possibilità teorica chiamabile marxismo. Poiché noi pensiamo che la crisi del marxismo è incominciata da circa un secolo, come la crisi dello hegelismo è incominciata da circa un secolo e mezzo e quella dell'hobbesismo da circa tre secoli, e poiché noi pensiamo che tali «crisi» sono il divenire stesso dell'oggetto - a condizione, ben s'intende, che i termini dei discorsi critici vengano immessi nelle rispettive sfere di storicità e nel contempo distinti fra di loro - sospettiamo che la redazione dei due volumi (nella misura in cui una redazione esiste) abbia operato a/l'interno della cosiddetta crisi del marxismo, e cioè accettandone il condizionamento. Bisogna stare molto attenti (e quindi occorre una redazione assai solerte) quando si abbraccia la tesi di una storia del marxismo in cui il marxismo faccia soltanto da noumeno di riferimento, o da congettura implicita, poiché il campo del discorso si slarga nella misura in cui si allarga. E fra un allargare e uno slargare c'è molta differenza. Per quanto riguarda i contributi nel I volume sono presenti: Hobsbawm (con tre capitoli su undici, oltre alla cosiddetta Introduzione), Gerratana, McLellan, Vilar, Haupt, ecc. Gli argomenti toccati sono molteplici: il socialismo premarxiano e Marx, Marx e la storiografia, la concezione materialistica della storia, marxismo e filosofia ecc. Particolarmente interessante il saggio di Hobsbawm sulla fortuna delle edizioni di MarxEngels. Tranne quello, assai mediocre, di Dobb sul Marx economista critico e di Krader, pasticcciante, sul Marx studioso di etnologia, i contributi sono validi. Qui manca tuttavia la possibilità di discuterli particolarmente. La mediocrità del contributo di Dobb colpisce, più che in sé (Dobb da ultimo si limitava a raffazzonare «interventi» a dritta e a manca) per il fatto che il solo luogo in cui si parla del Capitale è in Dobb (un contributo di una trentina di pagine su circa 370 del volume). E questo, si badi, è tanto più strano in quanto quasi l'intero volume è a contenuto, direi, ortodosso: Meszaros, McLellan, Hobsbawm stesso ecc. prendono le distanze dalle ipervalutazioni degli inediti (dai manoscritti del periodo parigino ai Grundrisse), dalla ipervalutazione delle fratture fra UD certo (quello, poniamo, «umanistico» del periodo parigino) e «un altro» Marx, il Marx degli anni 1860; come pure (tranne Meszaros) prendono le distanze dalla pretesa frattura fra marxismo ed engelsismo; McLellan o Vilar (eccellente il saggio di storiografia marxista di Vilar: l'argomento storio- ·grafico sarà un altro dei grandi assenti dal secondo volume) prendono largamente le mosse dalla Ideologia tedesca, ma non per ipervalutarne il Marx giovane rispetto alla rimanente della produzione marx-engelsiana. N onostante tanta ortodossia il Capitale non è il terminus ad quem del primo volume (al Il volume mancano persino le trenta paginette del tipo Dobb presenti nel I). Che pasticcio redazionale è mai questo? Se non fosse stato per qualche apparizione del valore-lavoro o del Capitale dalle paginette di Dobb, o per qualche pregnante riferimento di Vilar, chi si sarebbe mai accorto che Marx aveva studiato l'economia politica ricavandoci un ancora molto edito Capitale per attendere al quale Engels dava i mezzi a Marx per sfamare se stesso e la famiglia? Assai suggestivo il capitolo di Hobsbawm sulla diffusione editoriale delle opere di Marx-Engels. Se ora passiamo al secondo volume, a p. 14, troviamo la chiave interpretativa del suo criterio redazionale. Il volume, ci si dice, verte non sulla storia del marxismo della seconda internazionale ma del marxismo nell'età della seconda internazionale. E questo, ci si dice, per non destare sospetto di un marxismo istituzionalizzato e per fare partecipi del dibattito anche gli avversari o i diversi. Hobsbawm è tanto zelante in proposito da chiamare Croce e Gentile ex-marxisti e da metterci assieme Pareto e Barone (pp. 63, 81, 88). In effetti il sospetto di istituzionalizzazione è un sospetto superfluo: a) perché da gran tempo la storiografia, almeno quella dell'occidente capitalistico, non guarda alla li Internazionale come ad una entità dalla