Discutere di letteratura Letteraturar,igore,rottura Romano Luperini • D Novecento Apparati ideologici, ceto intellettuale, sistemi formali nella letteratura italiana contemporanea Torino, Loescher, 1981, voli. 2 pp. 1003, lire 27.000 (edr. R. Bugliani, in Alfabeta n. 26-27) Per una ipotesi di «scritturamaterialistica: Filippo Bellini, Mirko Bevilacqua, Marcello Carlino, Aldo Mastropasqua, Francesco Muzzioli, Giorgio Patrizi, Mauro Ponzi («Quaderni di critica•). Foggia, Bastogi, 1981 pp. 105, lire 4000 Felice Piemontese Dopo l'avanguardia Interventi sulla letteratura (1968-1980) Napoli, Guida, 1981 pp. 215, lire. 6.800 Le porte Giornale di poesia a cura di Roberto Roversi e Gianni Scalia. n. I Bologna, Libreria Palmaverde, febbraio 1981 pp. 139, L. 3.000. Un modo di far storia N el titolo del libro di Luperini non c'è «storia• come termine e concetto; ma un argomento, un filo, il secolo in corso. Questa non è fortunatamente storia della letteratura in quanto non vi è qui un assetto chiuso: né vi sono state da parte di Luperini estese indagini varie che ora vengono registrate nel quadro. In tal caso invece della Storia è migliore la genealogia ... Insomma il coefficiente decisivo della «distanziazione• col quale una volta (prima dell'azione nuova e prima dell'oralità} si scriveva storia, non c'è; Luperini parla di un approccio storiografico, cosi come si dice approccio semiologico o psicologico. Ciò rivela nell'autore un atteggiamento singolare, nel tempo attuale di un venir meno della storicità e della funzione di realtà (e anche, forse, della letteratura fuorché nel senso jakobsoniano ). Non vi è una sistematica dei valori. Vi è una serie organizzata di oggetti e di itinerari, destinata certamente ai lettori delle università; non per un uso strumentale, però; ma, direi, come un testo di base, preparato per la base ... La convenzione di storia letteraria è pallida e serve per evidenziare tutte le connessioni possibili col culturale e col politico-economico; la storicità è debole, permettendo poi, come vedremo, slittamenti efficaci e sconcertanti, ma è non trascurata. Ritengo possa dirsi, per preambolo a nostre considerazioni più particolari sul versante d'oggi, che abbiamo qui un 'appropriazione critica «via• storiografica, in un lavoro di tipo approssimazionale: con un intento, cioè, dialogico, nella convinzione rigorosa che c'è una mobilità possibile di riscontri fra gli eventi, o i testi, e le teorie. Può darsi anche Luperini approfondisca via via, ora, con ulteriori approcci e spostamenti, l'uno o l'altro motivo o stile (e per esempio lo esorto a farlo per la definizione di espressionismo letterario, la quale mi colpisce fra gli autori, e si presenta presso di lui allargata rispetto a Contini e ad altri, cfr. p. 139). Certo l'abito critico-metodologico di Luperini ha questo timbro d'ora in poi: un far storia tutto attivo e problematico, dove viene realizzato con grande talento un diffuso bisogno di argomentazione sobria, e su cui si ritorna con scartafacci aggiunti. E dove, soprattutto, si configura un'idea di Letteratura che non si stacca - neppure per toccarsi nella solita «frontiera• - dalla cultura globalmente intesa. Posso per questo dichiarare da parte mia d'avere in Luperini un ottimo «erede•, con taluni avvertimenti che seguono. Criticamente i meriti sono grossi: c'è un'individuazione articolatissima del cursus di ricerca degli autori rilevanti, che collima con quello da loro enunciato ma ne scrosta la cintura protettiva. I problemi non sono mai semplicemente citati. Si legge una serie formidabile di saggi in forma di compendi, di lunghi articoli d'enciclopedia, di capitoli di narrazione: sia Svevo che Gadda, che Montale e che Fortini, e che Pasolini (con qualche concessione al gusto attuale del riflesso privatistico) e che Zanzotto (con qualche rapimento di neofita sul Lacan del Sessanta), per stare a riscontri essenziali e primi. Sul piano metodologico, conta l'insieme ben tessuto, esplicito e realizzato, non contano i motivi della nota iniziale {né mi sembra più utile Goldmann, né davvero Luperini si avvale dei semiologi sovietici della «tipologia della cultura» che cita, perché, come risulta poi, la semiotica non gli è cara). C'è nell'insieme una misura limpida toscana, con quel preciso fastidio che Timpanaro teorizza per il tipo