raie tendenza ad accentuare la separazione da Marx (cfr. specialmente Arato). D alla riportata esemplazione e dalle indicate intersecazioni di discorso emerge, diciamo, tanto la incertezza degli esiti quanto la generosità del tentativo. Il che potrebbe indicare la difficoltà e nel contempo la necessità di una Storia del marxismo (futura! non questa che storia non è) che proceda per aree di discorso. Abbiamo detto: aree di discorso; per chiarire il concetto torniamo all'esempio del leninismo quale blocco storico in fieri o in quanto gruppo dirigente in fieri, capitolo che manca (tranne che non venga fuori nel III volume). Manca, si badi, nonostante che alla socialdemocrazia russa siano dedicati nel II volume quattro capitoli (Walicki, Strada, Getzler, ancora Strada, Scherrer) fra i quali Strada e Scherrer grandeggiano. Discorsi largamente complementari e largamente intersecati; sono da aggiungere, sempre per quanto riguarda l'area socialdemocratica russa fra otto e novecento, i contributi di Salvadori (p. 549 ss.), ancora di Walicki (p. 97 ss.), di Hegediis (p. 762 ss.). Quindi all'area di discorso sulla socialdemocrazia russa molta attenzione è stata prestata, sicché si può dire che in rapporto all'area vi sia, nel volume, vasta miniera di contributi, di intersecazioni, di notazioni. Ma da quest'area tuttavia, il lettore è in grado di ricavare ben poco che lo aiuti a dipanare il problema della «classe dirigente» in fieri, o del «leninismo» in fieri. E questo vale per tanti altri importanti discorsi/ problemi anch'essi frantumati fra aree di intersecazioni e non sviluppati. Direi di poter riassumere il mio discorso così: a) l'opera è nata sulla piattaforma della «coralità» dei contributi, senza adeguata individuazione degli specifici problemi; b) questa piattaforma di coralità e di insufficiente individuazion·e si è incrociata con la preoccupazione della pluralità; data la debolezza della redazione (e la scarsa capacità di trascegliere e individuare i problemi) questa pluralità è diventata pluralizzazione di interventi su di uno stesso «a proposito». li che ha dato, certo, adito alla coralità a scapito però del numero di tagli diacronici minimi occorrenti per fare una storia del marxismo. Ne sono venuti due buone antologie-miniera su alcuni discorsi interessanti il marxismo della seconda internazionale; interessanti, dico, un futuro discorso storico per il quale questi due volumi (e specialmente il secondo, che più risente della casualità) fungeranno da debita miniera. Si deve riconoscere che fare una storia e volere nel contempo conservare coralità, fare una storia atteggiandola per aree di discorso, è impresa molto difficile. Rispetto alla quale questi due volumi possono fare da primo tentativo. Note 1). A p. XII del I volume Hobsbawm pare proporre una storia del marxismoviventeda riconoscere,peraltro, per unacerta marxisticità.A p.Xlii tuttavia, insistesul motivoche «anche le interpretazionila cui mancanzadi correttezzafossedimostrabile appartengono alla storia del marxismo»e l'opera einaudiana«nontenterà di stabilire un accordodovenonesiste>(in effetti, tanti si dilungano su Engels o su Kausky o Bernstein ecc. a mo' di florilegiodi interpretazioni). Preso l'avvio, a p. 85 del II volume, H. annuncia che non si tratta di fare una storia del marxismo ma di fare principalmenteuna storia di come le idee non marxiste abbiano influito sul marxismo... ilche significadi fare una storiadella riforma del marxismo. 2). La confusionefra socialismoe marxismo (cioè fra il genere e la specie)e il voler quindi vedere tracce di marxismoin ogni socialismoe sociofilosofismoè ricorrentein Hobsbawmfino, al limite,del banale. Cfr. specialmentele pp. 66 ss. del Il volumein cui faentrare i piùvariopintiindirizzifracui De Amicise Pareto: cfr. p. 81. 