ortodossia data; b) tale sospetto non ha oggettività vista la organizzazione stessa della Il Internazionale, la quale fu una confederazione di indirizzi, estremamente tollerante nella sua vastità di braccia, anche quando gli indirizzi erano in fiera discordia fra di loro, sia pure sulla base di un «marxismo» identificato il più delle volte con il popolarismo. A conti fatti la enunciazione di propositi di cui a p. 14 ha giuocato come una sorta d'invito all'eclettismo - eclettismo di buona fattura, vista la eccellenza d~i collaboratori - 4 . D'altra parte i propositi di eclettismo sono rimasti a mezz'aria: ad es., un po' in tanti parlano di Kautsky o dell'Engels della maturità (ai quali del resto s'era dato ampio spazio nel I volume: cfr. Stedman Jones). Il che fa, certo, pluralità di voci, specialmente quando i giudizi sono contrastanti. Ma a fare concerto non basta la pluralità di voci, e qualche intersecazione e qualche dilungamento in meno avrebbe dato più spazio a qualche capitolo essenziale che invece manca. Insistiamo sulla mancanza di un capitolo sull'economia politica (marxista) dell'epoca della seconda internazionale: un capitolo che tocchi delle discussioni, poniamo, sollevate dal III libro del Capitale (problema della trasformazione, Bertkiewicz ecc.), sulla legge di tendenza del profitto al minimo e di crollo (Tugan-Baranovski ecc.); o sulla possibilità razionale di un'economia po dal marxismo della Il Internazionale al marxismo nel/' età della seconda internazionale non ha gran che servito agli scopi che si riprometteva, né ha gran che servito ad una storia del marxismo come sistema di inter-reazioni, e ha ristretto il campo piuttosto che allargarlo; lo ha ristretto all'aspetto ideologico del marxismo, o meglio ad alcuni temi del dibattito ideologico, senza dirci quale sia ilcriterio di scelta. S e la Redazione si è impegnata nella distinzione fra marxismo della e marxismo ne/l'età della seconda internazionale ma non ha saputo svolgerla, è probabile che la distinzione in se stessa non regga. Bogdanov era della Il Internazionale( ... e sarà addirittura della III: morirà nel 1928 a Mosca, onorato da Bucharin) malgrado le violente polemiche ideologiche sostenute contro di lui da Lenin nel 1909: era un medico machista ed empiriocriticista, assertore della «cultura proletaria» dell'ala ultra del bolscevismo operaista (si poteva essere operaisti, allora, senza avere letto i Grundrisse!); Sorel non era della Il Internazionale, e rassomigliava per molti versi a Bogdanov (antiriformismo, volontarismo, mitizzamento del proletariato, revisionista a sinistra del marxismo). Di ambedue il secondo volume si post-1890 faccia parte importante (della seconda internazionale onell'età della che sia) pare che la redazione ignori - ivi compresi i saggi di Croce e Gentile s'intende, non foss'altro perché Gentile dalla filosofia della prassi ricavò la filosofia dell'atto e dell'autoctisi-. Ed ivi compresi i saggi di Baratono e di R. Mondolfo. Ed ivi compresa la funzione ultra-eclettizante della Criticasociale. Ed ivicompreso il movimento sindacalista, cioè il sorelismo militante, che giuocò da noi le sue migliori fortune. Senonché la storia sociale d'Italia non interessa ai redattori dell'opera einaudiana e i due medaglioni su Labriola (Gerratana) e Sorel (De Paola) rimangono campati in aria. Per inserirli in un decorso storico occorre un lettore che sappia già la storia del marxismo. Se è italiano non saprà come utilizzarli. E Lenin, Trotski, Stalin? Lenin, ho detto, è parecchio citato ma quasi sempre a proposito di: a proposito di Bogdanov e la.polemica con la sinistra operaista (Cherrer) o di Plechanov o a proposito del filone antimperialista (Andreucci) o della questione agraria in Russia (Hegediis). A occhio e croce si dovrebbe dire, dal tantissimo che tanti ne parlano, che la Rivoluzione d'Ottobre starà per farla, fra i bolsceTaglw della muranda. Vania, 17 anni, al tagliorino. Silvia, la madre, lavorava alla Noemi, poi è passata al lavoro a domicilio. Ora è tornata in fabbrica perché «lavoro a casa ne danno poco». Le lavoranti a domicilio - specie nei collant, come in tutti gli articoli