di formalismi che è «fine a se stesso». E anche verso i cieli della politica (della teoria) Luperini ha qualche sprezzo, poggiando su un suo concretismo e culturalismo solido. In un rilievo critico-teorico stretto si potrebbe forse dire che vi è un'accentuazione «prassista»: ciò non vuole sminuire in alcun modo il peso del libro (come è parso ad Attilio Mangano recensendo col suo denso interesse nel Quotidiano dei lavoratori un dibattito dov'ero intervenuto insieme a Fortini, Ferretti, Cucchi). intendo dire che nei compagni di «Democrazia proletaria» e in Luperini leader teorico vi è una processualità basista, e un pluralismo ben composto, qualche tratto populistico vivo, e a rigore di metodo marxista vi è un certo svuotamento del circolo «concreto-astratto-concreto». D'altra parte io risulto, al contrario, teoricista secondo essi. In tal senso, per dare un esempio, non mi convince lo sviluppo dato alla tesi degli intellettuali come «forza-lavoro intellettuale•, espressa da Scalia nel Sessanta, che qui diviene evolutiva a partire dalla posizione di Gramsci (dr. pp. 352-4 per Gramsci, e p. 724 e seguenti). Pur con ogni cura degli strati intermedi, della terziarizzazione, e della figura sociale nuova o supposta dell'intellettuale di massa, ritengo utile oggi una ripresa di «nuova ortodossia» nell'analisi teorica. Non mi va bene neppure più la nozione di «neocapitalismo», liquidatoria verso il marxismo all'inizio degli anni Sessanta, e in rapporto a cui si marca fortemente l'innovazione letteraria stessa. Ma ciò sconfina in un discorso di altro campo, ed è ulteriore, precisamente, rispetto al discorso che è svolto qui con un gioco di tessere inesausto e ammirevole, per tenere il rapporto (divenuto cosi fantasmatico altrove) fra la realtà storica economica, la ricerca delle idee e gli organismi formali decisivi. Né voglio tornare sui criteri di fondo e sui periodi; m'interessa la discussione dei primi anni 60 e il dibattito da riaprire oggi. Francesco Leone/li Crisismo: precisazioni Il costrutto di Luperini dissolve dunque ogni linea stretta e ogni storicismo idealistico, con una continua cura problematica connessa alla concretezza. Va considerato ora come arriva a fluire in ciò, senza distinzioni difficili, l'interesse dato pienamente da Luperini, con sorpresa di tutti, alla disseminazione. C'è infatti qui, dopo il 56, l'assunzione della disseminazione (procedimento del disordine che scioglie la struttura sintattica-semantica e anche grammaticale del testo). Essa viene data come via maggiore recente, Dorothea Tanning, «Compleanno», /942 come definizione attiva della letteratura oggi, secondo il principale carattere di un «ritorno del represso» (quale figura in un teorico come Orlando con altra motivazione). Luperini dunque in piena appropriazione per via storiografica, mentre non ci si aspetta uno slittamento di tale entità, si rende esploratore del nesso di letteratura e psicanalisi (oggi tornato di moda fra i metodi critici, in un taglio accademico che a Luperini è estraneo). Non lo fa coi modi pur acuti che sono presenti altrove, per esempio quelli marx-freudiani del Piccolo Hans; né con quelli dei teorici francesi del desiderio; anzi sostiene che quel nesso è proprio della tradizione italiana nei maggiori novecenteschi (e non ha torto, cfr. p. 759). Viene inoltre affascinato dal «passaggio per l'informità», che esamina in Zanzotto e in Sanguineti. E congiunge ciò con una sua idea di difesa della vita che è da lui centrata nel residuo biologico, nel sondaggio fisiologico, nella corporalità estrema (dall'anguilla alla viscera). Dunque teorizza complessivamente, in mezzo a una storiografia giustamente aggrovigliata e con la forte impronta definitoria che la storiografia comporta, un'emergenza decisiva del pensiero poetico che ha questo duplice motivo, oggi: la lettera frantumata (dove hon c'è per Luperini gioco quanto angoscia partecipante di una «schizofrenia universale») e la resistenza in un minimo vitale («al di qua o al di là della società umana»). Si attenderebbe dall'impianto storico di tipo militante del libro un'alternativa dinamica )>osta fra lo spirito di lotta e di contraddizione, da una parte, e la dispersività e la morte; Luperini dà invece, come chiave della situazione, la bipolarità di una disperazione effettiva e di una speranza