esercizio delle libertà dei funzionari: trasparenza amministrativa, ecc... In un recente intervento, A. Le Pors teorizza in qualche modo questa nuova necessità politica (Le Monde del 4/9/81): «I Francesi hanno scelto di cambiare. Bisogna cambiare anche l'amministrazione pubblica. Per le organizzazioni sindacali e per il governo è giunto il momento di inventare insieme una concertazione sociale di nuovo tipo, rispettosa della libertà e della personalità di ciascuno, nella comune esecuzione di una politica di trasformazioni democratiche della amministrazione pubblica. Naturalmente, io queste condizioni, è auspicabile la realizzazione di un ampio accordo tra le parti. In ogni caso, il governo rispetterà gli impegni presi nel corso della discussione in corso. La differenza essenziale rispetto alla politica condotta durante lo scorso settennato consiste proprio in questo nuovo approccio globale dei problemi, e nella definizione concertata di una politica di rinnovamento della amministrazione pubblica». Una effettiva volontà di rinnovamento: nella quale Io Stato definirà con i propri funzionari non solo i loro obblighi, ma anche i propri. Si può, beninteso, ritenere che si tratti solo di dichiarazioni di intenzioni. Occorre però considerare che molte tra le recenti decisioni sono state prese conformemente a questa volontà preliminare di concertazione. Per esempio, nella definizione del tasso di incremento del minimo salariale o dell'ammontare del deficit di bilancio tollerabile per l'anno prossimo. Negli ambienti politici e giornalistici si è anche frequentemente insinuato il sospetto che tutto ciò fosse solo opportunismo politico, e che la concertazione fosse semplicemente uno strumento fittizio destinato a blandire la gente, a conseguire l'adesione necessaria per le prime realizzazioni del nuovo regime. Mi pare che questa sensibile diffidenza da parte dei commentatori di ogni settore trascuri un punto essenziale: il tentativo di generalizzare all'insieme del campo politico e sociale una modalità di decisione fondata sulla negoziazione contrattuale. «Bisogna che senta gli uni e gli altri», ha nuovamente ripetuto Mitterrand nella sua ultima conferenza stampa. Ed è proprio questa tendenza che indica la convergenza "registratasi nelle dichiarazioni dei vari membri del governo. Certo, le strutture di potere restano ancora, essenzialmente, le stesse, ma indubbiamente, sembra che stia cambiando la modalità di esercizio della autorità. Se le teorie della decisione ci hanno insegnato da tempo che esiste una razionalità dietro alla decisione collettiva presa in seguito a una concertazione, tanto che questa può diventare un metodo specifico, è interessante vederla ormai applicata non solo nel campo della politica dei politicanti - che risulta il suo campo elettivo, a causa dei compromessi che essa esige -, ma in una serie di campi inediti, forse addirittura nell'insieme del campo sociale. Proprio questo fatto sembra nuovo, ma è anche qui che si riconoscono le maggiori difficoltà del tentativo. Imprese e sindacati 3. Abbandoniamo, allora, il campo dello Stato in quanto tale, o quello del settore pubblico, nel quale il governo ·può rinnovare i modi di esercizio della propria autorità al punto da potersi presentare contemporaneamente come decisore e arbitro. È chiaro che se l'ipotesi formulata tiene, il campotest dello sviluppo - se non del successo - di questa nuova forma di politica sarà il settore privato, e in particolare le modalità di regolamentazione dei rapporti tra «partners sociali» o, per usare una terminologia più accademica, le modalità di gestione delle «relazioni industriali», per esempio. A lungo termine, il campo-test, forse il campo-chiave, sarà certamente l'impresa. Qui, in effetti, in seno a quello che resta ancora ampiamente un «feudalesimo capitalista» (per riprendere una espressione dei socialisti della fine del XIX secolo), la generalizzazione e la estensione della concertazione costituiscono realmente, se si eccettuano le grandi imprese pubbliche, una nuova modalità di esercizio della autorità padronale. Sembra quindi essenziale seguire ciò che accadrà a questo livello, non solo per quel che concerne il contenuto e le modalità degli accordi successivi, ma anche per quanto riguarda il modo in cui Io Stato, giocando il proprio ruolo di arbitro, legittimerà queste procedure contrattuali. I sindacati hanno indubbiamente capito che questo nodo pone il problema non solo della loro successiva influenza, ma forse anche della loro ragion d'essere. Non si può leggere diversamente il dibattito in corso circa «i nuovi diritti dei lavoratori», e così pure il modo in cui il governo intende svolgere una • funzione di arbitrato tra lè