3). Se le depeculiarizzazioniportano ai risultatisuccitatinon significache i depeculiarizzatorine abbiano sempre le intenzioni: c'è chi, spacciato il marxismo perché superato nei fondamenti vorrebbe farlo risorgeretransustanziato.Isiderisuscital'ucciso Osiride e genera Oro: l'Oro-marxismo. Ma poiché miracolie transustanziazioniavvengonosoltanto negliarcani,hanno ragioneD. Settembrinie C. : se ilmarxismo è superatonei fondamentisignificache è morto e non rimangonoche i crisantemi alla memoria. Rispondendoad un questionariodi Praxis (marzo 1979)sulla«crisi»delmarxismo così Asor Rosa risponde: è indubbio che capisaldi«digrande rilievo»del marxismo sono in crisi: il valore-lavoro e il nesso struttura-sovrastruttura-economia politica. Se però al posto di questi capisaldi altri ne mettiamoe principalmentela «soggettività rivoluzionaria»,possiamorifondare il marxismo:l'Oro-marxismo. Se sfogliamoI 'ultimo Primo Maggio (n. 13, autunno 1979) vi troviamoA. Macor che dice, a proposito di porti, stivaggi e contenitori: i monopoli sono pervenutiàl sistemadi destivaggiocoicontenitori,onde evitare le «appropriazionisoggettive»che primanei meandridelle stivegliscaricatori commettevanocome «giustiziadi classe»e «soddisfazionedi bisogni».Ecc. ecc. Marxismo rinnovato o chiacchierume? Di passata,la «crisi»dei suddetticapisaldiè una vecchissimastoria e l'arrovesciamento mediante la «soggettività> è vecchissima: basti pensare ai neokantiani, soreliani, bergsoniani,neoidealistidi fineottocentoe al loro rinnovamento del marxismo. 4). L'enunciazionedi p. 14 è del serioed accuratoAndreucciil qualeprobabilmente era ignaro che la realizzazionedella sua enunciazione sarebbe stata un'antologizzamento a surrogato di una storia. 5). Cosi appartengono alla storia del movimentooperaio, e del marxismo,Arturo Labriola,A. De Ambris,MicheleBianchi ecc., nel senso dialettico che avrebbe voluto avere la Storia einaudiana. La questione ha i suoi risvolti attuali: l'Italia è pienadi «bisognisti»grundrissiani, neo-operaisti ecc. con tanto di citazionidi Marx, e marxisti solo per iperbole; sono alla sinistradel movimentooperaio istituzionalizzatoe in fiere polemichedi fedeltà ai testi con esso; esiste in Italia un diffuso terrorismodi ultrasinistra,una teorizzazionedel movimentismo,ecc.Fenomeniteorici e teorico-praticiche devono fare molto rifletteree che faranno riflettereglistorici: sono del movimentooperaioo sonosoftanto nel/'età del movimento operaio? E ne sonoabnormità o momentipersinoinferociti di un discorso partecipativo? Penso che, conformementealla posizione assunta per Bogdanovo Sorel anche il toninegrismosarebbe, per la redazionedella Storia, da accettare inuna storiadel marxismo; ed anche lo scrivente è di questo avviso. Il che conferma che la distinzione (fra ciòche è del e ciòche è nel) reggeassai poco per lo storico. 6). Scherrer, infatti, presenta l'ala bolscevicacomeposta di fronte ad un biviodi marxisticità interpretativa: Bogdanov o Lenin.Per Strada il «marxismo»di Bogdar.ov(a costo di passare per dogmatico,nel «marxismo»di Bogdanov come illustrato da Strada e Scherrer non riesco a trovare proprionulladi marxista)era più libertario di quello di Lenin. Linguaggieocambiamento Iniziamo qui un'altra serie di interventi sul tema Linguaggio e cambiamento, con tre scritti brevi. La continuazione di questa serie di interventi, o dibattito collettivo a più voci, sarà pubblicata in un numero successivo del giornale. (I) Angelo Gugllelmi: Leltera provocatoria e aro Leonetti, tu mi fai due domande-contestazione su Calvino (Alfabeta 7) alle quali io potrei controbattere con successo. Ma mi sono andato convincendo che alle mie controargomentazioni tu o chiunque altro interessato alla questione potrebbe replicare con altrettanto successo e forza di convincimento. Il Se di Calvino ha questo di «notevole»: che da qualunque parte lo prendi non riesci a venirne a capo. Non c'è pagina o aspetto che non ti procuri, contemporaneamente, ammirazione e sospetto, senza che l'uno riesca a vincere sull'altro. Io nella mia recensione ho preferito pigiare il pedale del sospetto convinto che questa scelta potesse portarmi a •qualche ragionamento più articolato e a qualche conclusione in più. Ma non tanto sul Viaggiatore di Calvino, che