione del controllo alla direzione delle società controllate» 7 . L'impresa pubblica, soprattutto se «industriale», vale a dire produttric~ di beni e servizi in concorrenza o comunque dello stesso tipo di quelli prodotti dall'impresa privata appare come uno strumento attraverso il quale è lo stato stesso che mira a realizzare quella che è sempre stata una fondamentale categoria privata, il profitto appunto. A questo punto uno dei soggetti tradizionali della corruzione {l'impresa privata che opera su funzionari pubblici per conseguire fini da essa considerati necessari ma che non riesce ad ottenere per vie legali) perde questa sua caratteristica: non è più il privato -che interviene illegalmente sul pubblico, ma è lo stesso «pubblico> che opera sul pubblico. La veste nei due momenti è ovviamente diversa: il primo «pubblico» è un pubblico economico, mentre il secondo è un «pubblico> politico. Ciò non toglie che lo scambio questa volta avvenga non sul mercato «aperto>, ma su un mercato più ristretto, gestito e coltivato integralmente all'interno delle strutture pubbliche di potere. Il punto finale della svolta verso una categoria di corruzione radicalmente nuova non è, tuttavia, con la sola presenza, per quanto ampia e diffusa, dell'impresa pubblica, ancora raggiunto. È necessario che a questa si aggiunga un altro soggetto, anche esso nato come privato ed avviato lentamente ma irreversibilmente verso una sua pubblicizzazione. Questo soggetto nuovo è il partito politico, soprattutto quale appare nell'ltalia attuale (ma non solo in questa): con strutture burocratiche rigide e stabili, con una estesa frammentazione in correnti ognuna delle quali a sua volta con una propria organizzazione, esercitante un predominio totale sulla vita dello stato, fonte di distribuzione di incarichi amministrativo-politici dai più alti ai più bassi ecc. Il fenomeno come si è detto non è solo italiano (impresa pubblica e partiti a struttura stabile e permanente esistono anche in altri paesi); se in Italia celebra i suoi massimi fasti è perché in nessun altro paese europeo i partiti, anche i più piccoli, sempre che facciano parte della maggioranza, svolgono un ruolo così assorbente e «pigliatutto> nella vita nazionale. La Costituzione del I 948 contiene un solo accenno al partito politico come tale, nell'art. 49, quando afferma che tutti i cittadini hanno «diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale>. Considerati dai più, nonostante il loro enorme peso all'interno dello stato, come associazioni di diritto privato, i partiti sembrano aver abbandonato anche sotto l'aspetto giuridico granparte di questa finzione, dopo la legge 2 maggio 1974 n. 195 che ha stabilito contributi statali al loro finanziamento•. 11 finanziamento pubblico, d'altro canto, come era prevedibile, non ha escluso, ma è andato ad aggiungersi ai finanziamenti privati da sempre esistiti. I bilanci che, in base alla legge, i segretari dei partiti che hanno usufruito dei contributi sono tenuti a pubblicare entro il 31 gennaio di ogni anno sul giornale ufficiale del pàrtito, con la indicazione nominativa delle persone fisiche e giuridiche eroganti, le eventuali libere contribuzioni di ammonta-
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