esigenze sindacali e le resistenze padronali. Che cosa reclamano, di fatto,i sindacati più esigenti? (Le Monde del 4/8/81). Per la C.F.D.T. è prima di tutto «l'impegno a negoziare», cioè una istituzionalizzazione del dialogo che permetta ai sindacati di ottenere un potere reale nel campo della fissazione dei salari - campo classico-, ma anche dei modi di organizzazione del lavoro, della formazione del personale e del diritto di espressione - campi, invece, inediti -; poi, l'ampliamento dei campi di contrattazione collettiva, e il decentramento delle sedi di negoziazione della amministrazione pubblica. In altri termini, se la C.F.D.T. sembra contraria all'idea di un arbitralo esterno, rivendica però un ampliamento molto grande della contrattazione delle relazioni sociali. Per la C.G.T, il punto decisivo pare sia spezzare il più presto possibile «il diritto divino padronale», per consentire una certa appropriazione della impresa da parte dei lavoratori stessi; l'organo motore di un simile cambiamento, attraverso il quale si manifesterebbero nuovi diritti di espressione e di lotta, sarebbe il «consiglio di fabbrica» decentrato; infine, i diritti riconosciuti' al comitato di fabbrica dovrebbero ampliarsi, in particolare partner contrattuale. E quando, in una dichiarazione dell'inizio dell'estate, A. Bergeron, il leader dell'ala moderata del movimento sindacale (Force Ouvrière) dichiara «Saremo un contrappeso» (La Nouvel Observateur del 18 luglio), non contraddice realmente questa dinamica. Quali sono le intenzioni del governo di fronte a simili rivendicazioni? Un recente rapporto del Ministro del Lavoro, J. Auroux, dedicato ai «diritti dei salariati» risponde provvisoriamente alla domanda (Le Monde del 18/8/1981). Vi appaiono privilegiati quattro orientamenti: la ricostituzione ½l~?:~~-f. / ;,..,. 2·. "•1' ,, lii ~ . ;,_., • I Jacques Vaché, «Lettere di guerra», 1919 comprendendo il diritto di veto contro ogni licenziamento. Anche qui, per limitarsi all'essenziale, si può considerare che, quale che sia la successiva ripartizione del potere reale all'interno della fabbrica, ciò che è in gioco in simili rivendicazioni è il riconoscimento istituzionale all'inter- -no dell'impresa della organizzazione sindacale come partner dotato di diritti più ampi di quelli concessi dalla legge del 1968 sulle sezioni di fabbrica. Sono sicuramente in gioco le modalità di istituzionalizzazione del contratto come strumento di regolamentazione del rapporto salariale, e le modalità di legittimazione del sindacato come ·a della comunità di lavoro, il ripristino e lo sviluppo delle procedure collettive di negoziazione, la crescita delle modalità di funzionamento delle istituzioni rappresentative dei salariati, il rafforzamento delle libertà nella impresa. Sembra difficile non leggere in tutto ciò il tentativo di dare una forma concreta a un modo più «convenzionale», più contrattuale, di esercizio della autorità padronale, per spingere le imprese a riconoscere una struttura di diritti e di doveri conforme prima di tutto alla pluralità della loro composizione sociale, e rispetto alla quale, per esempio mediante l'ispettorato del lavoro, lo Stato svolgerebbe un ruolo di arbitro. Né potere dato ai «soviet», né doppio potere, e neppure cogestione: ciò che viene proposto sembra corrispondere prima di tutto a una nuova forma politica, più che a una nuova ridistribuzione dei rapporti di forze all'interno della fabbrica. Concretamente, questo fatto implica, per esempio, il rafforzamento del ruolo del comitato di fabbrica dal punto di vista della informazione, e addirittura da quello della possibilità di suscitare «procedure di allarme interno», che si concretano nel diritto di sospensione dei licenziamenti collettivi; implica inoltre una serie di misure che favoriscano le possibilità di espressione dei salariati; e, infine, comportcl «l'obbligo di negoziare» - idea ripresa dalla C.F.D.T. -, cioè l'obbligo di incontri regolari tra partners, destinati a migliorare gli eventuali contenziosi. Quali possibilità di successo hanno simili propositi? Non poche, proprio a causa di quello che può essere il loro obiettivo eventuale: la istituzionalizzazione di un potere di espressione dei salariati nella fabbrica, e la legittimazione del principio di delega sindacale. Di fronte a un padronato francese, tradizionalmente gelosissimo delle proprie prerogative e del proprio potere, a un punto tale da avere sempre rifiutato, per esempio, il minimo controllo reale sui regolamenti in.terni, simili propositi sembrano, attualmente, molto arditi, ma forse accettabili, nella misura in cui preservano le responsabilità essenziali dei padroni, o intervengono in definitiva meno sul potere