sarà un libro interessante fino a quanto rimarrà un mistero, quanto sui problemi della letteratura e sul suo destino oggi. Peraltro è proprio su questo tema che tu mi sfidi a intervenire. E io accetto l'invito: e allora-eccomi qua a discutere su quello cireoggi stiamo facendo e sul senso che ha quello che stiamo facendo; e, per essere più concreto, farò partire la discussione proprio dall'esame del tuo ultimo libro. Con questo libro tu torni alla letteratura dopo alcuni anni d'impegno politico nella nuova sinistra o, meglio, dopo il fallimento delle speranze che ad essa avevi affidato. E ci torni in un libro che appunto intitoli significativamente In uno scacco (nel settantotto). Mi chiedo cosa dobbiamo apprendere da questo ritorno. Che nel '68 scegliendo l'azione politica al linguaggio della letteratura (abbandonando il secondo per la prima) hai commesso l'errore di considerare intercambiabili duemodidi espressione;in realtà;profondamente diversi? Certo. Infatti è fin troppo facile ricordare che uno scrittore è uno scrittore e un politico è un politico e non vi è passaggio dall'uno all'altro; o anche che uno scrittore fa politica con lo strumento, anzi con l'esperienza della scrittura. L'evidenza di questa verità, quanto è tornata a farsi luce nella tua consapevolezza, ti ha riportato alla letteratura. Ma è tutto proprio così semplice? Taglio dellamuranda Sento che occorre complicare il discorso. Perché è andata incontro a uno scacco la tua esperienza di militante politico? Forse perché lo scacco ha coinvolto prima il campo d'impegno in cui avevi sceltò di militare? Non lo credo anche perché la nuova sinistra, se è vero che è dispersa, pur tuttavia continua ad essere un centro d'applicazione e d'interesse per molti quadri politici e intellettuali di prima grandezza (dalla Rossanda, a Magri, a Pin- .tor, ecc.). Lo scacco che hai patito è perché hai portato nell'impegno politico un interesse da scrittore, il quale, all'opposto dell'operatore politico, fa coincidere la strategia con la tattica, cioè identifica il risultato con la ricerca di esso. Que~ta coincidenza che{;salta in letteratura il valore della ricerca, in politica mette troppo in ombra la necessità del risultato. E poiché la politica vive di risultati quando questi non si producono la politicamuore. L'obiettivodi costruire un mondo nuovo era irrealizzabile né poteva essere troppo a lungo sostenuto a livello di utopia. Sicché anche quando tu sembravi più lontano dalla letteratura continuavi a essere scrittore. D'altra parte anche nel periodo di maggior impegno politico non hai mancato di produrre vere e proprie opere di scrittura (ricordiamo per tutte il romanzo Irati e offesi) e non è importante che fossero di qualità precaria: partecipavano della crisi che complessivamente vivevi sul più ampio fronte esistenziale. Ma se è improprio parlare di ritorno alla letteratura è anche vero che oggi la disponibilità del tuo impegno si esaurisce per intero nell'interesse per la letteratura. Il cambio di marcia non ha significato fuoriuscita dalla crisi ma suo assestamento su binari più propri. In uno scacco, che è il segno di,questo momento, è ancora una offerta di fallimento. Qui tu riprendi a verseggiare alla maniera giovanile, quando riscrivevi testi poetici classici o antiche canzoni popolari imprimendogli un ritmo e una sterzata capaci di risuonare nella tua rabbia di uomo d'oggi. E riproponi, riattando modelli ritrovati, la poesia di testimonianza, l'epigramma mordace, il canto che lenisce il dolore del cuore (io mi addoloro sulla, / sulla nostra sconfitta... 