insieme irrelata e «materiale». È una singolarissima proposta interpretativa d'arrivo, che è riferita al periodo ventennale recente con ricupero del meglio dei grandi anni 50; e che, pur ricercando una «risalita materialisticamente fondata», scarta quel tessuto di piani e di nessi che è coltivato dalla tradizione marxista, fra letteratura e storia o più giustamente fra letteratura e «sentire collettivo». Ma, per dire meglio: ne scarta la ripetitività, la perdita di audacia, lo stereotipo, perché vuol seminare altri problemi. (Cosi lo ha pur visto Antonio Prete in una breve nota nel n. 2 della nuova rivista recensiva Stilb: il libro «è scritto sulla soglia d'addio dello storicismo» e «se la produzione è la grande scena, la diffidenza nei confronti di una unità prestabilita è praticata con insistenza»; e col sottolineare «la vanificazione della organicità», col compiere una netta «assunzione del testo come sintomo di lacerazioni», si viene a dare un'immagine di Letteratura come «evento che di un'epoca, delle epoche, mormora il tumulto e le tensioni e le miserie senza volerne dominare il senso». Cosi Prete. Da parte nostra, citandolo: Luperini ha questi argomenti e questo timbro; non per ciò si sposta, né si ricuce fuori dal senso, la Letteratura è per lui, come è tuttora per noi, rigore dell'organismo formale e rottura verso i valori; ma va sotteso, secondo Luperini, giustamente, un lavoro successivo ...). Dunque. La proposta luperiniana va evidenziata, come pochi hanno fatto, come ho voluto far qui; e va sostenuta. Si può di're con gioia che Luperini porta il frammentario, lo scomposto, l'incoerente «nella nostra parte»: che è la parte della ricerca con rigore e con rottura, tutt'insieme alla scelta per il «cambiamento», escludendo per principio ogni facilità, armonia, controllo scontato. Io ricordo le mie liti irose con Pasolini, quando mi urtai con lui (nell'amicizia personale intatta). Mi era già divenuta incomprensibile la sua tensione di «comunista cattolico». Ma fu quando sostenni l'interesse, insieme con Vittorini, verso l'impresa di «nuova avanguardia», in frontiera con la mia propria, officinesca, né mutando la mia posizione né i caratteri del mio testo. Già in Officina mi ero curato di Della Volpe avanti il '60; poi tentavo qualche rapporto in Francia con Biancho! e con Barthes. Riferendomi all'arte dicevo: cosi stanno i Dorazio e i Pomodoro verso i Castellano e i Pistoletto; ci sono distanze di mezza generazione, c'è uno spartiacque complesso che è un errore marcare solo sull'innovazione formale, ci sono articolazioni varie. Era il '63-65; avevo questo fiuto. Finalmente Luperini si riannoda a tale indicazione, e procede; risolve con uno scatto in avanti lo strascico di rapporto difficile tra i «neovociani» capaci di straniamento e gli «avanguardisti» senza evasività di scelte. Stabilito che questo è il buon passo, certo si richiedono sviluppi attenti e calcoli successivi. Anzitutto la nuova avanguardia ha svolto poi assetti, ricuperi, contrasti e torsioni (mentre un prolungamento puro dd modulo innovativo, anche nell'atto di assumere implicazione sociale, quale è quello di Balestrini, qui viene trascurato). Inoltre Luperini, nella proposta, esibisce passionalmente una sua contraddizione, mi pare, fra una storicità di militante e una versione allargata di crisismo. La nuova avanguardia non è stata complessivamente crisista (nel senso non solo di crisi di certezze, ma dello stesso soggetto, come è invalso in questi anni). Diventa tale in certi modi e in certe assunzioni; una crisi e critica di certezze passa in più forme nel nostro periodo, Luperini la legge come generalmente e genericamente crisista e anzi mette in evidenza ulteriore proprio le ricerche che ne condividono questa marca, e pur vanno, «sbucano», oltre essa. Ma, semplicemente, i passaggi non sono solo questi. Nell'ultimo saggio pubblicato da Freud («Costruzioni nell'analisi», 1937) c'è un «nucleo di verità nel delirio» e c'è il linguaggio schizoide. Non solo in Deleuze. Ora la.forza di Luperini stesso, come in tutti i passi autentici dal dopoguerra in poi, sta nel fatto che non mira a ricomporre niente ... Ma se ripigliamo sul serio i problemi letterari svolti per dieci anni piuttosto da chi non curava che questi, ci sono
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