soggeui alle mutazioni della moda - sono usate dalle aziende anche come relativa sacca di contenzione, per proteggersi dalle fluttuazioni del mercato. collettivistica (Barone, Pareto, Schaffle ecc.); sul capitale finanziario (Hilferding ecc.). Mancanza che sa di paradosso: sia perché il nesso con i fatti strutturali (tanto come teoria di Economia Politica, che di fatti di Storia economica) è essenziale al marxismo; sia perché l'economismo della Il Internazionale e il suo riformismo e le sue elaborazioni teoriche nascevano da riflessioni legate (fin troppo!) al discorso di economia e ai mutamenti degli assi di storia economica: sviluppo industriale in Russia, cui Engels era attentissimo, problemi agrari, cartellizzazione, movimento cooperativo, ecc. Cosl insistiamo sugli influssi storiografici del marxismo o sull'antropologia criminale: non si vede, poniamo, perché vi debba trovare posto solo E. Ferri e non l'intero caso dell'antropologia criminale, o non debba trovarvi il suo posto la storiografia economicogiuridica e sociale (Sombart, Volpe, Ciccotti, Salvemini, Mathiez ecc.), storiografia che esplose poderosa fra l'otto e il novecento. Se pensiamo al posto che a questa storiografia aveva riserbato Croce nella Storia della storiografia italiana si deve riconoscere che è stata una ben vacua e fuorviante novità l'aver preferito alle influenze de/ marxismo leprese di posizione sul marxismo. In conclusione, la pretesa di allargare il camoccupa a lungo; a Sorel dedicando un capitolo-medaglione. E bene sta, nonostante che dal punto di vista del «marxismo», si tratti di personaggi che possono dirsi marxisti solo per metafora; precisiamo: per 'iperbole. Personaggi che anteponevano la «umwalzende Praxis» alla critica dialettica, col rischio di evoluzioni volontaristiche le più rischiose (stiamo pensando a Sorèl). Appartengono ambedue al movimento operaio? Concordo con la redazione: vi appartengono. A condizione, però, che si consideri vana la distinzione fra marxismo della e marxismo nel/'età della seconda internazionale. Altro caso è Antonio Labriola, il quale non fu mai un organizzato: tuttavia tanto Engels che Trotski che Lenin che Mehring lo apprezzarono molto: non dovremo dire che anche lui è della seconda internazionale per lo stesso titolo per cui è ne~'età della seconda internazionale? E il caso a sinistra di Bogdanov non è speculare del caso a destra di Bernstein? E Filippo Turati e la Critica sociale? 5 L'ultimo interrogativo ci rimanda al caso Italia nel Il volume. Alla quale è dedicato il buon medaglione di Gerratana su Antonio Labriola, e gli accenni di Hobsbawm su Croce e Gentile come ex-marxisti. Che del movimento operaio internazionale l'Italia degli anni vichi, Bogdanov. 6 Ma qui, evidentemente, bisogna aspettare il Ili volume. Nel quale è da supporre e da sperare che il Lenin per lumi sparsi del II volume verrà ripreso e unificato col Lenin post-1914, ed altrettanto dicasi per Trotski, Stalin, Lunaciarski, Bela Kun, Gorki e via dicendo. A proposito dei quali, peraltro, ci troviamo di fronte ad un grossissimo quesito: come si costituì il blocco storico ed il gruppo dirigente (dall'esilio, dal fuoruscitismo, da linee interne) che, in occasione dello sfasciarsi dei Romanov e della intera Europa pre-1914, diventerà, diciamo, leninismo vivente dopo il 1917 e il 1919? Quale fu la collocazione di Lenin nel costituirsi di questo «leninismo», come esso agì e reagl fuori della Russia, in Ungheria, Cina, Germania o Italia dell'immediato post-1917? È chiaro che in gran parte questo «leninismo» si costituì post eventum: se vogliamo, una volta acciuffato il potere; ma è altrettanto chiaro che esso germinò dal seno stesso della Il Internazionale, ebbe cimenti operativi nel 1905 e nelle crisi del 1914-1917 e fu un fatto- tale leninismo, da mettere o no fra virgolette a seconda che appositi capitoli dovrebbero dirci - tanto teorico che fattuale. Tali «appositi capitoli» nel secondo volume (che sarebbe stato ad essi appropriato) non ci sono e speriamo vi siano nel lii. Tuttavia è strano che in un volume in cui esiste un capitolo sulla Luxemburg, informazioni particolareggiate su