Alfabeta - anno II - n. 10 - febbraio 1980

critico o valutativo o egnomico• è presente. Poco più oltre intendo riprendere a commentare i più giovani scrittori. Cosi rispondo implicitamente a rilievi teorici e critici errati di Guglielmi, e scarico il libro relativamente alla mia storia di scrittore e saggista. L'argomento proposto da Angelo Guglielmi in riferimento al mio lib:o recente (che va scaricato come tale), con una sua schiettezza etica e critica che è rara, mi sembra molto interessante. C'è, dentro, il rapporto fra il testo letterario, nelia sua carica innovativa, che è posta sempre come globale e muta sempre la csoglia• percettiva e intellettiva, e il cambiamento sociale e strutturale. O fra letteratura e politica (si usa dire politica, ma questa non c'entra, a mio avviso, col IJ1arxismo che presenta un nodo del politico con l'economico e col sociale). Si può trattare in questi termini. Leggerei volentieri interventi di Fortini, Roversi, Luperini, Scalia, Di Marco, Bugliani, Muzzioli, Piemontese, Rafaeli. E altri dei diversi versanti. Oggi ciò vuol dire misurare le motivazioni cognitive della militanza e della scrittura, e di entrambe insieme e nella loro reciproca contraddizione per venti anni. Io non arrivo più a distinguere bene i due campi, per dire un paradosso (utile a me) ... La domanda di Guglielmi riguarda anche, a me pare, una questione diversamente essenziale: si può non «fallire•, e cioè sviluppare l'autenticità, in un modo o nell'altro, oggi con le specifiche forme di mistificazione o d'investimento sbagliato che si sono date su noi, con noi, fra il '45 e oggi (in tutto il tempo della cultura di sinistra)? e se si può, attraverso quali astuzie? ln questo senso debbo dire impegnativamente una cosa sulla quale di solito non si è chiari (pur non volendo esercitarmi teoricamente sul mio libro stesso, è avvenuto che l'ho fatto, in questo giornale, col breve saggio Sperimentalismo a tensione, che riguarda Pasolini, Fortini, Vittorini, ma è una proposta teorica-specifica). Io ho ritenuto effettivamente necessaria per me l'elaborazione, insieme, come scrittore e come teorico politico (anche nella stessa sede, per esempio In uno scacco). Quel che non so, certo, è se ciò vale come una specie di eccezione faticosissima o oon vale in nessun senso. Sul come e perché io, scrittore precedentemente non fallito nel linguaggio di scrittore, mi sia ficcato sino al collo nella pratica di massa, e sia tornato anche a scrivere, non c'è niente da dire: se altri può fare e scrivere diversamente, si può fare e scrivere anche cosi. (3) Antonio Porta: Uomini vo'!inti,. I 11 rapporto, possibile o impossibile, tra letteratura e rivoluzione è sempre stato uno dei nuclei più accesi del dibattito all'interno di ogni movimento di avanguardia artistica. Oggi, a circa dieci anni dalla fine dei lavori della neo-avanguardia italiana (il sigillo fu posto dalla chiusura della rivista Quindici nel 1969), e in clima di «tentata Restaurazione» (dico «tentata» perché sono convinto che, salvo il caso di conflitti militari mondiali, com'è del tutto chiaro, la Restaurazione non si instaurerà) rimettere a fuoco il problema è operazione utile e necessaria. Si ha l'impressione che il tema, nonostante le forti pressioni contrarie e i vivaci tentativi di occultamento, sia vivo e vitale, tanto che a ogni sua riemersione si avverte il riacutizzarsi delle attenzioni, a molti livelli generazionali. Scartata l'alternativa tra letteratura e rivoluzione per mantenerci fedeli alla tematica letteraria (scegliendo dunque per questioni anche di metodo la letteratura) mi pare che occorra criticare il concetto di scacco (rimesso in gioco da Angelo Guglielmi) e sostituire al concetto di rivoluzione, storicamente svuotato, almeno per il momento, di ogni contenuto reale, un'ideologia della trasformazione che potrà essere certo accusata di «riformismo» ma che ·può, nello stesso tempo, ribadire con forza la necessità di ridefinire una poetica in progress, capace di racchiudere in sé tutte le energie che scaturiscono dall'idea di crasformare il mondo. Ci si riallaccia, in altre parole, e ancora una volta con profitto (vanno riletti a questo proposito gli studi di Luciano Anceschi) alle poetiche del Barocco e al romanzo del cambiamento ad esse legato, magistralmente esplorato, nelle sue premesse come nelle sue conseguenze durature e attuali, da Michail Bachtin (vedi: Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, nella chiarissima traduzione di Clara Strada Janovié). Va precisato, prima di tutto, che è improprio parlare di scacco a proposito della neo-avanguardia italiana degli anni sessanta, perché ogni momento e periodo di attività di avanguardia prevede e progetta la propria inevitabile fine. La poetica delle avanguardie è strettamente legata al concetto di mutamento e ciò che deve mutare, e dunque prima di tutto finire; è la figura