del capo della impresa in quanto tale che sulle modalità di esercizio del potere stesso. Proprio per questi motivi l'impresa può risultare come il settore-test di ciò che, attualmente, sta succedendo. Perché è proprio dai suoi esiti in seno all'economia, e dunque alla società, dai suoi effetti sulla gestione del rapporto salariale, che dipendono il successo o il fallimento di questa nuova forma politica, di questa «democrazia del contratto». Potremmo leggervi, al di là di una banale riorganizzazione del solo campo politico, l'eventualità di una comparsa di nuove forme di disciplina sociale e civile, di nuove modalità di governo degli spazi sociali. In effetti, quali nuovi rapporti socialipossono essere innescati da una simile istituzionalizzazione della disciplina contrattuale? Dalla risposta a questo interrogativo dipendono sicuramente i ruoli che ognuno dovrà giocare, ma anche tutti i giudizi sul periodo a venire: la storia dirà se assistiamo ai primi passi di un autentico socialismo alla francese, o la versione inedita, e dunque un po' insolita, di una semplice alternanza socialdemocratica. Traduzione di Maurizio Ferraris Itala, mode~li~c"o~riruzione L o staio moderno ha avuto tra i suoi antenati lo «stato patrimoniale» nel quale proprietà personale del «principe» e proprietà pubblica erano fuse insieme ed indistinte. Quando cominciarono ad affermarsi i rapporti borghesi di produzione, la separazione tra potere politico e proprietà «privata» dei beni pubblici era tuttavia da gran tempo compiuta. La nozione di «demanio» con tutto quello che ne conseguiva in. termini di indisponibilità da parte d~Imonarca, si era dovunque affermata ed i beni della corona erano ~lati da tempo tecnicamente suddivisi in regio demanio in senso stretto, costituito da strade pubbliche, fiumi, torrenti, lido del mare ecc. ed in beni e diritti redditizi, fra i ..., quali erano compresi alcuni diritti finanziari «pubblici», quali i tributi, le zecche, le poste ed altri diritti patrimoniali privati come le miniere, le successioni, i beni vacanti ecc. Si trattava, come si vede di «beni» il cui assoggettamento al diritto pubblico era a tal punto «naturale» da ridurre al minimo le possibilità di frodi nella loro.gestione ed amministrazione. Mancava infatti per essi quasi del tutto la immersione nel mercato, attraverso cui passano le illecite confusioni tra pubblico e privato e gli altrettanto illeciti traffici tra i due settori. La separazione rigida tra sfera pubblica nella quale si «scambiano» soltanto frammenti di potere-autorità e sfera privata nella quale si scambiano beni e danaro, faceva sì che forme pressocché esclusive di frode fossero quelle relative appunto alla «mercantilizzazione» degli interventi del potere pubblico. La definizione tradizionale di corruzione fornita nei codici e analizzata dai giuristi è una diretta derivazione di gesta situazione (secondo uno dei più noti giurisperiti dell'Ottocento, la corruzione «è dunque la vendita conclusa tra un privato ed un pubblico ufficiale di un atto appartenente al ministero di questo che di regola dovrebbe· essere gratuito» 1). Le stesse definizioni date nei dizionari maggiori sono ancorate a questa dimensione individuale, tutto sommato di scarsa consistenza quantitativa nei singoli casi, anche se, presumibilmente, alquanto diffusa. Si prenda ad esempio il Littré. Vi si legge: «Corruption:1) Altération en général, rupture d'un ensemble; altération dans un texte; altération du langage, du go0t;2) Décomposition putride; 3) Dépravation. La corruption des moeurs du siècle. La corruption des moeurs qui peut se maintenir jusqu'à un certain point malgré l'instruction était infiniment favorisés par et accrue par l'ignorance (Fontenelle ); 4) au sens actif, moyen que !'on emploie pour gagner quelqu 'un et le déterminer à agir contre son autorité et le crime de ceux qui cherchent à le corrompre». Accanto ai significati di «degradazione» materiale e di caduta morale, che accompagnano tradizionalmente la parola, viene cosi attribuita ad essa un senso giuridico che non si discosta un gran che da quello tradizionale, del funzionario cioè che traffica attorno alla sua attività. La situazione di uno stato che si muove fuori dal mercato, e che si limita a dettarne le regole dall'esterno, è tuttavia una situazione più vicina ad un modello di scuola che alla realtà ed, in ogni caso, temporanea. Circondato dalle acque assai poco calme del mercato universale, anche lo stato che, in base ai principi, avrebbe dovuto limitarsi ad esserne il guardiano notturno (o, se si vuole, anche quello diurno), ben presto venne risucchia- .to dalla universale mercantilizzazione
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