Korsch e Pannekoek, al Lenin del periodo socialdemocraticodel socialdemocratismo «maggioritario», e cioè bolscevico - non sia dato spazio se non a proposito di altri e di altre discussioni. Siamo, temo, di fronte alle già indicate incertezze redazionali, ad una ennesima incapacità di connettere gli antecedenti diacronici. Spesso (cfr. Strada) si trovano richiami al giacobinismo di Lenin; ma nessuna attenzione viene portata all'articolazione di questo giacobinismo, specialmente in rapporto alla formazione vincente del leninismo; nessuna attenzione, dico, che sia paragonabile a quella prestata al pensiero di Akselrod o di Bogdanov. Forse, anche qui, c'è da aspettare il III volume o forse siamo di fronte alla incapacità di capire che il marxismo, come ogni idea-forza, costituisce un nodo teorico-pratico (addirittura teorico-fattuale) sicché una storia del marxismo non può essere, ci si perdoni il bisticcio, che storia del vario annodarsi di questo nodo. Non interessa sapere se Strada, Hobsbawm o Andreucci siano oppure no patentabili marxisti, più di quanto interessi sapere se Sempronio che si occupa di cattolicesimo sia cattolico o musulmano e come. Quanto occorre è che «il» marxismo (come «il» cattolicesimo) venga riportato come parametro di riferimento costante, nella sua possibile identificabilità, pur nel variegarsi delle vicende. Una volta che si è rifiutata la strada per riconnettersi a qualche parametro, e si è persino rifiutata la fattualità, la gamma dei discorsi non già si è arricchita ma si è impoverita, non raramente diventando casuale: cfr. ad es. il già indicato Labriola di Gerratana o quelle ben 61 pagine di Arato dedicate ad un suo - di lui! - specifico problema: eruditamente dimostrare come da Plechanov a Sorel il marxismo travagli irresolubilmente attorno alla antinomia «fra determinismo scientifico ed un'autodeterminazione mitologicamente concepita» (p. 695); il tutto prendendo le mo~se dallo spinozismo deterministico, a suo dire, di Engels, passato quindi a Plechanov e via dicendo, il tutto in dotto reciproco ventriloquio fra Arato e una profluvie di aventi causa: Woltmann, Habermas, Sorel, Lenin, Vorlander, Labriola ecc. (Trattasi del nesso storico fra marxismo e filosofia? Neppur per sogno! Il costituirsi e il farsi di un nesso marxismo/filosofia - di un marxismo filosofico - è uno dei tanti capitoli che manca al volume. Si tratta, in Arato, di una addottrinata esercitazione su un tema a lui caro, che la bonaria redazione gli ha consentito di ficcar dentro). Ovviamente se consideriamo i due volumi (e specialmente il li) come antologie di buone monografie, essi, saggio di Arato compreso, costituiscono un'importante miniera. E come tale è opportuno dirne qualcosa, ancorché non sia possibile entrare nel merito delle singole monografie. Valida è la trattazione di Scherrer su Bogdanov, sull'empiriomonismo e sul proletkult; buona la presentazione di Kautsky in chiave positiva di Waldenberg, la trattazione di Salvadori s11 Kautsky e su Bernstein (su Bernstein esiste apposito capitolo di Fetscher), di Strada su Plechanov e la questione agraria (su Plechanov apposito capitolo di Getzler), su Struve e il marxismo legale (sul marxismo legale vedi anche Walicki, sulla questione agraria esiste capitolo apposito di Hegediis) con gli «a proposito su Lenin» connessi; interessantissime le pagine di Andreucci sulla diffusione apostolica del primo marxismo e sulla genesi dell' Imperialismo leniniano o le osservazioni (e intersecazioni varie) sulla questione del crollo, di Steinberg, Waldenberg, Salvadori. Come si vede il discorso economico (o meglio: alcuni dei discorsi economici interni alla II Internazionale) si trovano, frantumati in vari riferimenti (a proposito di questione agraria, o di discorso sul «crollo», o della grande impresa e Schulze Gavernitz ecc.); frantumati fra i vari interventi, dico, senza che un capitolo ad hoc sull'economia politica o sul momento di storia economica esista. Engels, già trattato nel primo volume, viene largamente ripreso in una chiave assai più variegata che nel primo volume, con la gene-
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