medesima dell'avànguardia, così come si è formata e ha agito in un periodo necessariamente delimitato. Il lavoro letterario degli anni settanta è stato, infatti, caratterizzato soprattutto da un riutilizzo dei mezzi e degli strumenti messi a punto anche dalla neo-avangua}dia in funzione di un nuovo progetto di trasformazione, che dall'avanguardia ha sicuramente ereditato la spregiudicatezza degli interventi e della sperimentazione stilistica. (Nella mia antologia della poesia degli anni settanta ho cercato appunto di dare l'idea di questo discorso nuovo che è tutto in progress e mai restaurativo, mai in scacco ma proiettato invece nel futuro dell'attività letteraria già in atto nelle premesse e nelle aperture del decennio passato). Non è certo un caso che la poesia degli anni ottanta dia fin da ora segni di vitalità e faccia ormai presagire la volontà di un progetto che va nettamente al di là dello status quo, con ambizioni non solo letterari ma anche, e forse soprattutto, etico-politiche. Ma c'è un anello di congiunzione tra anni sessanta e anni ottanta che oggi appare sempre più evidente e solido, quel concetto di «utopia linguistica» che Maria Corti ha messo cosi bene in luce in un saggio del suo Viaggio testuale (Editore Einaudi) dedicato appunto alla neo-avanguardia italiana degli anni sessanta, vista come «campo di tensioni» di fondamentale importanza. Ora che possiamo leggere i saggi di Bronisraw Baczko (L'utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell'età del/' illuminismo, Editore Einaudi) capaci di guardare al fenomeno delle utopie con occhi nuovi, post-sessantotteschi, anche la definizione di «utopia linguistica» diventa più chiara e in grado di contribuire alla fondazione delle poetiche dell'immediato futuro. Appare infatti in tutta evidenza che l'utopia può convivere «con i lumi» e perfino con una Rivoluzione in atto (Baczko si riferisce a quella Francese) differenziandosi nettamente da entrambi (Ragione e Rivoluzione) pur nutrendo il campo del sapere e della progettazione socio-politica di succhi immaginari e insieme reali. N ella parte finale dell'u_ltimosaggio dell'opera citata (intitolato: «L'uomo volante»), Baczko scrive: «Speranze e delusioni: nessuno le ha espresse in modo più drammatico di quanto abbia fatto quel grande pittore la cui opera sembra abbracciare tutte le speranze e tutte le disillusioni del secolo dei lumi. Verso la fine della sua vita Goya presenta, in un quadro enigmatico, una visione fantastica. Al centro si trovano due personaggi volanti che evadono dalla terra e si dirigono verso una Città i cui vaghi contorni, si direbbe un miraggio, si profilano su un alto e lontano sprone roccioso. Questi uomini volanti non riusciranno a raggiungere la Città che essi sognano. Sono colpiti, in pieno volo, da proiettili tirati dal basso, da quella terra che vogliono sfuggire e ove gli uomini si uccidon.o tra loro. A quest~ viva metafora non aggiungiamo un senso ambiguo che la ucciderebbe. Non schiacciamola sotto commenti moralistici che tanto sono futili quanto ottimistici: l'uomo si sarebbe levato in volo senza il miraggio verso cui si dirige?, che pessimistici: valeva forse la pena volare per farsi massacrare? Consideriamo il quadro per quello che è: esso situa l'uomo volante in primo piano e su di lui si fissa il nostro sguardo». È questa la dimensione entro la quale vanno misurati i rapporti di cui si parla (leiteratura e rivoluzione, letteratura e mutazione) dove immaginario puro, immaginario sociale e storia si scontrano e a volte si elidono a vicenda, dovve la letteratura ha il compito preciso di fare da ponte tra quello che si sa e quello che non si sa ancora, partendo sempre da quello che si conosce e si rifiuta con tanta più forza quanta più profoda pietà (la virgiliana pietas, certo) suscita la condizione dell'uomo che a un suo regno, comunque, non rinuncia. Prendiamo come punto di riferimento un saggio di Marvin Harris (Cannibali e- re, Feltrinelli Editore) sulle culture materiali; non vi è dubbio che i rapporti con la materia sono anche frutto di decisioni, decisioni che a volte hanno richiesto secoli di preparazione. Non vi è nulla di ineluttabile, possono prevalere i progetti peggiori, ma sempre di progetti si tratta. Servono pazienza e riflessione, nuocciono la stizza e la fretta liquidatoria che segnano soltanto il prevalere delle ansie. · Foucaueltalt[, genealogie M. Foucault La volontà di sapere Milano, Feltrinelli, 1977 pp. 142, lire 3800 J. P. Aron - R. Kempf D pene e la demoralizzazione dell'occidente Firenze, Sansoni, 1979 (prefazione di A. Fontana) pp. 220. lire 7500 A. Fontana «Castrazione e complesso• in Enciclopedia Il Torino, Einaudi, 1978 pp. 1199, lire 45000 R. Calasso L'impuro folle Milano, Adelphi, 1974 (in ristampa) Corpi viventi L a volontà di sapere nasce come introduzione ad una storia della sessualità, ed insieme vuole