1 La storia è finita ... / e la rabbia? arrabbiamoci; / magari, che tenere per tanto / è una cosadacani;/ arrabbiamoci,domani, 1 oh boia d'un ...). Questi versi, piuttosto che dare la stura al cuore, dimostrano che il cuore non si può sturare. E ribadiscono che si è inceppata la capacità di espressione e esaurita la fonte dei pensieri. Scontata la felicità della fattura, frutto di un cortocircuito tra passione e divertimento, sono un impegno di bravura, un momento di relax in attesa di qualcosa che non verrà, prove di inchiostro per un disegno inesistente. In -uno scacco è ancora una testimonianza della posizione di scacco in cui tu continui a essere impigliato. M a nella stessa posizione, di fallimento, insieme a te, si trovano tutti gli scrittori italiani, almeno quelli che negli anni '60 concepirono la scrittura, comunque, come forza di trasformazione. La condanna al fallimento giunse con la fine degli anni '60, quando divenne chiaro che la scrittura perdeva il ruolo di nuova proposta e si ritirava ridotta, nel migliore dei casi, a cercare di attivare· specifiche cure di mantenimento. A questo punto il fallimento o andava accettato, sollevandolo a nuova passione, o negato, in un proposito di autodifesa. Tu scegliesti la prima strada e decidesti di vivere a viso aperto il fallimento, lo scacco dell'intellettualescrittore rifiutato dalla società e tradito dalla scrittura. Quelli(e sonotuttiglialtri)chescelsero di dribblare il fallimento, rinserrandosi nella specificità dell'impegno letterario, proprio qui, e più drammaticamente, se lo ritrovarono, dovendo soccombere alle difficoltà di una scrittura che non riusciva più a essere (come lo era stata negli anni '60) forza trainante del rinnovamento strutturale della nostra cultura. Così dire, come mi pare che affermi Porta sul Corriere, che lo scacco in cui Leonetti si dibatte è dovuto alla sua uscita dal sistema della letteratura, per vagabondaggi in territori alieni, è improprio. Quello scacco investe anche Porta (e tutti gli scrittori che hanno creduto nella rivoluzione della scrittura) e.mentre in Leonetti acquista una drammaticità attiva negli altri rischia di diventare il velo nero di un tavolo in cui rien ne va plus (o va molto poco). Mi rendo conto che sto affrontando con molto semplicismo un discorso che richiede un approccio ben altrimenti cauto e attento. A mia giustificazione penso che la brutalità del dire, oltre il danno dell'approssimazione, produce il beneficio di scoprire pensieri nascosti, che non riescono a venire alla luce magari perché informi e non ancora maturi. Ma se è così, fatto il gestaccio di tirarli fuori, abbiamo ora tutto il tempo di esaminarli con la fineZl!!IdIi anali~i che meritano. ( 2) Francesco Leonetti: Questione estesa ad altri S ono stato gramsciano nel Cinq11anta,coi versi e saggi della rivista Officina e alcuni libri; dopo avere molto tardato, finita la guerra . che ho conosciuta, a capire. Poi sono stato marxista critico, com'è Il Mani/e- • sto che stimo: e con questa idea ho fatto altro lavoro letterario. Poco prima del '68 mi sono orientato a un nuovo leninismo. Tali differenze possono apparire sottili, relativamente, ma non sono trascurabili anche nei riguardi del testo. Da un decennio sono stato coinvolto più pienamente. Sono tuttavia usciti miei libri di letteratura (Irati e sereni, che veramente è una sceneggiatura), poesie; e dopo il '77, con una interruzione del lavoro politico da me ritenuta inevitabile, e non definitiva, sòno usciti: la riscrittura di alcuni primi libri, in corso, e In uno scacco, nuovo (si badi che scacco non vale sconfitta, ma piuttosto un luogo o un passaggio negativo). Qui ho inteso di fare un'immissione nei modi espressionistici popolari, senza dialettalismo, e di compiere una ironizzazione del potere di tipo paradossale, con struttura nuova di combinazione di prose e poesie. Alcuni pezzi, la poesia «sulla storia», il racconto del bracciante (mentre Guglielmi polemicamentecitai mieiversiripresida trent'anni prima) a me sembrano fra i miei più riusciti, e dunque nel meglio del Novecento. Mi considero un «minore», come i vociani (con ricordo di Campanella). Nell'altro versante, petrarchista, ho stima di Zanzotto; fra gli autori di «avanguardia», mi piacciono Pagliarani e Balestrini. Nel mio filone ci sono all'inizio Fortini, poi Pasolini, e con me Volponi, Roversi, Giudici, Risi, Majorino; in tutti questi l'elemento
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