rappresentare una prima sistemazione provvisoria di quell'analitica del potere che la ricerca genealogica, in questi ultimi anni, ha cercato di sviluppare; un testo che sembra colpito da un destino quasi paradossale: viene letto, spesso dallo stesso interprete, a partire dal privilegiamento di uno solo dei due motivi fondamentali che lo percorrono a partire dal dispositivo di sessualità, surrettiziamente trasformato in una cristallizzazione teorica, oppure a partire da unaanaliticadelle relazionidi potere, arbitrariamente risolta in una teoria della politica. Duplice déplacement, che ci sembra impoverire gli orizzonti e la specificità del lavoro genealogico: spostamento della prospettiva (che vede la sessualità fuori dalle relazioni di potere, o viceversa), ed insieme spostamento del territorio (che risolve la singolarità dell'approccio storico nella piatta generalità di un assetto teorico definitivo). Ma il nostro interesse non deve essere quello di ristabilire l'ortodossia del testo foucaultiano, contro il cattivo riduzionismo dei suoi interpreti: è molto più importante, invece, non chiudere la molteplicità degli spazi - spazi di critica e spazi di ricerca - che l'impianto genealogico, a partire da Foucault, può permetterci di esplorare. La riduzione a sistema è stata, ed è tuttora - in questa prospettiva - il nemico più insidioso e potente. La volontà di sapere ci rende familiare l'immagine di un potere che viene visto nella sua dinamica «positiva»: macchina che assoggetta, indirizza, rende docili; ma soprattutto macchina che comunque funziona, senza essere mai negata o distrutta dalle resistenze che la ostacolano. La repressione, in questo contesto, diventa un momento secondario: figura arcaica, che tematizza un dualismo tra istanza legislativa e soggetto obbediente, e che si impone, secondo le tradizionali modalità di una concezione giuridica, per farci dimenticare che il potere sa agire positivamente sulla vita degli uomini, sul comportamento dei soggetti, sui loro corpi viventi. Lo scandalo di questa concezione è stato subito - tempestivamente - rilevato, e potrebbe essere comodamente rubricato sotto alcune espressionichiave: sottovalutazione della soggettività e dei suoi livelli di autonomia; svalutazione delle lotte di «liberazione»; incomprensione degli antagonismi di classe o, per ben che vada, loro sostituzione con la nozione ambigua - e comunque passiva - di resistenza. Ed ancora: concezione astorica, e perciò naturalistica, di corpo resistente: quello stesso corpo che il potere investe ed attraversa, con le sue istanze di controllo, con le sue tecniche di sorveglianza, con forme di sapere funzionali a questo investimento, mobili e multiformi. Cuciwra della mwanda. Dalboni Argia nel laboratorio ricavato all'interno della propria abitazione. Non sempre la macchina è in proprietà. molte famiglie la ottengono in uso dalle aziende. li costo di una macchina si aggira sui 12 milioni. Foucault, in tutte queste critiche, vien considerato come teorico del potere e della politica, prescindendo volutamente da quelli che di volta in volta sono i luoghi ed i momenti storici da cui la sua analitica prende le mosse. F. Ewald, uno dei suoi allievi, cade nella stessa tentazione, quando confronta gli esiti della genealogia alla concezione marxista (cfr. Anatomia e corpi politici, Feltrinelli 1979). Questo approccio, giova ripeterlo, è poco produttivo. Vale forse la pena riconsiderare tutte le obiezioni, prima sommariamente esposte, alla luce di alcuni temi di ricerca storica, che il testo di Foucault ha cercato di esplorare: non tanto, come s'è già detto, per restaurare una fedeltà interpretativa, quanto, piuttosto, per sottolineare una possibile utilizzazione di questa ricca scatola di arnesi, prima che la voracità convulsa dei critici riesca a trasformarla in un corpo privo di vita. L'ultima obiezione - quella che imputa a Foucault una concezione «naturalistica» del corpo e del desiderio - sembra la più pertinente: non costringe ad una valutazione comparativa di sistemi, e permette quindi un positivo ancoraggio al contenuto specificodell'analisi (penso agli interventi di F. Rella e M. Cacciari in// dispositivo Foucault, Venezia, Cluva, 1977). Questa critica, comunque, sembra molto più facilmente riferibile agli scritti dedicati al «caso» Pierre Rivière: applicataa testicome La voloncàdi sapere, funziona soprattutto come utile pretesto per un approfondimento tematico. Il dispostivo di sessualità, costituito da una serie definita di focolai locali di sapere e di potere, si applica a delle figure, a dei soggetti, a dei corpi viventi, che rappresentano - nel secolo XIX- insieme dei bersagli e dei punti di ancoraggio: la donna isterica, il bambino masturbatore, la coppia malthusiana, l'adulto perverso (quello che nel '700, prima della medicalizza-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==